Esplicitazione degli interessi richiesti nella cartella di pagamento: la questione è rimessa alle SS.UU.

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di Maurizio Villani e Lucia Morciano

Spesso accade che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione effettui un calcolo di quantificazione d’interessi di difficile interpretazione per il contribuente; ciò comporta una palese violazione del diritto di difesa atteso che, difettando un prospetto analitico degli interessi, ciò non consente al contribuente di poter contestare adeguatamente la somma a tale titolo richiesta.

Tutto ciò avviene nonostante l’obbligo di motivazione della cartella esattoriale sia contemplato dall’art. 3 della L. n. 241/1990, che afferma il principio secondo il quale “Ogni provvedimento amministrativo…deve essere motivato…” e dall’art. 7 L. n. 212/200 (Statuto del contribuente) che prevede: “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n.241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Nonostante il chiaro dettato normativo, la quaestio iuris relativa all’esplicitazione del calcolo degli interessi è stato oggetto di contrasto interpretativo da parte della giurisprudenza di legittimità.

Per tale motivo, la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31960 del 5 novembre 2021, ha ritenuto sussistenti i presupposti per la rimessione al Primo Presidente, affinchè valuti la rimessione alle Sezioni Unite, “[…] stante l’esigenza di rendere effettiva e incisiva la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, attraverso l’enunciazione di un principio di diritto, rispetto a questione variamente risolta dalla Sezione, questione che è destinata a riproporsi in numerose controversie”.

Di seguito giova riassumere gli orientamenti giurisprudenziali contrastanti in materia riassunti nella parte motiva dell’ordinanza di rimessione de qua.

L’iter motivazionale dell’ordinanza interlocutoria

Tra i motivi dedotti nel ricorso per Cassazione, con il quarto motivo il contribuente ha dedotto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 24 Cost, in quanto mancando un prospetto analitico degli interessi applicati, non è dato ai contribuenti verificare e, quindi, contestare la correttezza della somma a tale titolo richiesta.

In via preliminare, la Corte di Cassazione nell’ordinanza interlocutoria ha esaminato l’eccezione sollevata dal contribuente in materia di calcolo d’interessi e riassunto quanto motivato dai giudici di seconde cure, che hanno ritenuto legittima la cartella di pagamento perchè il metodo seguito dall’Amministrazione finanziaria per la liquidazione degli accessori risulta agevolmente controllabile dal contribuente.

Il contribuente ha nello specifico dedotto che “la cartella non recherebbe indicazioni sufficienti (giorni, tassi d’interesse, imponibile, aliquote, ecc.) al fine di verificare la correttezza delle somme iscritte a ruolo” rilevando, nello specifico, che nell’atto impugnato “viene riportato solo l’importo totale degli interessi applicati (e) non un prospetto analitico anche sintetico, che spieghi modalità, tassi e criteri seguiti nella loro determinazione“.

In riferimento a tale eccezione, la CTR Lazio ha affermato che “le somme indicate in cartella corrispondono a quelle riportate nell’originario avviso di liquidazione, convertite in Euro e maggiorate degli interessi dovuti per legge, quindi, al tasso legale” ed inoltre che “non risulta dimostrato che l’ufficio abbia richiesto un tasso superiore a quello di legge, o abbia calcolato interessi su interessi (cd. anatocismo), come adombrato dal ricorrente in udienza“.

La decisione impugnata ha ritenuto legittima la cartella di pagamento perchè il metodo seguito dall’Amministrazione finanziaria per la liquidazione degli accessori risulta agevolmente controllabile dal contribuente, essendo la misura degli interessi applicati predeterminata dalla legge, per cui la liquidazione stessa si risolve in una operazione matematica, di natura tipicamente riscossiva.

Inoltre, i giudici di secondo grado, hanno osservato che “ la cartella di pagamento, versata in atti dai ricorrenti a corredo delle proprie doglianze, riproduttiva del ruolo, richiama l’avviso di liquidazione prodromico, esplicita le ragioni della debenza dei tributi (“revoca benefici fiscali L. 6 agosto 1954, n. 604“), ed indica l’atto notarile presentato alla registrazione (“atto notaio (OMISSIS) del (OMISSIS) n. (OMISSIS)”) cui la pretesa fiscale si riferisce, in tal modo rendendone conoscibili i presupposti di fatto e di diritto” (Cass. n. 8329/2020).

