Diverso ambito applicativo della rinuncia all’azione rispetto alla rinuncia agli atti del giudizio ex art. 306 del codice di procedura civile.

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L’estinzione del processo civile per rinuncia agli atti del giudizio di cui all’art. 306 del codice di procedura civile va tenuta distinta dalla sentenza che dichiara la cessazione della materia del contendere derivante dalla rinuncia all’azione da parte dell’attore.

Infatti, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. Lav., 13 marzo 1999, n. 2268) la rinuncia all’azione – a differenza della rinuncia agli atti del giudizio che, per diventare operativa, necessita dell’accettazione della controparte nei modi prescritti dalla legge – preclude ogni attività giurisdizionale indipendentemente dall’accettazione dell’altra parte perché, estinguendo l’azione stessa, ha l’efficacia di un rigetto nel merito della domanda e fa, quindi, venire meno l’interesse delle controparti alla prosecuzione del giudizio per ottenere una pronuncia negativa sull’azione proposta dall’attore.

La dottrina ha analizzato i motivi per cui la rinunzia all’azione non necessita di accettazione ad opera della controparte, come invece avviene per la rinunzia agli atti del giudizio ed è giunta alla conclusione che ciò è possibile solo perché gli effetti conseguenti a tale rinuncia sono in tutto identici a quelli che produrrebbe una pronuncia di rigetto alla quale il convenuto potrebbe aspirare.

Quindi, solo perché ed in quanto la dichiarazione di cessazione della materia del contendere produce lo stesso effetto della pronuncia di rigetto della domanda il convenuto vede soddisfatta la sua pretesa e l’accettazione della rinuncia alla domanda diviene irrilevante perché alla rinuncia consegue una pronuncia di merito eguale a quella alla quale, in assenza della rinuncia, avrebbe potuto aspirare il convenuto.

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Pertanto, se la sentenza con cui viene dichiarata cessata la materia del contendere all’esito della rinunzia all’azione ha gli effetti della pronuncia di rigetto della domanda originariamente proposta, è evidente che essa è suscettibile di divenire cosa giudicata, facendo stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, ai sensi dell’art. 2909 del codice civile.

Invece, per la rinunzia agli atti del giudizio è necessaria l’accettazione della parte nei cui confronti la rinuncia è fatta quando essa abbia interesse alla prosecuzione del processo, interesse che deve concretarsi nella possibilità di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile che presuppone la proposizione da parte sua di richieste il cui integrale accoglimento procurerebbe ad essa una utilità maggiore di quella che conseguirebbe all’estinzione del processo.

Tale accettazione è necessaria perché la rinuncia agli atti del giudizio al contrario della rinuncia all’azione comporta una definizione in rito, anziché in merito, del processo.

In base a quanto previsto dall’articolo 310 del codice di procedura civile, il processo estinto non estingue però l’azione stessa. Infatti tale pronuncia di rito non preclude la possibilità di riproporre un nuovo processo, non pregiudicando l’azione giudiziale delle medesime parti.

L’estinzione, tuttavia, non è priva di effetti. Invero, rende inefficaci gli atti già compiuti nel processo estinto, ad eccezione delle sentenze di merito e delle decisioni regolanti la competenza.

Per quanto riguarda, invece, le prove introdotte nel giudizio estinto esse non potranno essere riutilizzate in un nuovo processo, ma potranno essere valutate dal nuovo Giudice come argomenti di prova ex art. 116, 2° comma, codice di procedura civile.

Frangipane Umberto

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