Equiparazione tra «legittimi» e «naturali»: via libera del Governo al decreto legislativo che attua la delega in materia di riconoscimento dei figli naturali

Redazione 15/07/13
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Anna Costagliola

Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo in materia di filiazione. Il provvedimento prevede la modifica della normativa vigente al fine di eliminare ogni residua discriminazione rimasta nel nostro ordinamento tra i figli nati nel e fuori dal matrimonio, così garantendo la completa eguaglianza giuridica degli stessi.

Il decreto legislativo completa la normativa sull’equiparazione dei figli naturali con i legittimi già anticipata dalla L. 219/2012 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), che ha affermato il principio dell’unicità dello stato giuridico dei figli (art. 315 c.c.). Lo spirito informatore della legge citata è stato, infatti, dettato dall’esigenza di affermare una sostanziale equiparazione dei diritti dei figli legittimi e naturali, in attuazione dei principi costituzionali e degli obblighi imposti a livello internazionale.

Con una fondamentale innovazione rispetto alla previgente disciplina codicistica, si riconosce un unico status giuridico, quello di «figlio», eliminando, anche sotto un profilo lessicale, la distinzione tra figlio legittimo e naturale; laddove si rendesse comunque necessario indicarne l’origine, si prevede l’impiego delle locuzioni «figli nati nel matrimonio» e «figli nati fuori dal matrimonio», in luogo di quelle precedenti «figli legittimi» e «naturali». Conseguenza di tale premessa è l’estensione delle disposizioni in tema di filiazione a tutti i figli, senza distinzioni, e una rivisitazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, con l’espressa abrogazione dell’istituto della cd. legittimazione dei figli naturali, presupponente ancora una diversità di effetti tra filiazione legittima e filiazione naturale.

La tecnica prescelta dal legislatore per rendere operativa la completa equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi è stata quella di non definire direttamente con la legge del 2012 gli interventi da operare, delegandoli piuttosto in larga parte al Governo. L’art. 2 della L. 219/2012 ha, infatti, conferito delega al Governo (da esercitare entro i 12 mesi successivi all’entrata in vigore della riforma, e dunque antro la data del 1° gennaio 2014) per la modifica delle disposizioni vigenti al fine di eliminare ogni residua discriminazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio.

Il decreto delegato appena approvato dal Governo prevede attiene, per lo più, agli aspetti patrimoniali relativi a detta equiparazione, essendo le affermazioni di principio, come sopra evidenziato, già contenute nella legge delega.

Uno dei punti salienti affrontati dal provvedimento è quello che riguarda l’asse ereditario. D’ora in poi i figli nati fuori dal matrimonio, così come quelli adottati, avranno gli stessi identici diritti dei figli che un tempo venivano definiti «legittimi». Dunque gli effetti successori dei figli di qualsiasi genere varranno nei confronti di tutti i parenti e non soltanto dei genitori.

Sotto il profilo ereditario occorre ancora segnalare la modifica dell’art. 480 c.c. in merito alla decorrenza del termine decennale di prescrizione per l’accettazione dell’eredità per i figli nati fuori dal matrimonio (sent. Corte cost., sent. 191/1983).

In materia di successione viene poi disposta la soppressione dell’istituto del cd. diritto di commutazione in capo ai figli legittimi fino ad oggi previsto per l’eredità dei figli naturali (art. 537, co. 3, c.c.), costituente ancora baluardo di una disparità di trattamento in danno dei figli naturali.

Anche in tema di donazione, si modifica la disposizione di cui all’art. 803 c.c., che viene riformulato tenendo conto dei principi contenuti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 250 del 2000, che ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui disponeva che in caso di sopravvenienza di figlio naturale la donazione poteva essere revocata solo se il riconoscimento era intervenuto entro 2 anni dalla donazione.

Oggetto di modifica è anche la normativa in tema di disconoscimento della paternità (art. 244 c.c.). Recependo la giurisprudenza della Corte costituzionale sul punto, il legislatore fissa il termine massimo per proporre l’azione di disconoscimento in 5 anni dalla nascita del figlio; superato detto termine, si fa prevalere sul principio di verità della filiazione l’interesse del figlio alla conservazione dello stato. L’azione rimane imprescrittibile solo per il figlio.

Ulteriore modifica è quella che andrà ad incidere sull’art. 262 c.c. per recepire i principi delineati dalla Corte costituzionale nella sent. 297/1996, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevedeva che il figlio naturale, nell’assumere il cognome del genitore che lo avesse riconosciuto, potesse ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto a mantenere, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo a questo, il cognome precedentemente attribuitogli con atto formalmente legittimo, ove tale cognome fosse divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale.

Ancora, in tema di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, si introduce per l’autore del riconoscimento il termine di 5 anni per l’impugnazione decorrente dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita, ritenendosi che oltre questo termine prevalga l’interesse del riconosciuto al mantenimento dello stato di figlio.

In attuazione del menzionato principio dell’unicità dello stato di figlio, il testo del provvedimento provvede a raggruppare, in un unico titolo, il IX del libro I del codice civile, (artt. 316-371) la disciplina relativa ai diritti e doveri dei figli ed alla responsabilità genitoriale, sia nella fase per così dire «fisiologica» del rapporto genitoriale che in quella «patologica» in cui si dissolva il legame matrimoniale o di fatto tra i genitori ed il giudice sia chiamato ad omologare, prendere atto di accordi, ovvero dettare provvedimenti di affidamento e di mantenimento dei figli.

Infine, ancora da segnalare sono l’introduzione del diritto di ascolto del minore e del diritto degli ascendenti a mantenere «rapporti significativi» con i nipoti minorenni.

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