Cura Italia: sollevata questione d’incostituzionalità per disparità di trattamento

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In Corte Costituzionale l’ordinanza del Tribunale di Mantova.

Con provvedimento del 19 maggio 2020 il Tribunale di Mantova, sezione civile seconda, ha sollevato una particolare questione d’incostituzionalità, relativamente all’art. 83 del famoso decreto legge “Cura Italia”, definendo irragionevole ed irrazionale la scelta normativa di obbligare il giudice civile a presenziare l’udienza in Tribunale piuttosto che attribuire al semplice punto (luogo) di accesso da remoto eguale effetto.

Ciò lasciando intendere (e di fatto denunciando) una patente disparità di trattamento da parte del legislatore rispetto, ad esempio, al giudice amministrativo od al giudice penale.

L’interessante ordinanza del giudice a quo evidenzia, in primis, che la rilevanza della questione è tuttavia legata all’attualità della stessa considerato che dopo luglio 2020, dovendosi tornare al regime processuale ante-normativa covid, ci si troverebbe ad una probabile cessata materia d’esame costituzionale ovvero ad una carenza d’interesse rispetto all’intera vicenda rimessa al giudice delle leggi.

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Dubbio di costituzionalità relativamente all’art. 83, co. 7 lett. f) del D.L. 18/2020

Ad ogni modo la norma oggetto del dubbio di costituzionalità è l’art. 83, co. 7 lett. f) del D.L. 18/2020, convertito con legge n. 27/2020 per come modificato dall’art. 3, co. 1 lett. c), D.L. 28/2020, atteso che (afferma il rimettente) la stessa appare in “palese contrasto con gli artt. 3, 32, 77, 97 Cost.”.

Quanto al presupposto di rilevanza si può riscontrare, leggendo l’ordinanza summenzionata, che il giudice a quo sostanzialmente incrimina di illegittimità la novella ordinamentale portata dal suddetto D.L. 28/2020 ove quest’ultimo specifica che l’udienza “deve in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario”.

A suffragio del dubbio, cioè in relazione sempre all’attualità della rilevanza della questio, l’istruttore del processo rimettente ha utilizzato il richiamo decisorio della nota sentenza n. 91/2013 della Corte Costituzionale (relatore dell’epoca Pres. Cartabia): quest’ultima da illo tempore precisa come il giudice a quo debba considerare, nel fatto concreto, l’importanza cogente e viva del problema incidentale evinto durante l’evoluzione del processo che è nelle sue mani.

Si legga anche:”Emergenza sanitaria e sorte dei contratti: le possibili soluzioni”

Al fine di evitare, poi, che il dubbio di costituzionalità non abbia concretamente ad esser chiarito in tempi ragionevolmente compatibili con la temporalità del periodo emergenziale (ovvero entro fine luglio 2020), il rimettente giudice invoca espressamente la necessità per la quale la Corte Costituzionale sia chiamata a giudicare in via d’urgenza ex artt. 25 e 26 della legge 87/1953 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

Centro della questione è, quindi, la scelta (asseritamente) non ponderata che il legislatore ha fatto riguardo alla gestione epidemiologia in termini di calcolo effettivo del rischio possibile di diffusività del Covid in ambito giudiziario.

In buona sostanza la critica mossa dal Tribunale di Mantova parte da due presupposti: uno geografico ed uno ontologico vero e proprio.

Il primo risiede nel fatto che l’ufficio giudiziario del giudice a quo rientra nella Corte d’Appello di Brescia così da concentrarsi un rischio epidemiologico maggiore rispetto ad atre strutturazioni territoriali italiane di distretto (attesa anche l’afferenza del circondario di Bergamo e Cremona oltre a Mantova).

Il secondo è individuato dal rimettente costituzionale nei dati ufficiali dell’Istituto Superiore della Sanità, pubblicati il giorno 8 maggio 2020, relativi alla situazione della Regione Lombardia: 79.369 infezioni diagnosticate, età media prevalente a 66 anni, 14.611 decessi.

Sicché la valutazione dei suddetti due elementi di critica (geografico ed ontologico per l’appunto) hanno portato il ragionamento logico-giuridico alla non manifesta infondatezza della questione d’incostituzionalità da sollevare; ragionamento, quest’ultimo, che si pone il dubbio preciso di capire perché mai, a differenza di altri giudici del sistema giurisdizionale italiano, il legislatore avesse deciso che proprio il decidente civile, specie nel caso di composizione monocratica del collegio giudicante, dovesse obbligatoriamente celebrare l’udienza portandosi fisicamente nelle stanze dell’ufficio giudiziario invece di potersi collegare da remoto in qualsiasi punto garantito dal sistema Microsoft Teams (individuato dal Ministero della Giustizia).

