Danno da ritardo della p.a.

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Il ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell’amministrato, ove tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario; ciò in quanto il risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla P.A. in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento presuppone che il tempo è un bene della vita per il cittadino ed il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento ha sempre un costo.

La vicenda trae origine nell’annullamento del permesso di costruire n. 12893 rilasciato il 30 luglio 2007 alla società Francesca Srl nella parte in cui poneva alcune prescrizioni alla società odierna appellante ( obbligo di cessione di un’area parcheggio pubblico, computo nella volumetria tanto del ristorante accessorio quanto del locale per il custode, divieto di installazione di pannelli fotovoltaici), nonché della determinazione del contributo di costruzione, sia con riguardo agli oneri di urbanizzazione sia relativamente al contributo sul costo di costruzione, con la condanna alla restituzione di quanto versato in più dalla originaria ricorrente. (Sentenza Tar Lombardia –Sede di Brescia n. 859/2009)

Era stata altresì richiesta la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno asseritamente arrecato alla odierna appellante società Francesca Srl

La richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.

Di conseguenza, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo favorevole, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda.

Nel caso di danno da ritardo della P.A., occorre verificare la sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo ( prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo ( dolo o colpa del dannegginate).

In buona sostanza il mero “superamento” del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra “ piena prova del danno”. La valutazione è di natura relativistica e deve tenere conto non solo della specifica complessità procedimentale, ma anche – in senso negativo per le ragioni dell’Amministrazione – di eventuali condotte dilatorie.

La domanda di risarcimento del danno da ritardo, azionata ex art. 2043 c.c., può essere accolta dal giudice solo se l’istante dimostri che il provvedimento favorevole avrebbe potuto o dovuto essergli rilasciato già ab origine e che sussistono tutti i requisiti costitutivi dell’illecito aquiliano, tra i quali elementi univoci indicativi della sussistenza della colpa in capo alla pubblica amministrazione.

In conclusione non sussiste il danno da ritardo nel caso in cui sia ravvisabile alcuna colpa nell’operato dell’amministrazione e la tempistica procedimentale ( nella specie relativa al rilascio di un permesso di costruire) consenta agevolmente di comprendere che la pluralità di modifiche presentate al progetto, i successivi esami che si sono resi necessari e le integrazioni documentali predisposte dal richiedente escludono un atteggiamento dilatorio in capo alla P.A. ( ha aggiunto la sentenza in rassegna che nel caso di procedimento caratterizzato dalla continua interlocuzione tra le parti – come è bene che sia, al fine di evitare il proliferare di inutili e dispendiosi contenziosi – non può certo affermarsi la speciosità o dilatorietà delle richieste di chiarimenti della P.A.)

Casesa Antonino

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