Divisibilità o meno della comunione ereditaria in presenza di un abuso edilizio: TRIBUNALE ORDINARIO DI MARSALA ,sezione civile, Sent. del 14.12.2006.

sentenza 28/12/06
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La pronunzia giudiziale di scioglimento della divisione, avendo funzione suppletiva di quella negoziale, incontra gli stessi limiti di quest’ultima, poiché altrimenti opinando si finirebbe per attribuire alla prima una funzione elusiva delle norme imperative che governano la seconda.
Ne consegue che, dovendosi ritenere il negozio di scioglimento della comunione ereditaria un atto inter vivos, la sostitutiva pronunzia giudiziale non può essere emessa in violazione 17, I comma, legge 1985 n. 47 (oggi abrogato e sostituito dall’analogo art. 46, d.p.r. 2001 n. 380), che sanziona di nullità gli atti tra vivi relativi ad edifici o loro parti laddove non risultino gli estremi della concessione ad edificare (oggi permesso di costruire) od in sanatoria.
Lo scioglimento giudiziale della comunione non può, a maggior ragione, avvenire, laddove essa passi per l’atto di vendita ad un soggetto terzo, il quale all’evidenza è estraneo alla vicenda successoria, sicché il suo acquisto non può di certo essere qualificato mortis causa per il semplice fatto che i suoi danti causa (i comunisti) hanno acquistato il bene in via ereditaria.
Così opinando, infatti, si dovrebbe (non condivisibilmente) ritenere che qualsiasi acquisto da un soggetto cui il bene sia pervenuto in via ereditaria debba qualificarsi mortis causa.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI MARSALA
SEZIONE CIVILE
in persona del dr. ********************, in funzione di Giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 1683 R.G. degli Affari Civili Contenziosi dell’anno 2000 e vertente
TRA
*** ***, *** ***, elett.te dom.ti in Marsala, Via Lungomare Boeo n. 24, presso lo studio dell’Avv. **************, rappresentante e difensore come da procura a margine dell’atto di citazione;
– attori –
E
*** ***, elett.te domiciliata in Marsala, via G. Amendola “pal. Impero”, presso lo studio dell’Avv. *****************, rappresentante e difensore unitamente all’Avv. ****************, come da procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
          convenuta –
OGGETTO: Divisione ereditaria giudiziale.
CONCLUSIONI come da rispettivi atti introduttivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 4.12.2000 *** *** e *** *** convenivano in giudizio la sorella *** ***, chiedendo al Tribunale adito di disporre in tre quote uguali la divisione dei cespiti ereditari rientranti nell’asse della loro madre deceduta *** ***, e di condannare la convenuta alla corresponsione della quota parte dei frutti loro spettante per il godimento esclusivo dell’immobile a far data dal 2.2.1999; con vittoria di spese.
A sostegno delle proprie domande gli attori allegavano che in data 2.4.1973 era deceduta *** ***, lasciando a succederle in via legittima i tre figli (gli attori e la convenuta), oltre che il coniuge *** ***, titolare dell’usufrutto uxorio su un terzo dell’asse ereditario; che quest’ultimo era deceduto il 2.2.1999 e l’usufrutto si era pertanto consolidato alla nuda proprietà; che l’asse ereditario relitto dalla *** era composto da 1) immobile sito in Marsala, ***; 2) la metà indivisa di due piccoli vani di secondo piano siti in Marsala, ***; 3) la metà indivisa di ***; 4) la metà indivisa di ***; che a far data dal ***, deceduto il padre che abitava l’immobile con la convenuta, quest’ultima era rimasta nell’esclusivo godimento dell’immobile ereditario e, pertanto, doveva corrispondere agli altri eredi una quota parte dei frutti tratti.
Si costituiva *** ***, eccependo l’usucapione della quota di due terzi dell’immobile ereditario, avendo ella goduto di tale quota ideale sin dal decesso della madre, e dovendosi pertanto procedere alla divisione del solo terzo rimasto in comunione perché oggetto dell’usufrutto uxorio in capo al padre; che la richiesta di corresponsione di £ 200.000 a titolo di quota parte dei frutti ricavati dal godimento esclusivo dell’immobile non teneva in considerazione il reale valore locativo dell’immobile e delle quote spettanti agli attori; tutto quanto sopra premesso, concludeva per la divisione dell’asse ereditario, con attribuzione a sé della quota di due terzi dell’immobile.
La causa, istruita con produzione di documenti, audizione di testimoni ed esperimento di consulenze tecniche d’ufficio, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 6.12.2006, previa assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c..
 MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda congiunta di divisione dei beni in comunione ereditaria deve essere rigettata per i motivi di cui appresso.
E’ pacifico tra le parti che oggetto dell’asse ereditario sia il seguente bene immobile identificato dal c.t.u.: appartamento di secondo e terzo piano sito ad angolo tra le vie ***.
Il detto appartamento, pur sviluppandosi su due piani, costituisce un unicum abitativo come emerge dalla relazione di c.t.u. e dall’allegata planimetria (dalla quale si evince che il primo piano è sostanzialmente adibito a camere da letto e soggiorno, mentre il secondo, al quale è il primo è collegato da una scala interna, presenta diversi vani, tra cui cucina e tinello).
