Dovere di dissuasione nelle procedure concorsuali: tra rischio di automatismi ed improprie garanzie (Nota a Tribunale di Monza, decreto 10 marzo 2020)

Redazione 29/06/20
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di Emanuele Caimi

Sommario

I. La vicenda

II. Complessità della crisi d’impresa, fattibilità giuridica ed eccezione di inadempimento sollevata dal curatore

III. Dovere di dissuasione e garanzia per i terzi creditori: automatismo e garanzia

I. La vicenda

Tribunale di Monza, decreto 10 marzo 2020 (Presidente Relatore dott.ssa C. Giovannetti)

All’esito infausto di una domanda di concordato preventivo seguiva la dichiarazione di fallimento da parte del Tribunale di Monza e l’insinuazione rituale al passivo fallimentare del legale che aveva patrocinato l’impresa nel procedimento di concordato “in bianco”. Invocava, con riferimento al saldo per l’attività di studio, il privilegio di cui all’art. 2751 bis comma 2 n. c.c. ed in parte richiedeva il riconoscimento della prededuzione ai sensi dell’art. 111 l.f.

Il curatore fallimentare sollevava tempestiva eccezione di inadempimento.

Il Giudice delegato, con provvedimento ampiamente motivato, accoglieva l’eccezione sollevata ed escludeva il credito dal passivo “poiché l’intero impianto concordatario, in una prospettiva ex ante, era ictu oculi giuridicamente non fattibile”.

Avverso il decreto del Giudice proponeva opposizione ex art. 98 l.f. il creditore escluso ed il giudizio si concludeva con il decreto in commento.

Il decreto in questione, che si lascia apprezzare per chiarezza espositiva dei temi trattati, si muove essenzialmente lungo due direttrici: la prima costituita dalla consapevole complessità della crisi d’impresa con il presupposto nella necessaria conoscenza interdisciplinare in capo al patrocinatore; la seconda costituita dal necessario rispetto della fattibilità giuridica della proposta concordataria quale elemento costitutivo minimo dell’obbligazione assunta dall’avvocato nell’interesse immediato della proponente e mediato del ceto creditorio in quanto tale.

Il provvedimento reso dal Tribunale di Monza attribuisce un ruolo di “regia” e coordinamento al legale che presenta una domanda di concordato preventivo; ruolo di coordinamento che non può prescindere dalla conoscenza di nozioni proprie dell’economia aziendale e della ragioneria.

Come sovente accade, la soddisfazione del ceto creditorio passa dalla realizzazione di immobili, cespiti penalizzati in questo particolare momento storico. In modo non dissimile la procedura che ha originato questo giudizio affidava la soddisfazione del ceto creditorio alla vendita di un fabbricato industriale; sin dalle prime battute è stata posta in discussione la stima allegata alla domanda, poiché un cespite similare sito peraltro nel medesimo comune censuario era stato alienato ad un prezzo inferiore di circa il 50% rispetto a quello indicato nella perizia allegata dalla ricorrente. Al minor valore del compendio immobiliare conseguiva l’impossibilità di soddisfare il requisito minimo di cui all’art. 160 l.f. del pagamento nella misura del 20% dei creditori chirografari.

Nel caso di specie al legale che ha assistito l’impresa è stato contestato di non aver rilevato “la manifesta incongruenza ed illogicità delle perizie di stima a firma … laddove attribuiscono ai fini della determinazione dell’attivo concordatario valorizzazioni separate e distinte agli stessi beni quali controsoffittatura e impianto di condizionamento, che per cognizione comune costituiscono parte integrante di un fabbricato”, oltre che di aver “omesso di rilevare la manifesta incongruità della relazione di stima dell’immobile, asset fondamentale per la stessa fattibilità giuridica del concordato, laddove alla scarna descrizione dell’immobile segue un altrettanto scarno giudizio di stima motivato dall’apodittico richiamo ai diversi valori medi di mercato, privando così di affidabilità le conclusioni ivi tratte”.

Illogicità sollevata sin dalle prime fasi della procedura da parte del commissario provvisorio, sulla scorta dei risultati degli esperimenti d’asta tenutisi nel circondario del tribunale adito. Da ciò il Tribunale di Monza contesta al legale creditore di aver “omesso di dissuadere la società dal presentare la domanda di concordato non conforme al modello giuridico, privando di utilità tutta l’attività prodromica e preparatoria posta in essere… dilatando i tempi della procedura, protrattasi per un anno, con aggravio di costi ed ulteriore pregiudizio per i creditori”.

II. Complessità della crisi d’impresa, fattibilità giuridica ed eccezione di inadempimento sollevata dal curatore.

La sommarietà della fase d’ammissione al passivo fallimentare non esime il curatore dal compiere una valutazione preliminare del credito, dovendo sollevare, ove ne sussistano i presupposti, l’eccezione di inadempimento[1].

Da tempo si ritiene che anche nei confronti dei professionisti, compresi ovviamente gli avvocati, sia possibile eccepire l’eccezione dilatoria di cui all’art. 1460 c.c.[2] finalizzata a paralizzarne la domanda d’adempimento.

Muovendo dalla complessità della crisi d’impresa e dall’interdisciplinarietà dell’approccio risolutivo alla stessa[3], il Tribunale di Monza evoca, per valutare la posizione del patrocinatore, “i principi di responsabilità che governano il lavoro in equipe”, contemplando “il controllo sull’operato altrui”[4].

Al legale viene attribuito il ruolo di coordinare l’opera degli altri professionisti incaricati dal proprio assistito. Ed invero, come noto, diverse figure entrano in scena nella gestione della crisi oltre al primo: il commercialista, a cui compete usualmente l’aggiornamento delle scritture contabili e la supervisione, se non la predisposizione di un bilancio intermedio; l’advisor, per la redazione del piano della procedura, soprattutto con riferimento allo sviluppo temporale della stessa, alle valutazioni in ordine agli scenari avversi, etc.; l’attestatore, con i noti e complessi compiti di valutazione della fattibilità e della convenienza della proposta; altri periti, chiamati a stimare i beni mobili o immobili eventualmente presenti nell’attivo.

Non si è beninteso in presenza di una responsabilità exart. 2232 c.c., dal momento che gli altri professionisti coinvolti non si possono considerare né sostituti, né ausiliari dell’avvocato incaricato della presentazione della domanda. Si fa leva piuttosto sul fatto che al legale compete il ruolo di “propulsore della procedura”[5], non fosse altro perché è l’unico titolare dello ius postulandi, e perché oltretutto l’accordo in senso lato tra creditore e debitore “si forma nel processo”[6].

E’ su questa base giuridica che, secondo la pronuncia a commento, il legale ricopre il ruolo di “interlocutore fra l’imprenditore in crisi ed il Tribunale”, anche se, di fatto, sovente questa funzione, soprattutto verso l’impresa, è condivisa con altri professionisti; in particolare, il legale “che assiste l’impresa nella presentazione della domanda di concordato, sarà tenuto a verificare la conformità alle linee guida di settore dei criteri di valutazione utilizzati dagli esperti estimatori, al fine di rilevare eventuali incongruenze ed illogicità nelle stime degli assets aziendali soprattutto se incidenti sulla stessa fattibilità giuridica del piano concordatario”.

Questa valutazione deve del resto compiersi anche in forza del dovere dell’avvocato di dissuadere il proprio assistito dal promuovere azioni inutilmente gravose[7], e di informare il proprio agire al perseguimento “del buon esito della lite”[8]. Siffatto dovere, per il Tribunale di Monza, può insomma considerarsi assunto in materia concorsuale anche nei confronti della massa dei creditori, dal momento che compete al legale la prededuzione per i propri compensi.

In un certo senso, si chiede al legale di compiere una pre-valutazione delle chances della domanda di concordato di superare il vaglio del Tribunale fallimentare. La “fattibilità giuridica” della proposta e la valutazione economica della stessa costituiscono forse i profili più disputati della riforma dell’istituto concordatario, o meglio delle riforme dello stesso succedutesi nel tempo. A questo punto, la prognosi di tale fattibilità viene a costituire un presupposto imprescindibile per la valutazione della fondatezza dell’eccezione d’inadempimento sollevata.

Questo significa anche che i compiti e le responsabilità del legale dovrebbero commisurarsi alla continua evoluzione della normativa e della sua interpretazione. E’ noto che, all’indomani della riforma del 2005 si era sostenuto che al giudice competesse un ruolo di mero controllo formale, di tipo notarile[9], esclusa ogni valutazione di merito[10]. Non sono neppure mancate posizione in senso contrario che riaffermavano la possibilità di estendere il controllo al merito della proposta[11]. Si è poi formato un terzo orientamento, intermedio, che riconosceva all’autorità giudiziaria un controllo di legittimità sostanziale, ovverosia una valutazione che, esclusa ogni considerazione di merito, vagliasse la completezza dei dati affinché possa formarsi il consenso pieno dei creditori[12]. Su questa linea direttrice si è infine concretato l’approccio prevalente di ascrivere al giudice il compito di vagliare la “completezza e l’affidabilità della documentazione depositata“, risultando “permesso il sindacato sulla veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti, sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica”[13].

