Danno da perdita della capacità lavorativa: chiarimenti su onere della prova e lucro cessante

La Cassazione chiarisce onere della prova e criteri per il risarcimento del lucro cessante in caso di perdita della capacità lavorativa specifica.

Redazione 04/07/25
Allegati

Con l’ordinanza n. 16604 del 2025, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione torna a definire i confini del danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa specifica, chiarendo i presupposti per la liquidazione del lucro cessante. Al centro della pronuncia, il tema cruciale dell’onere probatorio in capo alla vittima e la compatibilità tra menomazione accertata e concreta possibilità di reinserimento lavorativo. La Corte interviene così a consolidare un orientamento che rifiuta approcci formalistici, promuovendo una valutazione effettiva e personalizzata del danno futuro. Per approfondimenti sul tema si consiglia il Manuale pratico per invalidità civile, inabilità, disabilità e persone non autosufficienti, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione Corso avanzato di diritto del lavoro -Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni.

Corte di Cassazione -sez. III civ.- ordinanza n. 16604 del 20-06-2025

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Indice

1. L’accertamento del danno: tra residua capacità lavorativa e lucro cessante


Il caso trae origine da un grave infortunio stradale, a seguito del quale la persona lesa aveva chiesto il risarcimento del danno per perdita della capacità di guadagno, lamentando di non riuscire più a reinserirsi nel mercato del lavoro. Dopo il licenziamento, la Corte d’Appello aveva tuttavia rigettato la richiesta di ristoro integrale del lucro cessante, rilevando l’assenza di prova circa un’attiva ricerca di nuova occupazione. La pronuncia d’appello è stata impugnata davanti alla Cassazione, che ha colto l’occasione per precisare le regole applicabili nella prova e nella liquidazione di questo tipo di pregiudizio.
Nel giudizio risarcitorio, infatti, la perdita della capacità lavorativa non si identifica automaticamente con la perdita di reddito, ma implica un’analisi complessa che tenga conto dell’entità dei postumi, delle mansioni concretamente svolte prima del sinistro e delle effettive possibilità di reinserimento in altre attività. L’elemento centrale, secondo la Corte, è la coerenza tra invalidità permanente e riduzione della capacità di guadagno, da valutarsi caso per caso.

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2. Onere della prova e limite del “comportamento attivo” del danneggiato


Uno dei punti di maggiore rilievo della pronuncia è la critica all’orientamento che pretende dal danneggiato la dimostrazione dell’infruttuosa ricerca di un nuovo impiego. Secondo la Suprema Corte, tale onere si tradurrebbe in una “probatio diabolica”, incompatibile con i principi generali della responsabilità civile. Non si può subordinare il risarcimento al comportamento attivo della vittima, né si può presumere che l’assenza di iniziativa equivalga a insussistenza del danno. La ricerca di una nuova collocazione, se non effettuata, può al più rilevare sotto il profilo del concorso colposo ex art. 1227 c.c., ma non può diventare un requisito di legittimità del risarcimento.
Il giudice deve dunque attenersi a un accertamento oggettivo: una volta provata l’esistenza di postumi che limitano la capacità lavorativa specifica, è il giudizio tecnico a dover stabilire se tali limitazioni precludano o meno un reimpiego in mansioni compatibili, anche se meno retribuite.

3. I principi di diritto affermati dalla Corte


Accogliendo parzialmente il ricorso, la Cassazione enuncia alcuni principi fondamentali: il danno da lucro cessante può essere provato anche mediante presunzioni semplici, purché l’analisi sia ancorata a parametri oggettivi. L’esistenza di una percentuale di invalidità non comporta automaticamente la perdita di reddito, ma costituisce un indizio da valutare in rapporto alla concreta attività lavorativa svolta e alle sue prospettive future. Inoltre, la mancata dimostrazione della ricerca di un lavoro alternativo non esclude il diritto al risarcimento, se i postumi risultano effettivamente incompatibili con le mansioni precedentemente esercitate.
Il giudizio prognostico deve quindi fondarsi su elementi concreti, non su mere supposizioni o valutazioni astratte. L’accertamento medico-legale, se adeguatamente motivato, può costituire base sufficiente per riconoscere il danno da perdita di capacità lavorativa specifica, senza necessità di ulteriori dimostrazioni da parte della vittima.

4. Equilibrio tra tutela risarcitoria e responsabilità processuale


Con questa decisione, la Corte riafferma l’importanza di un sistema di accertamento del danno che non si trasformi in un aggravio eccessivo per chi ha subito un infortunio. La tutela giurisdizionale deve garantire equilibrio tra la necessità di evitare automatismi risarcitori e la salvaguardia del diritto a un ristoro pieno e adeguato. La dignità del lavoro non può dipendere dalla disponibilità della vittima a documentare ciò che, in molte circostanze, è concretamente impossibile dimostrare. La pronuncia si inserisce nel solco di una giurisprudenza che valorizza il principio dell’equità sostanziale e tutela il danneggiato da richieste probatorie eccessive e potenzialmente vessatorie.

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