E’ oggetto di controversia, per contro, la consistenza delle quote ideali di ciascun coerede, posto che la convenuta ha eccepito in via riconvenzionale l’avvenuta usucapione di due terzi dell’immobile in questione, per averlo abitato da oltre 20 anni e sino al 1999 con la propria famiglia unitamente al padre, titolare dell’usufrutto sul restante terzo dell’immobile.
         L’eccezione è infondata.
E’ vero che il coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria una vera e propria interversione del titolo del possesso, ma è anche vero che tale possibilità passa per l’esclusività del godimento dei beni ereditari (ex multis: Cass. Civ., Sez. II, 25.9.2002, n. 13921; Cass. Civ., Sez. , II, 20.8.2002, n. 12260; Cass. Civ., Sez. II, 7.7.1999, n. 7075), con il relativo corpus possessionis ed animus rem sibi habendi uti dominus (e non già uti condominus).
Nel caso di specie, invece, è pacifico che ad abitare l’immobile sino al 1999 siano stati la convenuta ed altro coerede, il defunto genitore attributario dell’usufrutto sulla quota ideale di un terzo, con la conseguenza che il bene ereditario non è stato nell’esclusiva disponibilità della convenuta, la quale pertanto non può eccepire l’avvenuta usucapione delle altrui quote.
Dalla relazione di c.t.u. depositata agli atti emerge, però, oltre alla non comoda divisibilità del bene in tre lotti, che “parte delle fabbriche di terzo piano sono state costruite sopra un cornicione” e che per esse “non erano state rilasciate autorizzazioni né concessioni”.
Dei 104 mq di terzo piano, dunque, ben 54 sono stati costruiti abusivamente (cucina, tinello, disimpegno e wc).
Viene all’esame di questo giudice, quindi, la questione relativa alla divisibilità o meno della comunione ereditaria formatasi su un immobile (parzialmente) abusivo.
La giurisprudenza di merito maggioritaria ritiene che osti a tale divisibilità il disposto di cui all’art. 17, I comma, legge 1985 n. 47 (oggi abrogato e sostituito dall’analogo art. 46, d.p.r. 2001 n. 380), a mente del quale “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria”; ovvero il disposto di cui all’art. 40 della stessa legge che analogamente dispone per gli abusi edilizi realizzati prima della sua entrata in vigore in mancanza di presentazione della concessione in sanatoria, ovvero della relativa istanza accompagnata dal versamento della rate di oblazione previste.
La comminazione della sanzione della nullità per gli atti inter vivos sopra detti risponde alla ratio pubblicistica di impedire il consolidarsi di gravi violazioni urbanistiche mediante la circolazione dei beni abusivi, circolazione ritenuta confliggente con l’interesse superindividuale ad un ordinato assetto del territorio.
La tesi della non divisibilità della comunione ereditaria, tuttavia, è stata sconfessata dalla Corte di Cassazione con la pronunzia n. 15133 del 28.11.2001, secondo cui la sanzione in questione, stando al tenore letterale della norma, trova applicazione unicamente con riferimento agli atti tra vivi, con esclusione di quelli mortis causa, tra cui dovrebbe annoverarsi lo scioglimento della comunione ereditaria.
Sempre secondo tale pronunzia, la divisione ereditaria, pur attuandosi dopo la morte del de cuius, “costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma”.
La conferma della natura derivata della divisione ereditaria sarebbe data dall’art. 757 c.c., che assegna efficacia retroattiva alle attribuzioni scaturenti dall’atto divisionale.
Si osserva, peraltro, che diversamente opinando “si perverrebbe ad irragionevoli differenze di trattamento rispetto a situazioni sostanzialmente omogenee, non potendosi in alcun modo giustificare l’esigenza dell’applicazione della norma in esame alla divisione ereditaria e la non applicazione di essa alla divisione operata dal testatore oppure l’applicazione della norma in ipotesi di attribuzione ereditaria di un edificio a più soggetti e la non applicazione all’ipotesi di attribuzione ereditaria dello stesso edificio ad un solo soggetto”.
L’argomento principale della tesi sopra esposta è, dunque, la natura mortis causa dello scioglimento della comunione ereditaria, in quanto mero atto dipendente dall’apertura della successione e dall’efficacia dichiarativa.
Esso, tuttavia, non convince appieno.
Va precisato, in primo luogo che – come riconosciuto anche dalla citata sentenza della Cassazione – la pronunzia giudiziale di scioglimento della divisione, avendo funzione suppletiva di quella negoziale, di certo incontra gli stessi limiti di quest’ultima, poiché altrimenti opinando si finirebbe per attribuire alla prima una funzione elusiva delle norme imperative che governano la seconda.
