Domande suggestive e poteri del presidente – Riflessioni sul recente orientamento della Suprema Corte

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In due recenti sentenze, la Suprema Corte  ha affrontato il tema delle domande suggestive, cercando di dare soluzione al quesito se il Presidente ovvero un suo ausiliario, possono, nel corso dell’esame da loro condotto, porre al teste domande suggestive.

L’annosa questione è stata più volte oggetto dell’esame della giurisprudenza di merito, la quale ha risposto in modo certamente non univoco.

La Suprema Corte, invece, ha risolto positivamente il quesito, nel senso che il divieto di porre domande suggestive non riguarda il Presidente, ma sarebbe soltanto circoscritto alla parte che ha chiesto la citazione del testimone ed a quella che ha un interesse comune, come appunto recita il nostro codice di rito.

Più specificamente tale assunto si baserebbe sul fatto che “nell’esame condotto dal Giudice non v’è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed interrogante”( Cass. Pen. Sez. III, 30.01.2008, n. 4721).

In altra e più recente sentenza, invece, la Corte ha affermato che “il divieto non vale, dunque, per il Giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale, e neppure per l’ausiliario”(Cass. Pen. Sez. III, 08.03.2010, n. 9157).

L’orientamento giurisprudenziale ha trovato sostegno nei primi commentatori delle sentenze citate, in particolare si è detto che il fondamento giustificativo del divieto di porre domande suggestive risiederebbe “nell’esigenza di garantire la genuinità della prova e di evitare che la possibile pregressa conoscenza dei fatti della parte richiedente, nonché la astratta o anche solo potenziale comunione d’intenti tra la stessa e il teste, possa indurre l’esaminante a guidare l’esame verso uno scopo predeterminato”(cfr. Silvestri, nota a sent. 4721/2008, in Cass. Pen. 04/2009 pag. 1555 e ss.).

Il quesito impone di procedere per ordine, tenuto anche conto che entrambe le sentenze richiamate avevano ad oggetto il delicato tema della testimonianza di minori, vittime di abusi sessuali.

Le domande suggestive sono, come è noto, quelle particolari domande che suggeriscono al teste la risposta.

La psicologia giudiziaria ha ormai da tempo evidenziato come tale tipologia di domande incida sul ricordo del teste e dunque sul suo racconto, tanto che “l’informazione contenuta in domande suggestive riguardanti un dato evento, finisce per incorporarsi nella memoria del teste e …. contribuirà ad accrescere o diminuire l’accuratezza della successiva deposizione” (Read – Bruce 1984).

È il caso ad esempio della insidiosa domanda implicativa per presupposizione, la quale implica appunto l’esistenza di qualche elemento, in realtà assente, impegnando così il testimone ad ammettere implicitamente quell’elemento ( es. <<di che colore era la cravatta del rapinatore>>? [il rapinatore in realtà non indossava una cravatta]).

Le domande suggestive, scrive il Gulotta , “affermano più di quanto non chiedano e inducono l’interrogato a rispondere in modo da confermare i presupposti della domanda”[1].

Stando così le cose, possiamo certamente affermare che questa tipologia di domande, incidendo sul ricordo del teste fino ad alterarlo e  conseguentemente sul suo racconto, finisce per inficiare proprio quella ricerca della verità sostanziale, cui fa riferimento la Suprema Corte, nella sentenza citata.

Ciò è tanto più vero con riferimento alla deposizione di minori, specie in processi aventi ad oggetto abusi sessuali.

Risalgono agli inizi del novecento i primi studi e le prime ricerche sulla suggestionabilità dei minori e sui pericoli che assediano la testimonianza di tali soggetti deboli.

Si pensi soltanto agli studi di A. Binet, che già nel 1900 sosteneva l’influenza dei fattori sociali sulla suggestionabilità dei bambini, agli studi di Stern del 1910, secondo il quale le domande suggestive venivano percepite dal bambino come impositive ed autoritarie, agli studi di Lipmann del 1911, infine allo psicologo belga Varendonck, che dalla sua esperienza di perito nel processo per l’omicidio della piccola Cecile, nel 1911 traeva un amaro reportage sull’abuso di domande suggestive poste proprio dai Giudici e sugli effetti nefasti delle stesse.

In epoca più recente studi ed esprimenti si sono moltiplicati notevolmente, basti citare, solo a titolo d’esempio, quelli di Clarke- Stewart del 1898, di Rudy e Goodman del 1991, quelli di Dent del 1992, di Ceci e Bruck del 1993, infine la ricerca italiana condotta da Gulotta ed Ercolin nel 2004.

Tutti questi studi sono costanti nell’affermare che i ricordi possono essere modificati proprio a causa di una domanda suggestiva e “che vi è una marcata interferenza tra domande suggestive e capacità di esporre i fatti vissuti”[2].

Sono queste ricerche empiriche che costituiscono il retroterra scientifico della cosiddetta Carta di Noto, la quale non a caso, alla regola 6 b), vieta l’uso di domande suggestive o implicative.

Se dunque la domanda suggestiva incide sulla rievocazione del fatto vissuto e dunque sul narrato del teste, con possibile alterazione della verità sostanziale, v’è da chiedersi se il Giudice possa porre al teste simili domande.

Ragionando stricto iure, è stato affermato che l’articolo 499 del codice di rito non prevede alcun espresso divieto per il Giudice, limitando il divieto di porre domande suggestive, soltanto alla parte che ha chiesto la citazione del teste e a quella che ha un interesse comune.