E dunque l’avvocato patrocinatore, sulla base di questi principi, con l’ausilio degli altri componenti dell’équipe, dovrebbe vagliare preventivamente se sussistono buone chances di accoglimento della domanda concordataria. Il che induce a sollevare due interrogativi, non esplorati dal Tribunale di Monza, che pure ha riconosciuto la peculiarità della materia: in quali termini può entrare in gioco l’art. 2236 c.c., che limita, in caso di speciale difficoltà, la responsabilità del professionista al dolo e alla colpa grave ? In secondo luogo, visto che i principi della responsabilità “in équipe” si sono formati in ambito sanitario, ove si riscontra una eguale formazione di base di tutti i partecipanti, è possibile attribuire all’avvocato patrono la responsabilità in parola, anche quando l’errata stima del “buon esito” della domanda discenda da elementi (in ipotesi, inadeguati o falsi) fornitigli da altri membri dell’équipe, che egli non era in grado di ben vagliare, non essendo fornito di analoga formazione (in specie in materia economica)?

[1] Eccezione da sollevarsi rispetto ad ogni azione eventualmente promossa (cfr. Cass. 3 maggio 1979 n. 2549 in Mass. Giust. Civ., 1979) e tempestivamente a cura del curatore, non rientrando tra quelle rilevabili d’ufficio (cfr. Cass. 18 luglio 2012 n. 12416, in Diritto e giustizia on line, 2012).

[2] In questi termini, Cass., Sez. Civ. II, 16 luglio 2018, n. 18.858 con nota di Bruno, Il contratto di patrocinio è atto distinto e separato dal mandato alle liti, in Dir. & Giustizia, 2018, p. 18 e ss.; Cass. 5 luglio 2012 n. 11304; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2257; Cass., Sez. Civ. II, 23 aprile 2002, n. 5928 in Giur. it., 2003, p. 460.

[3] Si veda Ibba, Il nuovo diritto societario tra crisi e ripresa (diritto societario quo vadis ?), in Riv. società, 2016, p. 1026, per cui a tale complessità certamente non è estraneo lo “scadimento davvero insostenibile della qualità della produzione normativa”.

[4] Cfr. Trib. Milano, Sez. I, 5 febbraio 2020, n. 1007, Redazione Giuffrè. L’ascritto ruolo di “direzione” non comporta peraltro che si trasformi “l’obbligo di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione” agli altri componenti dell’equipe (Trib. Milano, Sez. I, 12 febbraio 2020, n. 1350, Redazione Giuffrè).

[5] Così, Trib. Bolzano, 14 luglio 2017, richiamata dal Tribunale di Monza nel decreto in esame.

[6] Censoni, Il concordato preventivo, in Jorio-Sassani, Trattato delle procedure concorsuali, Milano, Giuffrè, 2016, IV, p. 12.

[7] Cfr. Trib. Catanzaro, Sez. I, 4 giugno 2018, n. 937, Redazione Giuffrè: “l’avvocato ha l’obbligo di non consigliare azioni inutilmente gravose e di informare il cliente delle caratteristiche della controversia e delle possibili soluzioni, sussistendo in capo a questi un vero e proprio obbligo di dissuasione”.

[8] Cass., Sez. Civ. III, 6 febbraio 1998, n. 1286, in Foro it., 1998, I, c. 1917: “l’avvocato nell’espletamento dell’attività professionale, deve tendere a conseguire il buon esito della lite per il cliente e pertanto sussiste la sua responsabilità se, probabilmente e presuntivamente, applicando il principio penalistico di equivalenza delle cause (art. 40 e 41 c.p.), esso non è stato raggiunto per sua negligenza”.

[9] Cfr. Censoni, Il “nuovo” concordato preventivo, in Giur. Comm., 2005, p. 749 e ss.

[10] Cfr. Cass. 29 ottobre 2009, n. 22927, in Fallimento, 2010, p. 822; e v. anche App. Milano, 4 ottobre 2007, in Dir. fall., 2008, II, p. 317: “la fattibilità del piano è nozione che attiene alle modalità operative che si presentano, in linea di principio idonee a far conseguire i fondi occorrenti per regolare i debiti. Ne deriva che la concreta realizzabilità del piano, nelle sue articolazioni e modalità, non è questione che attiene alla sfera di cognizione del giudice, e ciò soprattutto nella fase di ammissione”

[11] Si veda, in particolare con riguardo al tema del valore dei beni offerti ai creditori per la soddisfazione, Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in Giur. it., 2006, I, p. 559.

[12] Tra le tante, App. Torino, 19 giugno 2007, in Fallimento, p. 1315.

[13] Cfr. Cass., I Sez. Civ., 4 maggio 2017, n. 10819, in Guida al diritto, 29, p. 72.

III. Dovere di dissuasione e garanzia per i terzi creditori: automatismo e garanzia.

La questione decisa dal Tribunale di Monza ruota intorno alla inadeguata valorizzazione di un bene immobile.