E’ stato osservato, poi, che la divisione ereditaria giudiziale (al pari di quella amichevole) non è equiparabile od assimilabile ad un atto mortis causa, sebbene dalla morte di un soggetto tragga la sua causa remota (Trib. Termini Imerese 12.5.2003, in Giur. It. 2004, 987; Trib. Napoli 16.10.2002, in Giur. Napoletana 2003, 32).
Con l’apertura della successione, infatti, i coeredi divengono, sin da tale momento, titolari del diritto ad una quota ideale del tutto, ma le operazioni divisionali (sia amichevoli che giudiziali) sono volte a trasformare tali diritti già acquisiti su quote ideali in diritti di proprietà individuali sui singoli beni (Trib. Napoli 15.10.2003, in Giur. Merito 2004, pg. 1110), diritti di proprietà che nascono da un’autonoma iniziativa di soggetti diversi dal de cuius.
Quivi si nota la differenza sostanziale con la non omogenea ipotesi della divisione operata dal testatore, laddove l’attribuzione di singole proprietà è operata direttamente dal de cuius, di guisa che essa prescinde da una vera e propria comunione.
La tesi della natura meramente dichiarativa dello scioglimento della comunione ereditaria, sottesa alla pronunzia della Corte, è del resto attualmente recessiva in dottrina, ove si sottolinea la sostanziale identità nella sistematica del codice del negozio di divisione, a prescindere dalla fonte della comunione (inter vivos o mortis causa), e la sua natura costitutiva (si veda per una chiara affermazione in tal senso, sia pure quale obiter dictum, Cass. Civ., Sez. II, 29.4.2003, n. 6653, in parte motiva).
A tale configurazione non sembrerebbe ostare il disposto di cui all’art. 757 c.c., in forza del quale il coerede è reputato immediato successore in tutti i beni attribuitigli in seguito alla divisione, poiché tale disposizione si limita, con una fictio iuris e per ragioni di certezza nella circolazione dei beni giuridici, a far retroagire gli effetti (costitutivi) della stessa.
Lo stesso tenore letterale della norma, a mente della quale il coerede “si reputa” e non già “è” coerede, deporrebbe per l’esclusione della natura meramente dichiarativa della sentenza di divisione.
Né, infine, la tesi della natura costitutiva della divisione (anche) ereditaria sembra comportare un irragionevole disparità di trattamento tra l’ipotesi dell’attribuzione di un bene a più coeredi e quella di attribuzione ad un solo soggetto.
In tale ultima ipotesi, infatti, mancando la comunione, manca anche il negozio di scioglimento che rientra tra gli atti vietati dalla norma de qua, la quale non sanziona l’abusività in sé ma (di nullità) il conseguente traffico giuridico.
Anche a non volere condividere la tesi della natura di atto inter vivos del negozio di scioglimento della comunione ereditaria (con i riflessi evidenziati sulla sostitutiva pronunzia giudiziale), vi è di certo che nell’ipotesi, come quella di specie, in cui lo scioglimento debba avvenire non già mediante attribuzione di singoli beni (o parte di beni) ai condividenti ovvero con assegnazione del tutto indivisibile ad un coerede richiedente, ma mediante vendita giudiziale (stante la non divisibilità e la mancata richiesta di assegnazione da alcuna delle parti), non può sostenersi la non applicabilità dell’art. 17, comma I, legge 1985 n. 47 (oggi art. 46 d.p.r. 2001 n. 380).
In questo caso lo scioglimento della comunione passa per l’atto di vendita ad un soggetto terzo, il quale all’evidenza è estraneo alla vicenda successoria, sicché il suo acquisto non può di certo essere qualificato mortis causa per il semplice fatto che i suoi danti causa (i comunisti) hanno acquistato il bene in via ereditaria.
Così opinando, infatti, si dovrebbe (non condivisibilmente) ritenere che qualsiasi acquisto da un soggetto cui il bene sia pervenuto in via ereditaria debba qualificarsi mortis causa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, la domanda di scioglimento della comunione ereditaria deve essere rigettata.
Vale la pena di osservare che siffatta conclusione non determina chiaramente uno stato di permanente coatta comunione, ben potendo i comproprietari, nei modi e nei limiti previsti dall’ordinamento a tutela delle loro facoltà di comunisti, attivarsi per eliminare l’abuso e procedere indi a divisione.
Va disposta la trasmissione di copia della presente sentenza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Marsala per le proprie determinazioni in ordine all’abuso di cui in parte motiva.
La parte attrice ha, poi, spiegato domanda di condanna del coerede alla corresponsione della quota parte dei frutti derivati dal godimento esclusivo del bene comune.
Non avendo il c.t.u. fornito risposta al quesito postogli al riguardo, la causa deve essere rimessa sul ruolo per l’accertamento del canone di locazione ritraibile dal bene in questione a far data dal 2.2.1999.
Spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Marsala, non definitivamente pronunciando, ogni altra istanza, domanda od eccezione disattese, così provvede:
1.      rigetta la domanda di divisione;
2.      rimette la causa sul ruolo come da separata ordinanza per l’ulteriore istruttoria di cui in parte motiva;
3.      spese al definitivo.
Così deciso in Marsala, 14.12.2006.
                                                                            Il Giudice
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