Il divieto di testimonianza della polizia giudiziaria nel processo penale

Scarica PDF Stampa

Approfondimento sul divieto di testimonianza della polizia giudiziaria nel processo penale.

Volume consigliato: Dibattimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

Indice

1. Divieto di testimonianza della polizia giudiziaria: caratteri generali

L’articolo 195 c.p.p., al quarto comma, sancisce che “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non posso deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo.”
In altri termini vige un divieto per la polizia giudiziaria di deporre come testimoni nel caso in cui assumano dichiarazioni attraverso un verbale di sommarie informazioni, ex art. 351 c.p.p., oppure con denunce, querele, istanze (sporte anche oralmente), o con sommarie informazioni o dichiarazioni spontanee rese dall’indagato, come invece prevede il secondo comma dell’articolo 357 c.p.p. alle lettere a) e b).
Tale regime, però, non comporta un divieto assoluto di testimonianza indiretta per gli ufficiali di polizia giudiziaria, bensì un divieto che opera solo nell’ipotesi in cui la deposizione sia stata raccolta in atti soggetti ad una utilizzabilità limitata, quali sono i verbali di sommarie informazioni.
In altri termini la norma, così come strutturata, consente agli appartenenti alla polizia giudiziaria di riferire circa le notizie apprese da persone informate sui fatti, le cui dichiarazioni non siano state verbalizzate, mentre non consente la testimonianza “de relato”, nel caso in cui la verbalizzazione sia avvenuta.
Trovano ovviamente applicazione, nelle ipotesi in cui la testimonianza dell’agente o dell’ufficiale di polizia giudiziaria sia ammessa, le norme di cui ai primi tre commi dell’art. 195, per cui la fonte principale può essere chiamata a testimoniare su richiesta di parte o del giudice, integrando quindi la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria.

Potrebbero interessarti:
L’elemento soggettivo nella falsa testimonianza
Come deve essere valutata la testimonianza della parte offesa

2. La giurisprudenza di merito

Un’importante pronuncia [1] della Consulta ritiene questa soluzione irragionevole e indirettamente lesiva del diritto di difesa e dei principi del giusto processo.
Non è infatti ammissibile «considerare che la testimonianza “de relato” possa essere utilizzata nel caso che si riferisca a dichiarazioni rese con modalità non rispettose delle disposizioni degli art. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), c.p.p., pur sussistendo le condizioni per la loro applicazione, mentre non lo sia qualora la dichiarazione sia stata ritualmente assunta e verbalizzata. Un’interpretazione di tal fatta, darebbe rilievo processuale, anche decisivo, ad atti processuali compiuti eludendo obblighi di legge, mentre sarebbero in parte inutilizzabili quelli posti in essere rispettandoli».
Risulta fondamentale come la Corte Costituzionale abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 195, al comma 4, del codice di procedura penale, ove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni soltanto se acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), c.p.p., e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate (dichiarazioni non verbalizzate).
Infine, è opportuno ricordare come per le dichiarazioni rese dalla persona indagata/imputata vale, ad ogni modo, il divieto sancito in via generale dall’art. 62 c.p.p., il quale prevede che: “Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall’imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza.”; questo principio è attuato nel sistema processuale penale per garantire il diritto al silenzio, facente parte del più ampio diritto all’autodifesa dell’indagato/imputato.
Con riguardo alla legge delega 16 febbraio 1987 numero 81, nella direttiva 31 [2] si stabilisce espressamente che la polizia giudiziaria, durante lo svolgimento delle indagini, deve sempre redigere un verbale quale unico elemento per provare l’attività investigativa.
In particolare, nella suddetta direttiva, si specifica come sia “potere-dovere” della polizia giudiziaria assumere sul luogo o nell’immediatezza del fatto, anche senza l’assistenza del difensore, notizie ed indicazioni utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini, con divieto di ogni documentazione e utilizzazione processuale, anche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria
Dunque, questa norma stabilisce che non è in alcun caso ammessa la deposizione della polizia giudiziaria sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni (o meglio dire persone che potrebbero diventare in seguito testimoni); si è così posto un ampio divieto nei confronti di agenti e ufficiali delle forze dell’ordine circa la possibilità di assumere la veste di testimoni rispetto ad atti da loro compiuti e verbalizzati. Se così non fosse, accadrebbe che la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria, in tal modo interpretata, consentirebbe la trasmigrazione in dibattimento dell’intera deposizione resa fuori dal contraddittorio, situazione che il sistema processuale ha voluto evitare che accadesse.
In altre parole, si vuole scongiurare il fatto che delle dichiarazioni verbalizzate nella fase preliminare al procedimento, entrino nel dibattimento con il rango di prove attraverso il “cavallo di Troia” della testimonianza de relato, confermando che l’assunzione della prova deve avvenire nel regolare rispetto del contraddittorio tra le parti.
Lo spartiacque in questa fattispecie è stato il dettame importantissimo della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo tutto il quarto comma dell’art. 194 c.p.p., vietando ogni testimonianza  indiretta della polizia giudiziaria, a prescindere dall’atto verbalizzato o meno.