La CTR ha, altresì, specificato che la cartella ha informato il contribuente:

  • che “Per ogni giorno di ritardo vanno aggiunti gli interessi di mora (calcolati a partire dalla data di notifica della presente cartella e i maggiori costi del servizio di riscossione)”, che “le spese di notifica rappresentano il costo del servizio di notifica della cartella di pagamento svolto dall’Agente della riscossione (normativa di riferimento: Decreto Legislativo n. 112 del 1999, articolo 17, comma 7 ter)“;
  • che sono dovuti dal destinatario dell’atto anche “i compensi del servizio di riscossione (o aggio di riscossione)” in misura diversa (4,65% e 9%) a seconda che il pagamento intervenga entro la scadenza o in ritardo;
  • e ancora che “gli interessi di mora sono dovuti dal contribuente, in aggiunta alle somme iscritte a ruolo, qualora non effettui il pagamento entro SESSANTA giorni dalla data di notifica” e fino al giorno dell’effettivo pagamento;
  • e, infine che “il tasso di interesse applicato viene determinato con apposito atto normativo (normativa di riferimento Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 30, e norme correlate)“.

Ebbene, la Corte di Cassazione, dopo aver riassunto le motivazioni della sentenza dei giudici di seconde cure, ha sottolineato che le “le argomentazioni svolte dal giudice di appello appaiono riconducibili all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo il quale è legittimo il riferimento al calcolo degli interessi maturati ex lege ove sia incontestata la sorte capitale (proveniente dal precedente atto impositivo o da dichiarazione dello stesso contribuente) e il periodo per il quale sono maturati gli interessi, risolvendosi la determinazione degli accessori in una mera operazione matematica, che consente il raffronto con i tassi determinati ex lege, per la quale non ricorre l’obbligo di specifica motivazione”.

Ebbene, secondo tale orientamento giurisprudenziale, in tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento deve ritenersi congruamente motivata, quanto al calcolo degli interessi, mediante il richiamo alla dichiarazione dalla quale deriva il debito di imposta ed al conseguente periodo di competenza, essendo il criterio di liquidazione degli stessi predeterminato ex lege e risolvendosi, pertanto, la relativa applicazione in un’operazione matematica (Cass., Sez. V, 27 marzo 2019, n. 8508; Cass., Sez. V, 8 marzo 2019, n. 6812; Cass., Sez. VI, 7 giugno 2017, n. 14236).” E invero, secondo tale indirizzo, nel suddetto caso “il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi in questi casi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima. Tale principio, mutatis mutandis, è valido anche per la specie in quanto il richiamo (contenuto nella cartella) all’atto impositivo divenuto definitivo svolge la stessa funzione della “dichiarazione” quanto alla “condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale”, anche ai fini del controllo (meramente aritmetico) della esattezza delle somme richieste per “interessi.., per ritardato o omesso pagamento” sulle imposte indicate in detto atto impositivo (Cass., Sez. V, 15 aprile 2011, n. 8613)”.

Nello stesso senso, la Corte di Cassazione con sentenza n. 9764/2021  ha affermato che l’obbligo motivazione sarebbe rispettato persino ove manchi l’emissione del decreto ministeriale che determina annualmente la misura degli interessi di mora computabili dalla notifica della cartella fino alla data del pagamento, il tasso viene determinato ex lege sulla base del tasso fissato dall’ultimo decreto pubblicato, che resta efficace fino alla deliberazione del nuovo provvedimento (Cass., Sez. V, 6 agosto 2020, n. 16778), così consentendo in ogni caso al contribuente di controllare quale sia il tasso di interesse applicato.

Inoltre, in materia di riscossione delle imposte sul reddito, il Supremo Consesso ha dichiarato che la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 36-bis, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonchè qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente è già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può  ritenersi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (Cass. n. 26671/2009).

Pertanto, secondo le considerazioni sviluppate dal primo orientamento, l’obbligo motivazionale sarebbe rispettato in quanto:

1) il tasso annuo degli interessi è noto e conoscibile perchè determinato con provvedimento generale;

2) i limiti temporali di riferimento (dies a quo e dies ad quem) necessari per il calcolo sono anch’ essi fissati in elementi cronologici ben individuati (“giorno successivo a quello di scadenza del pagamento” e “data di consegna… dei ruoli”, rispettivamente).

Alla luce di tanto, secondo tale indirizzo, con riferimento all’obbligo di motivazione degli atti tributari, previsto per la cartella di pagamento va affermato il principio secondo cui nell’ipotesi in cui vengano richiesti gli interessi e le sovrattasse per ritardato o omesso pagamento il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi in questi casi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima” (Cass., trib., 18 dicembre 2009 n. 26671;Cass. n. 8613/2011).

