Decreto Balduzzi, profili di incostituzionalità

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Il tanto dibattuto “decreto Balduzzi” – il cd. “decreto omnibus” per la sanità – convertito nella L. 189/12, quale prodotto legislativo del mutato concetto di colpa penale, profila chiari scorci di incostituzionalità.
In merito, va preliminarmente rammentato che quando erano in vigore i codici preunitari, o anche durante i primi anni di applicazione del vigente codice Rocco, la dottrina e la giurisprudenza avevano finito con l’utilizzare un concetto assai rigoroso della colpa penale: si faceva, infatti, riferimento alla cosiddetta “colpa specifica” in un’accezione chiaramente autoritaria. Di talché l’evento conseguente all’accertata violazione delle regole cautelari codificate, veniva visto come una condizione obiettiva di punibilità.

E’ evidente che, all’epoca, imperasse una visione rigorosa della responsabilità per colpa, fondata soprattutto sul disvalore dell’azione, con la conseguenza che la colpa finiva con l’essere sospinta sul piano del versari in re illicita, assolutamente inconcepibile in una legislazione penale rispettosa dei valori individuali.

Siffatta teoria, all’evidenza desueta, ha difatti reso necessario, nelle generazioni giuridiche successive, un opportuno intervento, tale da fondare il nucleo basilare dell’indagine sulla responsabilità colposa, nella ricerca di ben precise connessioni eziologiche tra la condotta e l’evento.

Ciò suggerisce di cogliere la congruenza tra il rischio cautelato dalla regola di comportamento e quello che si è realizzato concretamente nell’evento; ed altresì di prendere in esame l’evitabilità di quest’ultimo, nonché l’attitudine della prescrizione che è stata disattesa a evitare in concreto il verificarsi del rischio.

Sulla base di tali premesse, si può, a tal punto, enunciare l’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi, il quale stabilisce testualmente che: “l’esercente la professione sanitaria, che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

È evidente come già prima facie l’enunciato normativo presenti vari aspetti di criticità, nei quali non parrebbe bizzarro ravvisare possibili profili d’incostituzionalità.
Il primo di essi sta nel fatto che ci si troverebbe di fronte ad una norma ‘ad professionem’, che delinea un’area di non punibilità riservata ad una specifica categoria.

La sfera operativa dell’intervento di riforma è, infatti, limitata agli operatori sanitari, per cui la limitazione di responsabilità, per l’ipotesi di colpa lieve prevista dall’articolo 3, è destinata ad operare in via esclusiva soltanto nei loro confronti, ponendo gravi dubbi di violazione del principio costituzionale di uguaglianza sostanziale ( art. 3 Cost.).
Orbene, la peculiarità dell’attività medica non sembra poter costituire, di per sé sola, una ragione dirimente in tema di responsabilità colposa: è illogico, nonché paradossale, negare che vi siano molte altre attività pericolose che generano rischi altrettanto gravi per la vita o l’incolumità delle persone, che giustificherebbero pertanto – in tema di colpa – un trattamento simile a quello previsto per i sanitari.

Altro profilo d’incostituzionalità si potrebbe ravvisare nella formula «non risponde penalmente per colpa lieve». Il legislatore, a ben vedere, introduce un precetto generico e foriero di confliggenti interpretazioni, evidenziando un dato normativo impreciso e contenutisticamente criticabile. A tal proposito, secondo i primi commenti della dottrina 1, la norma in esame dovrebbe essere interpretata esclusivamente nel senso che dovrebbe essere riconosciuta la responsabilità penale per i reati di omicidio e di lesioni personali nei confronti del medico che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, mentre avrebbe dovuto discostarsene in ragione della peculiare situazione clinica del malato; però, in tali ipotesi, la responsabilità penale dovrebbe essere affermata soltanto in caso di colpa grave da parte del sanitario, e dunque quando la necessità di discostarsi dalle linee guida era macroscopica ed evidente, nonché immediatamente riconoscibile.

Così che qualche autore, ha ritenuto di potere affermare che la disposizione de qua reca una vera e propria contraddizione in termini, perché ipotizza la colpa nonostante il rispetto delle linee guida; e ha ritenuto di poterla definire con il brocardo “in culpa sine culpa”.2
Non v’è chi non veda, inoltre, come il legislatore abbia mancato nel definire la nozione di colpa lieve che, a contrario, avrebbe dovuto puntualizzare attraverso precisi e determinati parametri.

È chiaro che la menzione della soglia di punibilità, quale parametro di colpevolezza del reo, il cui limite è fissato appunto attraverso il riferimento al grado di colpa, richiedeva un intervento più rigoroso dal punto di vista contenutistico.

Ultimo scoglio ermeneutico si ravvisa nelle nozioni di linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
La formulazione normativa, si badi bene, è così elastica da non consentire al giudice, e prima ancora agli operatori sanitari, di comprendere esattamente i confini dell’esimente.

Non vengono specificate, infatti, le fonti delle linee guida, quali siano le autorità titolate a produrle,[1]

quali le procedure di raccolta dei dati statistici e scientifici, di valutazione delle esperienze professionali, quali siano i metodi di verifica scientifica, e infine quale sia la pubblicità delle stesse per diffonderle; così come non v’è chiarezza in relazione alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, lasciando nel dubbio e nella imprecisione quei parametri fondamentali per punibilità del reo.

In conclusione, si può affermare che la norma in esame sia poco tecnica e che presenti incongruenze e difetti anche gravi.
Tuttavia, abbastanza chiaro è l’intento del legislatore, ossia quello di porre un limite alla responsabilità penale per colpa del personale sanitario: la sanzione penale dovrebbe rappresentare, infatti, una extrema ratio alla quale ricorrere, mentre nel nostro Paese si assiste ad una pan penalizzazione in tutti i settori, ivi compreso quello dei trattamenti sanitari.

 


[1] F. Viganò, “Il medico che si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponderà più per colpa lieve”, in Diritto penale contemporaneo, 2012.
2 Paolo Piras, “In culpa sine culpa – Commento all’articolo 3 comma 1, legge 8 novembre 2012, n. 189”, in Diritto penale contemporaneo, 2012.

 

Filomena Grassi

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