Sulla base di quanto sopra, il giudice mantovano tiene a citare espressamente, ai fini di una quanto più puntuale motivazione, il provvedimento del 20 aprile 2020 a firma del Presidente della Corte Costituzionale (Prof.ssa Cartabia) con il quale, proprio per disciplinare i lavori della Consulta in fase Covid, è stato deciso in due punti che “a) la partecipazione dei giudici alle camere di consiglio e alle udienze pubbliche può avvenire anche mediante collegamenti da remoto e il luogo da cui essi si collegano è considerato camera di consiglio o aula di udienza a tutti gli effetti di legge; b) le modalità di cui alla lettera precedente possono essere adottate per ogni altra riunione della Corte… omissis”.

Un chiaro segno, il dettato provvedimentale sopra riportato, del fatto che l’orientamento costituzionale di per sé implica il necessario massimo utilizzo della modalità da “remoto” (perciò senza spostamento fisico dei membri della Consulta); motivo per cui il giudice civile del Tribunale di Mantova invocherebbe la violazione della disparità di trattamento posta in essere dal legislatore italiano con l’ultima modifica apportata al D.L. 18/2020.

A nutrire il corpo dell’ordinanza di rimessione v’è anche la (quasi) integrale trascrizione del parere n. 18/PP72020 reso dal Consiglio Superiore della Magistratura sul Decreto Legge n. 28/2020 (norma che ha modificato giustappunto il D.L. 18/2020).

Nel parere del CSM si coglie, giuridicamente, una frase piuttosto chiara in base alla quale, relativamente alla irragionevolezza della norma dubitata di costituzionalità dal rimettente mantovano, è possibile riscontrare la posizione del potere giurisdizionale sulla questione.

La celebrazione dell’udienza da remoto

In particolare si legge (da pag. 6 in poi) che per il CSM “è difficile individuare la ratio di tale scelta del legislatore, in mancanza di una sua illustrazione nella Relazione di accompagnamento, non risultando necessaria la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario per la celebrazione dell’udienza da remoto”; ma aggiunge ancora il consesso magistratuale, convintamente, che “la presenza fisica di quest’ultimo nell’ufficio giudiziario non aggiunge nulla quanto alla modalità del contraddittorio simultaneo e quanto alla sua qualità intrinseca”.

Aggiungendosi al quadro illustrato che il CSM fa salva l’ipotesi unica di giustificazione di un provvedimento tale del legislatore solo ove mai la presenza del giudice nell’ufficio giudiziario fosse necessaria al fine di garantire la funzionalità da remoto unitamente al personale di cancelleria (di cui, tra l’altro, è nota – afferma sempre il CSM – l’assenza duranza la celebrazione dell’udienza stessa); ipotesi però sconfessata (e di per sé irrealistica) per effetto del fatto che l’assistenza telematico-informatica ai fini del corretto andamento del processo da remoto è garantita mediante procedure di Help Desck quale servizio totalmente fruibile dal domicilio del magistrato, ovviamente, salvo che quest’ultimo non disponga di rete internet.

Per dipiù, continua il giudice mantovano nel richiamare il parere di cui innanzi, la necessaria presenza fisica nei locali del Tribunale del giudice civile “potrebbe inutilmente determinare l’impossibilità di svolgere le udienze da remoto sia nel caso in cui vi sia una temporanea impraticabilità dell’ufficio per la necessità di sanificazione conseguente alla scoperta di casi positivi, sia nel caso in cui i giudici siano positivi asintomatici oppure, anche se negativi, debbano permanere in isolamento domiciliare a causa del precedente contatto con persone risultate positive”.

In tali passaggi, quindi, il rimettente costituzionale riscontra una disparità di trattamento rispetto, come detto, ai giudici amministrativi e penali ed addirittura rispetto ad altre fattispecie che regolano i procedimenti civili c.d. “non sospesi”: ad esempio l’art. 83, comma 12 quinquies, del D.L. 18/2020 consente le “deliberazioni collegiali in camera di consiglio” con collegamento da remoto (mediante strumenti individuati e regolati con procedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia).

La norma appena citata, d’altronde, riconosce espressamente che “il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di Consiglio a tutti gli effetti di legge”.

Fattispecie, quest’ultima, presa dal giudice mantovano quale ulteriore parametro di comparazione, in termini di disparità di trattamento, per concludere l’ordinanza di rimessione alla Consulta sospettando d’illegittimità costituzionale l’art. 83, co. 7 lett. F, del D.L. 18/2020, come convertito dalla legge n. 27/2020 e così come poi modificato dall’art. 3 co. 1 lett. C, D.L. 28/2020 poiché in palese contrasto con gli artt. 3, 32, 77 e 97 Cost.

Al mondo giuridico, per ora, non resta che attendere il responso decisorio della Corte delle leggi ed al cui determinato provvedimentale si rimanda ulteriore analisi ed approfondimento.

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Angelo Lucarella

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