Note

  1. [1]

    Corte Costituzionale; 30 luglio 2008; n. 305.

  2. [2]

    La direttiva 31, della legge delega del 1987, stabilisce che è “potere-dovere” :“della polizia giudiziaria di prendere notizia e di descrivere i fatti costituenti reato compilando i verbali relativi alle attività compiute, di assicurare le fonti di prova e di impedire che i reati vengano portati ad ulteriori conseguenze; obbligo della polizia giudiziaria di riferire al pubblico ministero immediatamente, e comunque non oltre quarantotto ore, anche oralmente, la notizia del reato indicando le attività compiute e gli elementi sino ad allora acquisiti con divieto di ogni utilizzazione agli effetti del giudizio, anche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria, delle dichiarazioni ad essa rese da testimoni o dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, senza l’assistenza della difesa; potere-dovere della polizia giudiziaria, sino a che il pubblico ministero non abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini, di raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole e di assumere sommarie informazioni da chi non si trovi in stato di arresto o di fermo, con l’assistenza del difensore; potere-dovere della polizia giudiziaria di compiere gli atti ad essa specificamente delegati dal pubblico ministero e di svolgere, nell’ambito delle direttive da esso impartite, tutte le attività di indagine per accertare i reati, nonché le attività richieste da elementi successivamente emersi, informando, in tal caso, prontamente il pubblico ministero; “potere-dovere” della polizia giudiziaria di procedere, in casi predeterminati di necessità e di urgenza, a perquisizioni e a sequestri; “potere-dovere” della polizia giudiziaria di assumere sul luogo o nell’immediatezza del fatto, anche senza l’assistenza del difensore, notizie ed indicazioni utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini, con divieto di ogni documentazione e utilizzazione processuale, anche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria; previsione specifica di garanzie difensive, tra le quali devono essere comprese quelle relative agli atti non ripetibili”.

Corso di aggiornamento per l’avvocato penalista

Corso di aggiornamento sul processo penale: le questioni controverse alla luce delle prime applicazioni della Riforma Cartabia
Il percorso formativo, articolato in quattro appuntamenti da quattro ore ciascuno, affronterà le principali questioni controverse del processo penale, emerse attraverso le prime applicazioni della Riforma Cartabia. A circa un anno dall’entrata in vigore della novella, diverse sono le questioni che, nell’esercizio quotidiano della professione, gli Avvocati si stanno trovando ad affrontare senza una chiarezza sul come procedere e sulle conseguenze di determinate scelte strategiche difensive.
I Relatori, forti della propria esperienza diretta sul campo, tratteranno in ciascun incontro le criticità del nuovo processo penale, prospettando delle ipotesi di soluzione a casi concreti.
>>>Per info ed iscrizioni clicca qui<<<

Nicolò Pigatto Zanotti

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento