Dalla condizione unica di figlio all’istituto della responsabilità genitoriale con particolare riferimento ai genitori non coniugati

Alessia Rizzi 18/10/21
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Sommario: I. Brevi cenni sulla condizione unica di figlio- II. Cosa accade oggi, dopo l’entrata in vigore della L. 2019/2012? – III. La responsabilità genitoriale – IV. Una pluralità di modelli familiari – V. Conclusioni.

  • Brevi cenni sulla condizione unica di figlio

La legge n.219/2012, del 10 dicembre, recante “Disposizioni in materia di filiazioneˮ, ha rappresentato una vera svolta per il diritto di famiglia, introducendo lo stato unico di filiazione, vale a dire il riconoscimento della titolarità sostanziale del rapporto di filiazione. All’articolo 315 del c.c. rubricato «Stato giuridico della filiazione», si afferma che «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico». Con ciò si intende unificare lo status giuridico dei figli rendendo la loro condizione giuridica indifferente rispetto al tipo di legame che intercorre tra i genitori. Dunque, si giunge ad una equiparazione sostanziale e, di conseguenza, ad un superamento della preesistente prospettiva che vedeva l’affermarsi di una distinzione tra ‘figli legittimi’ (figli nati nel matrimonio) e ‘figli naturali’ (figli nati fuori dal matrimonio).

Da tempo, era infatti maturata la consapevolezza della necessità di superare quelle antiche partizioni, che, nel differenziare la filiazione legittima da quella naturale, finivano per contrapporre il modello della famiglia fondata sul matrimonio alle diverse forme di convivenza familiare oramai ampiamente diffuse nella società odierna.

Lo scopo della riforma sembra infatti posto in un’ottica di integrazione di tale disciplina con i principi costituzionali sanciti dagli artt. 2,3 e 30 della Costituzione, i quali assicurano ai figli nati fuori dal matrimonio ogni forma di tutela giuridica e sociale.

Il richiamo al concetto di stato ha permesso, poi, al legislatore di affrontare un’altra delle differenze rilevanti tra figli naturali e figli legittimi, ossia il mancato riconoscimento della parentela naturale. La L. n.219/2012 ha modificato l’art.74, comma 1 c.c., stabilendo che «la parentale è il vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo». Esplicitare l’estensione della parentale naturale è stato necessario in quanto, anche se parte della dottrina la riteneva insita nell’articolo 258 c.c., la Corte costituzionale ha escluso che nella parentela naturale si formasse un vero e proprio vincolo giuridico.

L’intervento della legge n.219 si rende indispensabile ad eliminare qualsivoglia equivoco, fissando una regola generale per cui “la parentela dipende dalla generazione o, a seconda del caso, dall’adozione e non dal matrimonio ˮ.

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  • Cosa accade oggi, dopo l’entrata in vigore della L. 2019/2012?

Il legislatore si riserva di mantenere distinte le modalità di acquisizione dello stato di filiazione e di formazione del relativo titolo: con il matrimonio, il figlio acquista automaticamente lo status di figlio dei coniugi, in considerazione dell’obbligo reciproco di fedeltà; in mancanza di esso, l’accertamento dello status, avviene attraverso un atto volontario, ossia il riconoscimento, o in difetto, per mezzo dell’accertamento giudiziale, ex art. 269 c.c.

Il legislatore, con tale legge, non ha solamente reso unico il rapporto genitori-figli. Il diritto di famiglia come possiamo dedurre è, gran parte, disciplina del rapporto di filiazione, ossia quel rapporto che si instaura tra due soggetti in ragione della circostanza che l’uno è stato procreato dall’altro.

Tuttavia, la disciplina giuridica della filiazione è alquanto complessa nella misura in cui mira alla attribuzione propria di status sulla base di fattispecie che – come abbiamo appena analizzato – non si esauriscono nella procreazione (filiazione dentro e fuori al matrimonio) o, addirittura, ne prescindono completamente (filiazione adottiva o civile).

  • La responsabilità genitoriale: la nuova disciplina

Quale che sia il fondamento della filiazione, bisogna necessariamente tener conto di una disciplina molto importante, ovvero la responsabilità c.d. genitoriale. All’articolo 2, comma 1, lett. h) della legge n.219/2012, il d. lgs. n.154/2013, introduce infatti la disciplina della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio, con profili decisamente nuovi. Essa, quale categoria di matrice europea, segna un vero e proprio capovolgimento di prospettiva: il figlio da “oggetto ˮ di tutela, diviene “soggetto ˮ, con un chiaro e puntuale novero di diritti, a cui corrispondono altrettanti doveri dei genitori, dettati sempre nell’interesse del figlio medesimo e, quindi, in un’ottica di valorizzazione e potenziamento della figura del minore.

Il legislatore, in merito alla questione suddetta, è intervenuto per riorganizzare quelle norme che regolano l’esercizio della responsabilità genitoriale, apportando rilevanti modifiche alla disciplina sotto molteplici profili.

In primo luogo, le modifiche hanno riguardato il profilo lessicale: si sostituisce il termine «potestà» genitoriale con «responsabilità» genitoriale. Una evoluzione, questa, che segue il costante mutamento dei rapporti genitori e figli, tenendo in considerazione sempre l’interesse dei minori.