A tale affermazione si può obiettare che la stessa norma però, attribuisce al Giudice il compito di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni.

Dunque se il legislatore ha fatto del Giudice il custode della legalità e della lealtà dell’esame, appare poco probabile che poi consenta allo stesso Giudice, di porre domande che non solo suggeriscono la risposta, ma, come si è visto, producono effetti nefasti sulla deposizione del teste.

Ciò è tanto più vero per quanto riguarda il minore, ove l’articolo 498 c.p.p. prevede che sia proprio il Presidente a condurre l’esame su domande  e contestazioni fatte dalle parti e sarebbe davvero un controsenso, se lo stesso potesse porre domande idonee ad alterare il ricordo e dunque il racconto del minore.

L’interpretazione della norma che qui si propone, tende ad essere il più conforme possibile all’articolo 111 della nostra Costituzione che esige dal Giudice terzietà, imparzialità ed equidistanza dalle parti e dai loro rispettivi interessi.

Non sembra compatibile con un “giusto processo”, costituzionalmente orientato, attribuire al Giudice un potere di inserimento senza limiti nell’esame del teste, anche a rischio di vanificare e demolire strategie accusatorie e difensive.

Se è vero che la ricerca della verità sostanziale è stato definito più volte dalla Corte costituzionale come un valore assoluto e fine cui deve tendere il processo, è altrettanto vero che secoli di storia della scienza hanno insegnato che la ricerca della verità sostanziale, presuppone necessariamente la correttezza del metodo di ricerca.

 

Si è anche affermato che “se il controesame assolve alla funzione di verificare la attendibilità del teste al fine di garantire la genuinità della prova e se analoga funzione deve essere riconosciuta alle domande che il Presidente può rivolgere, sarebbe asimmetrico riconoscere solo alla parte contro interessata il potere di porre domande suggestive e non anche al Presidente del collegio” (Silvestri, cit., in Cass. Pen. 2009 n. 4 pag. 1569).

Tale considerazione è suggestiva ma non ci sembra condivisibile; verificare l’attendibilità del teste vuol dire far rilevare contraddizioni, lacune, divergenze da quanto è stato dichiarato in precedenza.

Saggiare l’attendibilità del teste è attività che può svolgere soltanto chi ha conoscenza delle dichiarazioni pregresse del teste, quelle rese nella fase delle indagini; soltanto lo studio attento e meticoloso degli atti processuali può consentire all’interrogante di mettere alla prova la credibilità del teste.

Come può dunque, il Giudice, che per dettato normativo nulla conosce di quanto è avvenuto nella fase delle indagini, saggiare l’attendibilità del teste, e ciò sulla base soltanto di dichiarazioni ascoltate per la prima volta in dibattimento; si richiedono al Giudice qualità intuitive e prontezza di riflessi  veramente non comuni.

Si pensi, solo per fare un esempio, all’escussione di un collaboratore di giustizia in un processo di criminalità organizzata, il quale, come di solito accade, ha reso fiumi di dichiarazioni contenute nei verbali illustrativi della collaborazione, cui si aggiungono le deposizioni rese in altri processi, contenuti in altri verbali dibattimentali; richiedere al Giudice di verificare l’attendibilità del teste, prescindendo dalla conoscenza degli atti processuali, sembra pretendere davvero troppo.

Alla luce di quanto detto fin qui, non sembra si possa condividere l’orientamento giurisprudenziale che si va recentemente affermando e ci si augura che la Suprema Corte operi un vero e proprio revirement, come altre volte è accaduto.

 

18.05.2010

 

Avv. Gaetano Esposito

 

 

NOTE

[1] Gulotta- Ercolin, La suggestionabilità dei bambini: uno studio empirico, in Psicologia e Giustizia, anno 5, n.1, gennaio-giugno 2004

[2] Gulotta-Ercolin, cit., pag. 5

 

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

P. Silvestri – Controesame, potere del Presidente di rivolgere domande e divieto di domande suggestive – in Cassazione Penale, n. 4, 2009

G. Dacquì – Nota a sentenza Cass. Pen. Sez. III, 9157/2010- in www.penale.it

A.  Binet – La suggestibilitè naturelle chez les enfants- in Rev. Phil., 1894

A.  Binet – La suggestibilitè- Schleicher Freres, Paris, 1900

W. Stern – Abstracts of lectures on the psychology, 1911

O. Lipmann – Pedagogical psychology of report- in Journal of Educational Psychology, 2, 1911

J. Varendonck – Les témoignages d’enfant dans un procès retentissant- in Archives de Psycholgie, 11, 1911

C. Musatti- Elementi di psicologia della testimonianza- Cedam, 1931

E. Altavilla – Trattato di psicologia giudiziaria- Utet, 1948

E. Altavilla – Accuse di bambini per delitti sessuali- in Foro Napoletano, 1957

G. Gulotta – Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale- Giuffrè, 1987

G. Gulotta – La suggestionabilità dei bambini: uno studio empirico- in Psicologia e Giustizia, anno 5, n. 1, 2004

L. De Cataldo Neuburger – Psicologia della testimonianza e prova testimoniale- Giuffrè, 1988

L. De Cataldo Neuburger – Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli e responsabilità- Cedam, 1997

G. Mazzoni – La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori: la memoria, l’intervista e la validità della deposizione- Giuffrè, 2000

Esposito Gaetano

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