Danno alla salute da contagio dell’epatite va calcolato dal momento in cui lo stesso si verifica e non dal momento in cui è percepito dal paziente

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Fatto

Un paziente si era sottoposto nel 1976 a una trasfusione di sangue presso la ASL di Cremona e tra il 1994 e il 1997, dopo aver effettuato due indagini diagnostiche, aveva appurato di aver contratto una epatite.

In ragione di ciò, il paziente aveva agito in giudizio nei confronti della amministrazione sanitaria locale chiedendo il risarcimento dei danni subiti alla propria salute (per la contrazione dell’epatite) nonché per la malattia psichica che aveva avuto dopo aver scoperto di aver contratto l’ epatite, in considerazione del fatto che riteneva di aver contratto la patologia a causa della trasfusione di sangue del 1976 per colpa della ASL.

Il giudice di primo grado aveva accolto la domanda di risarcimento danni del ricorrente, liquidando in favore di quest’ultimo un importo di oltre 700.000 €. Tuttavia, il danneggiato, non essendo soddisfatto della quantificazione operata dal giudice, ricorreva in appello, sostenendo che il giudice di primo grado avesse violato i criteri di liquidazione del danno per due ragioni: in primo luogo, poiché aveva calcolato il danno alla salute partendo da una età del danneggiato di 44 anni; in secondo luogo, perché non aveva liquidato la perdita di chances per la mancata attività professionale svolta dal ricorrente. Secondo quest’ultimo, infatti, il danno biologico avrebbe dovuto essere liquidato tenendo conto dell’età di 23 anni del paziente che questi aveva nel momento in cui ha contratto la malattia (anziché quella di 44 anni, pari all’età che il paziente aveva nel momento in cui ha scoperto l’esistenza della epatite); per quanto riguarda il secondo aspetto, invece, il paziente chiedeva la liquidazione del danno per la perdita di chances per non aver potuto ottenere una progressione di carriera all’interno della amministrazione provinciale dove lavorava nonché per non aver potuto esercitare la professione notarile o la professione forense.

La corte d’appello ha rigettato il gravame proposto dal paziente e quest’ultimo, pertanto, ha ricorso la corte di cassazione sollevando diversi motivi, fra i quali quelli che qui interessano riguardano proprio il momento iniziale da cui calcolare la quantificazione del danno biologico nonché l’aspetto relativo alla perdita di chances lavorative.

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La decisione della Corte di Cassazione

Il primo motivo di ricorso investe anche un aspetto legato al termine per il deposito di prove documentali. Infatti, il ricorrente aveva depositato in appello una consulenza tecnica di parte volta a dimostrare la data in cui è insorta la malattia (circostanza di fatto utile al ricorrente per sostenere la tesi ricorrente secondo cui il termine iniziale per la quantificazione del danno decorre dall’insorgenza della malattia e non dalla sua scoperta). La corte d’appello aveva tuttavia ritenuto inammissibile il deposito di detta consulenza di parte, in quanto depositata per la prima volta in appello e quindi tardiva perché avrebbe potuto essere depositata fin dal primo grado.

Gli ermellini hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso, in considerazione del fatto che la consulenza tecnica di parte è una semplice allegazione difensiva, che ha contenuto meramente tecnico e non ha invece alcun valore probatorio. Pertanto per la consulenza tecnica di parte non operano le preclusioni istruttorie previste per i documenti (che vietano la produzione di nuovi documenti in appello).

La Corte di appello conseguentemente è entrata nel merito del primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente aveva rilevato l’erroneità della decisione di appello nella misura in cui la stessa aveva calcolato il danno alla salute a favore del ricorrente considerando l’età di quest’ultimo pari a 44 anni (cioè il momento in cui egli aveva scoperto di avere contratto l’epatite), anziché l’età di 23 anni (momento in cui il ricorrente aveva contratto l’epatite).

Gli Ermellini hanno accolto il motivo di doglianza proposto dal ricorrente, ritenendo che la Corte di appello ha errato nel ritenere che il danno vada calcolato con decorrenza dal momento in cui la malattia è stata percepita dal danneggiato come danno ingiusto causato dal terzo.

Secondo la suprema corte, poiché l’età del danneggiato è un parametro che deve essere valutato per quantificare il risarcimento del danno, il momento in cui deve prendersi in considerazione tale parametro è quello in cui il danno si è verificato e non invece quello in cui è stato percepito dal danneggiato (momento che rileva soltanto ai fini della decorrenza dell’azione per l’esercizio dell’azione).

Infatti, secondo i giudici di ultima istanza, il danno consiste nel peggioramento del bene salute, indipendentemente dal fatto che il danneggiato abbia conoscenza dello stesso, pertanto è nel momento in cui si verifica tale peggioramento del bene che il danneggiato subisce la diminuzione patrimoniale che deve essere risarcita dal terzo.

Ebbene, nel caso di specie, il peggioramento della salute del paziente si è verificato nel momento in cui egli ha contratto l’epatite, attraverso la trasfusione del sangue, pertanto è da tale momento che va calcolato il danno alla salute. Tuttavia, prosegue la cassazione, bisogna considerare che per il danno psicologico subito dal paziente a causa della consapevolezza di aver contratto l’epatite, lo stesso non si è verificato nel momento in cui egli ha contratto l’epatite, ma in un momento successivo (evidentemente, dopo aver preso conoscenza dell’epatite) e pertanto nella quantificazione del danno psicologico si dovrà tenere conto di tale aspetto.

L’altro motivo di cassazione proposto dal ricorrente e che qui interessa riguarda, come detto, la perdita di chances, per non aver ottenuto la progressione di carriera all’interno dell’amministrazione provinciale dove il paziente lavorava e per non aver avviato la professione forense o notarile.

A tal proposito, preliminarmente, la corte di cassazione ha ricordato che la chance configura una possibilità per il danneggiato di conseguire un vantaggio o comunque di evitare un danno. Pertanto si tratta di un istituto dove non è richiesta la certezza del mancato vantaggio o del danno. Tuttavia, la possibilità di conseguire il risultato positivo o di evitare il pregiudizio deve essere seria ed apprezzabile ed inoltre il ricorrente deve fornire la prova dell’esistenza di tale possibilità (seria ed apprezzabile) nonché del fatto che la stessa è venuta meno a causa del fatto posto in essere dal danneggiante.

Nel caso di specie, la corte di cassazione ha evidenziato come la corte d’appello avesse ritenuto che mancava del tutto la prova della probabilità che il paziente potesse avere una progressione di carriera all’interno dell’amministrazione provinciale dove lavorava nonché la prova che tale progressione sarebbe stata impedita dall’esistenza della malattia. Analogamente, la corte d’appello aveva escluso che fosse stata provata la possibilità (seria ed apprezzabile) dell’esercizio della professione forense o della professione notarile da parte del ricorrente.

In considerazione di ciò, gli Ermellini hanno rigettato il motivo di doglianza in esame, perché hanno ritenuto che il giudice di merito avesse valutato la domanda formulata dal ricorrente e l’avesse ritenuta infondata per mancanza di prova, con una decisione – quindi – di merito non più sindacabile in Cassazione.

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Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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