Il secondo profilo è quello sistematico, dove è possibile riscontrare mutamenti in sede di collocazione di disposizioni che regolano il rapporto genitori e figli, in caso di cessazione dell’unione dei genitori. Precedentemente alla riforma, tali erano collocate nell’ambito dei rapporti tra coniugi (artt.155-155 sexies c.c.); attualmente è possibile rinvenirle al Capo II del Titolo IX intitolato: “Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio ˮ.

In questo modo si è in grado di cogliere l’obiettivo di uniformare il rapporto intercorrente tra genitori e figli a prescindere dal fatto che tra essi ci sia mai stata una unione, coniugale o di diritto. Tuttavia, le innovazioni più importanti sono contenute nell’articolo 316 del c.c. rubricato propriamente “Responsabilità genitoriale ˮ e nell’articolo 317-bis rubricato “Rapporti con gli ascendenti ˮ, mentre gli articoli 316-bis e 317 presentano, rispettivamente, una mera modificazione sistematica e una lessicale.

L’art.316 c.c. è una delle disposizioni riformate maggiormente, in particolare è doveroso menzionare la sostituzione della parola «potestà» con la parola «responsabilità» genitoriale, senza definire in alcun modo quest’ultimo termine. Una omissione che si giustifica, secondo la Relazione illustrativa[1], per garantire una elasticità e plasmabilità funzionali con l’evolversi della società delle future generazioni. Tuttavia, la Relazione illustrativa, espone una precisazione del termine, identificando la responsabilità genitoriale quale «situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione che viene a sostituire il tradizionale concetto di potestà». La modifica nasce dal presupposto di non dover più considerare i rapporti genitori figli avendo riguardo al punto di vista dei genitori, ma bisogna invece considerare in primis l’interesse dei figli.

Ulteriore differenza, direi sostanziale, è la mancanza di una limitazione temporale. Nella versione precedente dell’art. 316 c.c., al comma 1 si prevedeva che il figlio rimanesse soggetto alla potestà sino alla maggiore età o comunque all’emancipazione.

Ad oggi, il nuovo testo prevede, invece, che “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale ˮ. Inoltre, la stessa Relazione afferma che tale responsabilità vincola i genitori ben oltre il raggiungimento della maggiore età, fino, quindi, a che il figlio non raggiunga una indipendenza economica.

Per quanto concerne il novero dei diritti del figlio, l’art. 315-bis c.c., testualmente recita: “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”. Da tale disposizione è possibile dedurre che il diritto a crescere in famiglia comporta da una parte, l’importanza della compartecipazione dei genitori alla definizione di un progetto educativo, e alla sua influenza sullo sviluppo della personalità e dell’identità del minore, e dall’altra, come immediata conseguenza, la necessaria responsabilizzazione dei genitori nelle scelte funzionali al loro esercizio della responsabilità genitoriale.

Si può dunque affermare che il diritto a crescere in famiglia enfatizza ancora di più la responsabilità dei genitori, e comporta che ogni istituto, come ad esempio la dichiarazione dell’abbandono morale e materiale della prole o la scelta nella tipologia dell’affidamento, o comunque qualunque provvedimento che comporti l’allontanamento del figlio dai genitori, debba essere controbilanciato con questo diritto. Di contro, il figlio è tenuto a rispettare i genitori e contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. (art.315 cc)

  • Una pluralità di modelli familiari

Tuttavia, le innovazioni proposte dalla legge n.219/2012 e dal d.lgs. n.154/2013 prendono in esame anche la pluralità di modelli famigliari diversi dalla c.d. famiglia legittima. In particolare, si fa riferimento a quel modello familiare che viene propriamente definito come “originariamente destrutturata ˮ in quanto per l’appunto si tratta di coppie di genitori mai unite, né coniugate.

L’articolo 316, comma 4 prevede che “il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambiˮ.

Con tale previsione si è dato riprova di un ulteriore superamento di antiche concezioni e si prevede superato anche il sistema precedentemente regolato dall’art.317-bis c.c., il quale nel contesto della famiglia non coniugata, condizionava l’esercizio della potestà genitoriale alla convivenza del figlio.

Lo scopo del legislatore è dunque quello di attribuire all’esercizio congiunto della responsabilità genitoriale una portata altresì più ampia, tale da prescindere dal qualsiasi tipo di legame che intercorre tra i genitori.

Nel dare un ulteriore riprova della portata così vasta che assume la riforma in questione, un rilevante contributo per quanto concerne l’ambito dei genitori non coniugati, è stato dato anche dalla modifica dell’art.258 c.c. il quale ha inciso profondamente sulla disciplina giuridica della parentela, concedendo il diritto al figlio di essere coinvolto nella rete di parentela delle famiglie dei genitori a prescindere dal fatto che quest’ultimi siano coniugati. Il figlio si troverà pertanto inserito in due famiglie, ovvero quella paterna e materna, tra loro non comunicanti.

  • Conclusioni

Attualmente, risulta chiaro come la considerazione e il riconoscimento di modelli famigliari differenti, permetta di garantire qualsiasi diritto e dunque non incorrere in un contrasto con i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale.

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Note

[1] Relazione conclusiva, 4 marzo 2013.

Alessia Rizzi

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