Secondo un contrapposto indirizzo giurisprudenziale, invece, la cartella esattoriale deve essere motivata nella parte in cui mediante la stessa venga anche richiesto per la prima volta il pagamento di crediti diversi da quelli oggetto dell’atto impositivo oggetto del giudizio, come quelli afferenti gli interessi per i quali deve essere indicato, pertanto, il criterio di calcolo seguito.

Più nel dettaglio, i giudici di legittimità, hanno osservato che “con riferimento alla cartella di pagamento emessa per un debito riconosciuto in una sentenza passata in giudicato, il richiamo alla pronuncia giudiziale e all’atto impositivo su cui la stessa è intervenuta, risulta idoneo ad assolvere all’onere motivazionale solo limitatamente alla parte del credito erariale fatto valere interessato dall’accertamento, divenuto definitivo, compiuto dal giudice, ma non anche alle altre ulteriori voci di credito che non sono state in precedenza richieste; – infatti, relativamente a tali voci, è con la cartella di pagamento che, per la prima volta, viene esercitata la pretesa impositiva, con la conseguenza che il criterio utilizzato per la loro individuazione e quantificazione deve essere ivi esplicitato e posto a conoscenza del contribuente; – in applicazione di tali principi, deve concludersi che la cartella di pagamento emessa per un debito riconosciuto in una sentenza passata in giudicato deve essere motivata in ordine al criterio utilizzato per la quantificazione degli interessi richiesti per la prima volta con tale atto, dal momento che il contribuente dev’essere messo in grado di verificare la correttezza del calcolo degli interessi medesimi (cfr. Cass., ord., 22 giugno 2017, n. 15554; Cass. 21 marzo 2012, n. 4516Cass. 9 aprile 2009, n. 8651);” (Cass. n. 21851/2018 cit.)”.

In senso conforme, si è espresso il Collegio di legittimità con la pronuncia n. 17767/2018, con la quale ha evidenziato che, nel caso sottoposto al suo esame, “il debito scaturiva da una sentenza definitiva della Commissione tributaria centrale (vedi l’incipit della sentenza impugnata), e secondo il superiore principio di diritto la semplice pubblicazione dei tassi d’interesse secondo le modalità previste nel lungo periodo considerato (28 anni) non consentiva al contribuente di comprendere i diversi metodi di calcolo applicati negli anni, ovvero i tassi d’interesse operanti nei periodi considerati, così obbligando il medesimo contribuente ad attingere aliunde le nozioni giuridiche necessarie per ricostruire il metodo seguito dall’ufficio“.

Parimenti, in un’analoga controversia, i giudici di legittimità hanno confermato la decisione dei giudici di seconde cure, favorevole alla tesi del contribuente, rilevando il difetto di motivazione della cartella di pagamento in relazione agli interessi, In particolare, i giudici di legittimità hanno evidenziato che nella cartella era riportata solo la cifra globale degli interessi dovuti, senza essere indicato come si era arrivati a tale calcolo, non essendo specificate le singole aliquote prese a base delle vane annualità, anche e soprattutto in considerazione del fatto che l’accertamento era riferito all’anno d’imposta 1976, concernendo dunque un periodo di 35 anni, Con la citata pronuncia, dunque, i giudici di legittimità hanno ritenuto, pertanto, che l’operato dell’ufficio fosse ricostruibile  per mezzo di difficili indagini dovute anche alla vetustà della questione, non di competenza del contribuente che, in tal modo, vedeva così violato il suo diritto di difesa.

Precisamente, tale ratio decidendi, secondo cui il computo degli interessi è criptico e non comprensibile anche in ragione del lungo periodo considerato, non è incisa dal solo richiamo all’art. 20 D.P.R. n.602/1973, venendo in rilievo non la spettanza degli interessi, ma, proprio, il modo con cui è stato calcolato il totale riportato nella cartella (Cass. n. 15554/2017, in tal senso v. anche Cass. n. 5416/2021 e Cass. n. 8611/2009).

Conclusioni

Alla luce  del suesposto contrasto giurisprudenziale e data la frammentarietà del quadro normativo e interpretativo in materia, la Corte di Cassazione ha concluso che, pur considerando le peculiarità delle fattispecie  esaminate e, pertanto,  la necessità di differenziare l’obbligo di motivazione a seconda del contenuto prescritto per ciascun tipo di atto, “il Collegio è portato a ritenere sussistenti le condizioni per la rimessione della causa al Primo Presidente di questa Corte, affinchè valuti l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, stante l’esigenza di rendere effettiva e incisiva la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, attraverso l’enunciazione di un principio di diritto, rispetto a questione variamente risolta dalla Sezione, questione che è destinata a riproporsi in numerose controversie”.

Avv. Maurizio Villani

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