In cosa consistono le fattispecie previste nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998

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Le fattispecie previste nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo.

(Annullamento senza rinvio)

(Normativa di riferimento: D.lgs., 25/07/1998, n. 286, art. 12, c. 3)

Il fatto e i motivi addotti nel ricorso per Cassazione

La Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Mantova che aveva dichiarato R. M. colpevole del delitto di cui agli artt. 81 e 110 cod. pen. e 12, comma 3, lett. d), d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e, previa concessione delle attenuanti generiche e con la diminuente del rito abbreviato, lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 100.000 di multa, derubricata la condotta contestata nel reato di cui all’art. 12, comma 1, T.U. imm., rideterminava la pena in anni uno di reclusione ed euro 20.000 di multa, concedendo all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Secondo l’imputazione, M., in concorso con altri soggetti, aveva compiuto una pluralità di atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del predetto testo unico, di 131 cittadini stranieri, ottenendo fraudolentemente il rilascio di nulla osta al lavoro e visti di ingresso mediante presentazione di domande false e deposito di documentazione fittizia.
La Corte territoriale, dopo aver respinto i motivi di appello relativi alla responsabilità dell’imputato, aderiva all’interpretazione secondo cui la fattispecie dell’art. 12, comma 3, T.U. imm. richiede l’effettivo ingresso illegale degli stranieri nel territorio dello Stato, cosicché, se esso non avviene, come nel caso di specie, gli atti diretti a provocarlo sono puniti in forza del primo comma del medesimo articolo.
Ricorreva per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Brescia, deducendo erronea applicazione dell’art. 12, commi 1 e 3, T.U. imm..
Il ricorrente, per un verso, contestava l’orientamento adottato dalla Corte territoriale, che ritiene la fattispecie del terzo comma una ipotesi autonoma di reato che presuppone l’avvenuto ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, per altro verso, rimarcava che le condotte descritte nel terzo comma sono le medesime del primo comma, ma vengono punite con maggiore severità per le modalità che le connotano, prescindendo dall’avvenuto ingresso e ciò proprio perché alcune delle ipotesi elencate dal terzo comma non contemplano tale ingresso e anche quella di cui all’art. 12, comma 3, lett. a) T.U. imm. si riferisce ai «fatti» descritti nella prima parte del comma e, quindi, anche al compimento di «atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato».
Il ricorrente concludeva dunque per l’annullamento della sentenza impugnata.
Il difensore di R. M., dal canto suo, depositava una memoria in cui, dopo avere premesso che nessuno degli stranieri indicati sui nulla osta aveva fatto ingresso nel territorio dello Stato, ribadiva che l’art. 12, comma 3, T.U. imm. non prevede delle aggravanti del delitto di cui al primo comma dello stesso articolo, ma descrive una fattispecie autonoma di reato che si perfeziona soltanto con l’ingresso degli stranieri sul territorio dello Stato osservandosi al riguardo come tale interpretazione fosse sorretta dalla descrizione degli elementi specializzanti, nei quali si evocano l’ingresso e il trasporto degli stranieri, dal notevole incremento sanzionatorio rispetto alla fattispecie del primo comma e dalla differente natura delle altre aggravanti ad effetto speciale descritte nel successivo comma 3-ter, norma che, per di più, opera un distinto riferimento ai fatti di cui al primo e al terzo comma dell’art. 12.
Secondo il difensore, inoltre, la riforma dell’art. 12 T.U. imm. operata dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, aveva modificato in senso oggettivo la condotta punita e impone l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale; interpretazione che, per di più, impedisce di giudicare in maniera uguale condotte tentate e consumate, con la conseguente violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 2016 mentre, se il legislatore avesse voluto punire la condotta prescindendo dall’effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, avrebbe usato una locuzione espressa.
In definitiva, secondo il difensore, il delitto di cui all’art. 12, comma 3, T.U. imm. è reato di evento e non di pericolo.
In subordine, il difensore eccepiva la illegittimità costituzionale della norma, se interpretata in senso opposto, per violazione degli artt. 2, 3, 25 secondo comma e 27, primo e terzo comma della Costituzione nonché 11 e 117 della Costituzione con riferimento all’art. 49, ultimo comma, della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

