Deve escludersi la sussistenza del reato di detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio in presenza di quantitativi superiori ai limiti massimi fissati per l’uso personale, ma in assenza di indici ulteriori e diversi ai fini della qualificazione

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            L’ordinanza del Collegio milanese si segnala per originalità in quanto, avallando un’esegesi ormai da tempo seguita anche in altre circoscrizioni giudiziarie e nonostante l’intentio legis affiorata dai lavori preparatori, sposa la teoria secondo la quale, a mente dell’art.73 comma 1-bis del D.p.r. n.309/90 in materia di reati concernenti le sostanze stupefacenti, la mera “detenzione di un quantitativo di sostanza stupefacente superiore alle soglie fissate con il decreto ministeriale 11 aprile 2006, non integra di per sé la fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 73, co.1-bis, ma abbisogna del concorso di ulteriori elementi indicativi della destinazione a finalità diverse dal consumo personale”.
            Nel fornire un adeguato sostegno logico alle proprie argomentazioni, il Tribunale milanese ha inteso richiamare i principi fissati dall’art.12 delle preleggi in tema di interpretazione della legge in generale, laddove si stabilisce appunto che nell’applicare la legge non si può attribuire ad essa altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore una volta che sia stata promulgata.
            Si deve pertanto ritenere che la legge debba essere interpretata e applicata sulla base dell’espressione testuale delle parole e dell’enunciato normativo, indipendentemente dalle finalità mirate dal legislatore che l’ha emessa, atteso che l’intenzione del legislatore rappresenta un canone interpretativo solamente supplementare nei casi di incertezza del dato testuale.
            Seguendo l’orientamento della mera interpretazione del chiaro dato testuale della norma, il Collegio è giunto a ritenere che “la detenzione di stupefacenti possa essere penalmente sanzionata solo e in quanto le sostanze risultino, sulla scorta delle risultanze probatorie (o investigative in fase cautelare), destinate alla cessione a terzi e che il dato ponderale dello stupefacente costituisca così come le altre circostanze di fatto previste dalla norma, solo un indice della finalizzazione ad un uso diverso dal consumo personale, dunque da valutare da parte del giudicante alla luce del prudente apprezzamento”.
            I giudici del riesame hanno invero ritenuto che la prova di quanto appena sostenuto risiede nello stesso testo di legge dell’art.73, co.1-bis, nel quale il dato quantitativo viene indicato con un inciso, al pari delle altre circostanze rivelatrici della finalità di cessione a terzi.
            Detto altrimenti, la disposizione di legge in parola, interpretata sulla scorta del significato fatto palese dai vocaboli utilizzati, è apparsa al Tribunale come finalizzata non tanto a punire la semplice detenzione di un quantum di sostanza stupefacente esorbitante dai limiti predeterminati dal d.m. 11 aprile 2006, ma piuttosto la detenzione di stupefacente che possa ragionevolmente ritenersi destinato a scopi diversi dall’uso personale, in quanto “il superamento delle soglie ponderali predeterminate rappresenta solo uno dei tre fattori sintomatici della finalizzazione illecita enucleati nella disposizione”.
            “In virtù della disgiuntiva -ovvero- [ha proseguito il Tribunale del riesame] che collega tra loro nel periodo i tre indici, si deve ritenere che le tre circostanze sintomatiche della finalità di spaccio (l’ultima delle quali di carattere generico e residuale), siano equivalenti fra loro quanto a valore dimostrativo della finalità dell’azione ed eventualmente anche alternative l’una all’altra, di tal che la fattispecie incriminatrice può ritenersi integrata anche laddove la destinazione alla cessione possa essere desunta anche da una sola di esse”.
            Non è apparso pertanto peregrino per il giudice del riesame sostenere che, a discapito dell’intenzione legislativa emersa in sede di lavori preparatori, la novellata disciplina dei reati concernenti gli stupefacenti “incuneata” nella riforma emergenziale del 2006, non ha apportato alcun eloquente mutamento alle condotte precedentemente incriminate, né tanto meno ha reintrodotto il concetto della “dose media giornaliera”, abolito definitivamente in esito a consultazione referendaria.
            In conseguenza a ciò, deve ritenersi che gli enunciati della dottrina e della giurisprudenza formatisi ante novella siano tuttora resistenti e pienamente applicabili, dovendo ancora oggi il giudicante appurare l’effettiva destinazione dello stupefacente posseduto alla luce delle circostanze di segno obiettivo e soggettivo del fatto in sé, nonché dei parametri di massima ai quali lo stesso deve generalmente suggerirsi, quali la quantità, la qualità e la composizione della sostanza, la situazione reddituale del detentore e del suo nucleo familiare, la disponibilità di mezzi per il confezionamento delle sostanze, ecc., alcuni dei quali oggi appunto codificati dal nuovo comma 1-bis dell’art.73 del D.p.r. 309/90.
            Consegue da tutto ciò per il Collegio che “ la detenzione di un quantitativo di droga superiore ai limiti quantitativi massimi riferibili all’uso personale previsti dalla legge non è tale ex sé da integrare la fattispecie penale, laddove da tale dato ponderale non possa evincersi in modo certo una destinazione diversa dal consumo personale e non risultino altri elementi sintomatici di tale finalizzazione… Certo è che ove il dato ponderale, oltre a superare le soglie prefissate con d.m., sia particolarmente rilevante, può ritenersi provata la destinazione alla cessione a terzi anche in assenza di ulteriori elementi a supporto: ciò laddove il quantitativo sia oggettivamente e notevolmente superiore al bisogno individuale del detentore, compatibilmente ad un ristretto periodo di tempo ed ecceda l’entità ponderale di una ragionevole provvista (Cass.pen., 5.10.1994, Rizzo; Cass.pen., 3 giugno 1994, Raucci, nella specie si trattava di oltre due chili di hashish). Quanto poi alla costituzione di una scorta, devono ritenersi ancora validi i principi affermati dal giudice di legittimità all’epoca della disciplina previgente, alla stregua dei quali, stante la natura meramente sintomatica del dato ponderale superiore ai limiti fissati dal d.m., sarebbe arbitrario escludere dal concetto di uso personale la costituzione di una scorta, o riserva, con ciò ricreando una sorte di dose media e vanificando di fatto l’abrogazione conseguente all’esito del referendum (Cass.pen.28.10.1999, Cafagna)”.
            Tutto come prima pertanto, atteso che anche alla luce della nuova normativa in materia di reati concernenti gli stupefacenti, la detenzione di quantità di droga esorbitante i limiti necessari per un ristretto e immediato “fabbisogno personale” del detentore non assume rilevanza penale (ma solamente di carattere amministrativo, ex art.75 D.p.r. 309/90), qualora gli elementi di fatto offerti al giudice facciano ragionevolmente ritenere che si tratti esclusivamente di una scorta, o provvista, ordinata per il solo breve consumo del detentore e non anche di terze persone.

Avv. Buzzoni Alessandro

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