Elemento psicologico e concorso di persone

Redazione 15/01/19
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Uno degli elementi costitutivi del concorso di persone è l’elemento psicologico, che può consistere nel dolo di concorso o nella colpa di concorso.

Dolo di concorso

Nel concorso di persone di cui all’art. 110 c.p., l’elemento psicologico si compone (i) della coscienza e volontà del fatto criminoso in cui si concorre e (ii) della coscienza e volontà di concorrere con altri nella realizzazione di quel fatto (dolo di concorso).

Ciò che distingue l’elemento psicologico del concorso di persone rispetto all’elemento psicologico nel reato monosoggettivo è, dunque, il collegamento psicologico tra i concorrenti.

La giurisprudenza ormai ammette che la coscienza e volontà di concorrere con altri non richieda necessariamente un previo accordo tra i concorrenti, cioè un accordo precedente all’avvio l’iter criminis. È ben possibile, infatti, che l’accordo tra i diversi soggetti intervenga durante la fase esecutiva del reato.

Del pari ammesso è il c.d. concorso “unilaterale”, che si ha nei casi in cui i soggetti agenti hanno coscienza e volontà di commettere il reato, ma a uno soltanto di questi è ricollegabile un dolo di concorso, cioè la volontà di concorrere con altri nella realizzazione del fatto criminoso. Ad ogni modo, in tal caso, rispetto a uno soltanto dei soggetti partecipanti al reato sarà configurabile una responsabilità penale a titolo di concorso, mentre gli altri risponderanno della fattispecie monosoggettiva eventualmente integrata.

In altri termini, ai fini della sussistenza della fattispecie concorsuale è sufficiente e necessario che solo uno dei soggetti agisca (oltre che con coscienza e volontà di commettere il reato) con dolo di concorso. Sufficiente e necessario, si ribadisce, giacché in radicale mancanza di dolo di concorso in capo ad almeno uno dei soggetti, non sarà dato ravvisare concorso di persone e ciascuno risponderà del reato monosoggettivo soltanto se e in quanto la condotta del singolo risulterà tipica.

Colpa di concorso

In base all’art. 113 c.p. “Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’articolo 111 e nei numeri 3 e 4 dell’articolo 112”.

Tale norma disciplina espressamente la cooperazione nel delitto colposo, superando il dibattito sviluppatosi sotto il Codice Zanardelli quando (in assenza di una norma che esplicitamente prevedesse il concorso nel delitto colposo) dottrina e giurisprudenza sostenevano che elemento strutturale del concorso fosse il previo accordo dei concorrenti e, dunque, che la colpa (la quale si connota essenzialmente per l’involontarietà) fosse incompatibile con la fattispecie concorsuale.

Quanto alla funzione della norma in discorso, è da ritenersi ormai superata la tesi che assegna all’art. 113 c.p. la sola funzione di estendere l’applicazione della disciplina del concorso a fattispecie concrete già di per sé tipiche, ma attuate in modo convergente insieme ad altre condotte anch’esse già autonomamente punibili. Secondo tale impostazione, la funzione dell’art. 113 c.p. sarebbe stata esclusivamente quella di estendere a fattispecie già tipiche e punibili la disciplina del concorso, con particolare riferimento, ad esempio, all’applicabilità delle peculiari circostanze aggravanti e attenuanti previste dagli artt. 112 e 114 c.p., nonché della disciplina sulle circostanze di esclusione della pena prevista dall’art. 119 c.p..

Tale tesi si basava sulla considerazione che i reati colposi monosoggettivi sono tendenzialmente causalmente orientati (cioè a forma libera): non venendo in rilievo, ai fini dell’incriminazione, un’attività esecutiva rigidamente fissata dalla norma incriminatrice, bensì solamente una condotta idonea a cagionare l’evento, non avrebbe avuto alcuna utilità una norma che estendesse l’incriminazione a condotte non puntualmente tipizzate aventi un rilievo causale.

È prevalsa, però, la tesi secondo la quale l’art. 113 c.p. ha funzione anche incriminatrice di condotte atipiche. Ciò non solo sulla scorta della considerazione che non tutti i reati colposi sono causalmente orientati (essendovi anche reati colposi a condotta vincolata rispetto ai quali l’art. 113 c.p. ben può avere funzione incriminatrice di condotte diverse da quelle espressamente previste). Si è osservato, ancora, che l’articolo 113 c.p. può utilmente svolgere una funzione estensiva anche rispetto ai reati colposi monosoggettivi a forma libera.

L’art. 113 c.p. consentirebbe, infatti, di punire anche condotte non sussumibili sotto la fattispecie causalmente orientata in quanto difettano della violazione di una regola cautelare causalmente destinata a cagionare l’evento (c.d. causalità della colpa). Sarebbero in questo modo punibili condotte che concorrono a incrementare il rischio della verificazione dell’evento, agevolando così la realizzazione del reato colposo.

Come si vede, il rischio di questa interpretazione è quella di una estensione incontrollata dell’area della punibilità.

Per tale ragione, una parte della giurisprudenza ha cercato di restringere l’area del penalmente rilevante pretendendo, affinché possa essere ravvisata cooperazione colposa ai sensi dell’art. 113 c.p., una colpa di concorso particolarmente intensa.

Secondo tale impostazione, al fine di ravvisare la colpa di concorso necessaria ad integrare la cooperazione colposa ex art. 113 c.p. occorrerebbero (i) la consapevolezza della convergenza della propria con l’altrui condotta, nonché (ii) la consapevolezza della violazione da parte di altri di una regola cautelare.

A questa tesi si è obiettato che la consapevolezza della violazione da parte di altri di una regola cautelare implica la colpa cosciente. In questo modo, la tesi avversata finirebbe con il restringere in maniera arbitraria il campo di applicazione dell’art. 113 c.p., ritenendolo applicabile nei soli casi di colpa con previsione dell’evento. Altri, sempre in senso critico, hanno osservato che si finirebbe con il richiedere addirittura il dolo eventuale, giacché la consapevolezza della violazione da parte di altri di una regola cautelare darebbe luogo all’accettazione del rischio della verificazione dell’evento.

Di conseguenza, oggi l’impostazione dominante è quella secondo cui la colpa di concorso si esaurisce nella consapevolezza della convergenza della propria condotta con quella altrui.

Tuttavia, per ovviare al rischio di una eccessiva estensione dell’area del penalmente rilevante ai sensi dell’art. 113 c.p., negli ultimi anni la giurisprudenza ha sostenuto che, sebbene la colpa di concorso consista nella mera consapevolezza della convergenza della propria con l’altrui condotta, l’art. 113 c.p. è applicabile soltanto quando sia rinvenibile nell’ordinamento una “pretesa di interazione prudente”, la quale è configurabile di fronte a situazioni di gestione collettiva del rischio. Occorrerebbe, in particolare, che il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge, da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o da una contingenza oggettiva. In questi casi, si è detto, l’ordinamento pretende che il cooperante tenga conto della condotta degli altri agenti e ponga rimedio a eventuali loro carenze cautelari.

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