Il danno parentale è risarcibile solo se il congiunto prova di aver subito lesioni a causa delle condizioni del parente. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: la richiesta del danno
Un signore si lesionava la superficie dell’oppio destro durante la raccolta delle olive e conseguentemente, alcuni giorni dopo, si recava al pronto soccorso dell’ospedale di Foligno, dove veniva diagnosticata una abrasione della cornea destra, con prescrizione di collirio ogni due ore ed altri medicinali. Nei giorni successivi, però, in considerazione del fatto che continuava ad accusare fastidio sensazione di un corpo estraneo all’interno dello che destro, il paziente si recava nuovamente più volte al pronto soccorso del suddetto ospedale, dove veniva sottoposto ad una TAC (risultata negativa) e ad un intervento di disinfezione della cute dell’occhio e del sacco congiuntivale, con prelievo di parte del materiale liquido presente in sede al fine di sottoporlo ad esami di laboratorio, nonché successivamente ad una risonanza magnetica delle orbite senza e con contrasto del globo oculare e ad un altro intervento di disinfezione della cute dell’occhio e del sacco congiuntivale.
Nonostante detti ulteriori ripetuti accessi, però, il paziente continuava a lamentare problematiche all’occhio e pertanto si recava presso un altro ospedale di un’altra regione, dove veniva accertata una perforazione sclerale con impegno uveale e veniva conseguentemente sottoposto ad un altro intervento chirurgico.
In considerazione del fatto che al paziente residuava un deficit visivo dell’occhio destro (in particolare, una completa cecità), agiva in giudizio, unitamente alla moglie e alla figlia, nei confronti dell’ospedale di Foligno al fine di ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali dal medesimo subiti nonché del danno per la lesione del rapporto parentale subito dai suoi suddetti congiunti. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Il tribunale di Terni, in primo luogo, ha ricordato che l’accettazione di un paziente in ospedale per il suo ricovero o per sottoporlo a una visita ambulatoriale comporta la conclusione di un contratto tra il paziente e la struttura sanitaria in virtù del quale quest’ultima deve fornire al paziente un servizio che comprende anche la prestazione medica. Il fatto che tra le due dette parti si configuri un contratto, comporta che il paziente danneggiato debba soltanto provare l’esistenza del rapporto contrattuale e poi allegare in maniera dettagliata l’inadempimento della struttura sanitaria astrattamente idoneo a determinare il danno dal medesimo lamentato (il che vuol dire provare il nesso di causalità fra il suddetto inadempimento è il danno) e che la struttura sanitaria possa successivamente andare esente da responsabilità soltanto se dimostra inesatto adempimento della prestazione sanitaria oppure impossibilità della stessa derivante da causa ad essa non imputabile.
In secondo luogo, il giudice ha affrontato il tema del danno per la lesione del rapporto parentale.
A tal proposito, il giudice ha sostenuto che, seppure non sussiste alcun limite normativo che determini di risarcibilità del danno da lesione del rapporto parentale nel caso in cui gli effetti lesivi della salute del congiunto non siano particolarmente gravi, secondo i principi generali, il danno da lesione del rapporto parentale può essere risarcito soltanto se il congiunto prova, anche attraverso delle presunzioni, di aver subito delle lesioni in conseguenza della condizione in cui versa il proprio congiunto.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto che, nonostante i sanitari dell’ospedale convenuto avessero correttamente eseguito la diagnosi di abrasione corneale al momento in cui il paziente era entrato all’interno del pronto soccorso, nei giorni successivi la struttura sanitaria non ha correttamente eseguito gli approfondimenti necessari per poter curare la patologia del paziente, evitando così i postumi nella misura poi effettivamente residuata.
Infatti, il fatto che, nonostante le terapie applicate, il paziente continuava a non migliorare nei giorni successivi ed anzi continuasse a peggiorare, imponeva ai sanitari dell’ospedale convenuto di sottoporre il paziente ad una consulenza infettivologica, in modo da chiarire il tipo di infezione ed il relativo batterio che l’aveva causata e quindi da applicare una terapia antibiotica mirata sulla base dei risultati degli esami.
Invece, la mancata effettuazione della consulenza infettivologica ha comportato che il batterio che aveva causato l’infezione nell’occhio del paziente è stato tardivamente isolato.
In considerazione di ciò, la perdita della vista dell’occhio destro del paziente è imputabile alla suddetta condotta erronea dei sanitari, che se invece avessero agito correttamente con cure tempestive avrebbero limitato il danno oculare a soli due decimi. Pertanto, posto che il visus dell’occhio destro del paziente era di otto decimi, il giudice ha ritenuto di imputare alla responsabilità dei medici la perdita di sei decimi di visus.
Per quanto riguarda la liquidazione del danno biologico, il giudice ha ritenuto di quantificarla nella misura di 23 punti percentuali, in quanto la menomazione attuale del paziente è pari al 30% (corrispondente alla perdita di otto decimi di visus), mentre la menomazione che sarebbe comunque residuata al paziente anche in caso di esatto adempimento della prestazione sanitaria era pari al 7% (corrispondente alla perdita di due decimi di visus).
Il giudice ha invece escluso una sofferenza psichica del paziente, tale da poter essere risarcita come un danno autonomo ulteriore rispetto a quello biologico differenziale sopra, in quanto il dolore è stato localizzato soltanto alla zona dell’occhio, la sofferenza è stata qualificata come lieve ed infine l’interferenza con le attività della vita quotidiana di sarebbe comunque stata in considerazione del tipo di patologia sofferta dal paziente anche senza l’errore medico.
Infine, il giudice ha altresì escluso il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale avanzato dalla moglie e dalla figlia del paziente, in quanto queste ultime non hanno provato di aver subito lesioni a causa della condizione in cui gravava il proprio congiunto.
Infatti, tenendo conto della patologia subito dal paziente e quindi del tipo di invalidità da questi subita, il giudice ha escluso la necessità di assistenza continuativa e dell’ausilio di terzi, ma soprattutto ha ritenuto che la sofferenza patita dal paziente congiunto è stata lieve. Pertanto, anche se detto paziente congiunto ha subito delle ripercussioni sulle sue attività quotidiane, lo stesso non può dirsi per la moglie e per la figlia, considerato che non hanno dovuto fornire alcun tipo di assistenza al congiunto.
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