Danno ambientale : costituzione di parte civile del cittadino in sostituzione del Comune

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Con l’ordinanza in rassegna, il Tribunale di Cremona ha ammesso la richiesta di costituzione di parte civile avanzata da un cittadino, in sostituzione dell’amministrazione comunale, nel processo per disastro ambientale (determinato dall’inquinamento di una falda acquifera) provocato – secondo il capo d’imputazione – da una raffineria di una nota azienda petrolifera.

Ciascun cittadino-elettore è, infatti, legittimato a esercitare in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano all’amministrazione comunale, così come previsto dall’art. 9 del T.U. degli Enti Locali (D.Lgs. n. 267/00); ciò, anche quando, l’inerzia del comune sia stata determinata, come si evince dal provvedimento in commento, da valutazioni inerenti al supposto carattere satisfattivo dell’attività di recupero ambientale, medio tempore, concordata – d’intesa con i Ministeri competenti – con l’azienda danneggiante (e preordinata al ripristino e bonifica dei siti inquinati).

Nessun rilievo riveste – in senso ostativo rispetto all’ingresso processale dell’azione popolare in discorso – la stipula del predetto accordo in quanto, da un lato, espressione di scelte amministrative di natura discrezionale, oltre che “concordate” con la controparte; dall’altro, non potendosi ravvisare alcuna automatica sovrapponibilità e/o coincidenza tra il ripristino dello stato dei luoghi (da considerarsi quale “spesa” obbligata posta in capo al responsabile) ed il danno patrimoniale al territorio, bene essenziale dell’ente.

Né, del pari, risulta preclusiva la motivazione posta a base della mancata costituzione in giudizio, come ricavabile dalla relativa delibera comunale, ed ivi individuata nella ritenuta assenza di danni (di natura patrimoniale) diversi rispetto a quello ambientale, di esclusiva pertinenza del Ministero dell’Ambiente. Infatti, se da un lato – come si legge sempre nell’ordinanza – tale valutazione è “essenzialmente discrezionale”, dall’altro, pur afferendo l’individuazione e la quantificazione concreta di un possibile danno alla fase del merito, è possibile “intravvedere sin d’ora danni diversi dal danno ambientale”, rappresentati, ad esempio, “dall’investimento di risorse in incontri, progetti, studi e rapporti con la cittadinanza resi necessari dall’emergere del pericolo di grave inquinamento”, di cui in imputazione.

Il provvedimento in parola si pone sulla scia di quell’orientamento (oramai consolidato) che individua nello Stato (e segnatamente nel Ministero dell’Ambiente) il titolare esclusivo della pretesa risarcitoria relativamente al danno ambientale inteso come interesse pubblico – in aderenza a quanto disposto dalla norma speciale di cui all’art. 311 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. n. 152/2006) – e che riconosce, al contempo, una legittimazione degli enti territoriali per il risarcimento dei danni patrimoniali diversi, riconducibili sotto la disciplina della norma generale di cui all’art. 2043 c.c. (vedasi in tal senso Cass. n. 41015/10).

In altri termini, la plurioffensività con cui si palesa, generalmente, il c.d. “ecoreato” determina la contestuale insorgenza di un vulnus all’interesse pubblico e generale all’ambiente (quale valore di rilievo costituzionale), di pertinenza statale, e la possibile lesione di interessi locali ed ulteriori di cui sono portatori le amministrazioni comunali danneggiate.

Apollonio Gianfranco

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