Pertinente è la lettura dell’art. 161, comma 2, lettera b), in relazione alla lettera d), l.f. Nella lettera b) si fa riferimento ad “uno stato analitico ed estimativo delle attività” mentre con riferimento ai beni degli eventuali soci illimitatamente responsabili la norma si esprime richiedendo che venga indicato “il valore dei beni…”. Il valore dei beni dei soci illimitatamente responsabili non pare ai più rappresentare un quid diverso rispetto alla stima delle attività analiticamente esposte, i termini parendo utilizzati come sinonimi. In entrambi i casi si dovrà insomma indicare il valore monetario dei beni, analiticamente individuati, di guisa che sia possibile determinare l’attivo da destinarsi alla concreta soddisfazione dei creditori.

L’ulteriore domanda che sorge spontanea alla luce dei principi affermati nella pronuncia a commento, è abbastanza intuibile. Qual è il confine tra una carenza non grave dell’elaborato altrui e l’inverarsi di una responsabilità – espressione dell’obbligazione dissuasiva – del patrono? Nel concreto: l’esito di un’asta per un bene similare, nel medesimo contesto territoriale, costituisce di per sé motivo di critica o meglio parametro per la valutazione della congruità della stima di un bene resa da altro professionista?

Il sostantivo “stima” evoca in realtà un apprezzamento soggettivo. Oltre a ciò non si può ignorare l’intento acceleratore impresso alle aste con la modifica del secondo comma dell’art. 571 c.p.c.[14]. Ciò conduce a ritenere inadeguata la mera assunzione del prezzo di vendita al metro quadro spuntato in un asta pubblica, quale elemento esterno di comparazione del valore per altro bene: non è in effetti detto che in sede d’asta si realizzi anche per il secondo immobile il medesimo prezzo al metro quadrato, poiché l’esito dell’asta dipende da altre variabili (in specie, la presenza di contendenti più o meno determinati) che non il valore di mercato di un bene.

Dunque, se è corretto determinare il valore di un dato bene secondo le molteplici e concorrenti circostanze considerate dal perito; se è corretto escludere l’assunzione del prezzo realizzato in sede d’asta come parametro obiettivo, per le ragioni di cui si è detto, è invece giusto chiedersi se, nel caso di specie, vi sia stato o meno un processo di valutazione incentrato sull’effettivo valore del bene. Vale a dire che si può considerare espressione del ruolo di “regista” attribuito al legale, e quindi adempimento dell’obbligo dissuasivo, non il vaglio della stima in sé sulla scorta di un dato assunto a posteriori, bensì l’attenzione rivolta ad accertare se ex ante lo stimatore, l’advisor e l’attestatore abbiano considerato le variabili connesse al tempo della vendita e all’andamento delle aste, sì da avere apportato in considerazione di ciò adeguate rettifiche al valore di stima.

Se nella proposta concordataria non si sia considerata l’ipotesi dei ribassi d’asta, se si sia ignorata la contemporanea offerta ai pubblici incanti di altri beni con le medesime caratteristiche, se non si siano apportati i correttivi del caso, si potrà affermare l’inadempimento del legale; in altre parole, se nel piano non si siano considerati anche i c.d. “scenari avversi”, potrà ritenersi non adempiuto il dovere di dissuasione.

In definitiva, occorre evitare che affermazioni di responsabilità per il legale discendano automaticamente da una rivalutazione successiva del fatto[15]: ciò pare gravoso ed ingiusto.

Nel quadro di continue riforme del diritto societario e del diritto della crisi in senso lato, che vedono sempre più privilegiare la conservazione dell’impresa[16], o meglio che nel giudizio di comparazione tra l’interesse dei terzi e quello dell’avvio dell’impresa o della ripresa, fanno prevalere quest’ultimo[17], il comprensibile intento del Tribunale di Monza è quello di salvaguardare ancora in qualche misura il primo. Nondimeno, occorre evitare che l’estensione del contenuto del dovere di dissuasione in capo al legale in favore della massa concorsuale è questa, divenga uno strumento improprio di garanzia della stessa, volto a sopperire all’affievolimento che la tutela del ceto creditorio dei terzi ha subito nella normativa.

[14] Ove lo si ritenga applicabile anche alle vendite in seno a procedure concorsuali. Lo sarà sicuramente nell’ipotesi in cui nella vendita disposta si faccia rimando alle norme previste dal codice di procedura civile.

[15] Esclude il temuto automatismo Cass., Sez. Civ. III, 29 aprile 2020 n. 8401, in Diritto & Giustizia, 30 aprile 2020, con nota di Villani, Il cliente può rifiutare di pagare l’avvocato se prova la violazione del dovere di informazioni e dissuasione.

[16] Cfr. Salamone, Funzione del capitale e funzionamento netto della società a responsabilità limitata oggi, in Banca borsa, 2016, I, 16.

[17] Cfr. Briolini, Capitale sociale e metamorfosi della tutela dei creditori nel diritto societario più recente, in Banca borsa, 2016, I, p. 149.

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