Con ordinanza adottata all’udienza del 10/1/2018, la Prima Sezione penale rimetteva la questione alle Sezioni Unite.
L’ordinanza rilevava in particolare l’esistenza di due contrasti nella giurisprudenza di legittimità: il primo, relativo alla qualificazione delle fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma 3, T.U. imm., ritenute alternativamente aggravanti del delitto di cui al primo comma dello stesso articolo o ipotesi autonome di reato; il secondo, conseguente alla considerazione dell’art. 12, comma 3, T.U. imm. come fattispecie autonoma di reato, sulla sua natura di reato di pericolo o di reato di evento, nella seconda alternativa sostenendosi che, per la sua consumazione, occorre l’effettivo ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato.
Più nel dettaglio, si faceva presente come: a) un primo orientamento considerasse l’art. 12, comma 3, T.U. imm. una aggravante “per aggiunta” rispetto alla fattispecie del primo comma sulla base del criterio strutturale adottato da diverse pronunce delle Sezioni Unite: tra i due commi non mutano gli elementi strutturali essenziali della condotta, ma il fatto base viene integrato nel terzo comma mediante inserimento di dati specializzanti; b) un secondo orientamento sostenesse, invece, trattarsi di fattispecie autonoma che richiede l’effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato a differenza del reato di cui al primo comma, a consumazione anticipata: a sostegno di tale interpretazione si sottolinea il massiccio incremento sanzionatorio operato per le ipotesi del terzo comma, giustificabile soltanto se rapportato ad una effettiva violazione della disciplina, nonché il riferimento distinto ai fatti descritti dai due commi presente nel successivo comma 3-ter dello stesso articolo; c) un terzo orientamento affermasse che l’art. 12, comma 3, T.U. imm. disegna una fattispecie autonoma di reato, ma ritiene che anch’essa abbia natura di reato di pericolo o a consumazione anticipata osservandosi altresì che le ipotesi elencate nel comma si attagliano anche ad attività illecite che non determinano un ingresso effettivo dello straniero nel territorio dello Stato; ingresso che, al di là di una lettura superficiale, non è richiesto nemmeno per la prima delle cinque ipotesi, quella indicata dalla lett. a).
La Sezione rimettente segnalava infine gli effetti rilevanti della decisione sul regime sanzionatorio: la natura di aggravante dell’art. 12, comma 3 T.U. imm. ne permette il bilanciamento con circostanze attenuanti, poiché non vige il relativo divieto, dettato per le ipotesi di cui ai commi 3-bis e 3-ter.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Prima di entrare nel merito della questione prospettata, le Sezioni Unite circoscrivevano il suddetto contrasto nei seguenti termini: “- se in tema di disciplina dell’immigrazione, le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma 3, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 costituiscano circostanze aggravanti del delitto di cui all’art. 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo ovvero figure autonome di reato; se, in quest’ultimo caso, tali figure integrino un reato di pericolo ovvero a consumazione anticipata, che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato in detto territorio”.
Posto ciò, tale problematica, osserva la Corte, è stata risolta in senso differente dalla giurisprudenza di legittimità parallelamente alle modifiche ripetutamente ad essa apportate dal legislatore dato che, alla luce del fatto che il testo originario dell’art. 10 legge 6 marzo 1998, n. 40, trasfuso nell’art. 12 del d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286, puniva al primo comma «chiunque compia attività dirette a favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni della presente legge» e, al terzo comma, contemplava alcune ipotesi sanzionate più severamente e cioè il fine di lucro, il concorso di tre o più persone, l’ingresso di cinque o più persone, l’utilizzazione di servizi di trasporto internazionale o di documenti contraffatti, la finalità di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione, l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento, si osservava come fosse stato ripetutamente affermato in sede nomofilattica che le ipotesi previste dall’art. 12, comma 3 T.U. imm. non configuravano ipotesi autonome di reato ma circostanze aggravanti ad effetto speciale rispetto all’ipotesi semplice del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina delineata nel primo comma (Sez. 1, n. 44644 del 21/10/2004, omissis, Rv. 230187; Sez. 1, n. 5360 del 04/12/2000, dep. 2001, omissis, Rv. 218087) così come analoga qualificazione era stata, in precedenza, attribuita all’art. 3, comma 8 decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, conv., con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, che costituiva l’antecedente storico dell’art. 12 T.U. imm. e che era costruito in maniera analoga: si erano qualificate entrambe le ipotesi citate nella seconda parte della disposizione (fatto commesso a fine di lucro ovvero da tre o più persone in concorso tra di loro) come circostanze aggravanti ad effetto speciale e non titoli autonomi di reato (Sez. 1, n. 1761 del 25/03/1998, omissis, Rv. 210347; Sez. 1, n. 6227 del 27/11/1996, dep. 1997, omissis, Rv. 206446; Sez. 1, n. 5647 del 09/11/1995, omissis, Rv. 203054).
In seguito, invece, la legge 30 luglio 2002, n. 189, aveva apportato modifiche sia al primo che al terzo comma dell’art. 12 T.U. imm.: la condotta del primo comma veniva descritta come «atti diretti a procurare l’ingresso […]», con la sostituzione del verbo «favorire» con «procurare» e quindi, per effetto di questo novum legislativo, il terzo comma assumeva una struttura analoga a quella attualmente vigente, con la riserva iniziale («Salvo che il fatto costituisca più grave reato») e la ripetizione della condotta descritta al primo comma; il comma disponeva un aumento di pena per più ipotesi descritte separatamente: per il caso di dolo specifico di profitto, anche indiretto e, nella seconda parte, per il concorso di tre o più persone, l’utilizzo di servizi internazionali di trasporto o di documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente detenuti fermo restando che erano state altresì previste anche due aggravanti (così espressamente qualificate dal legislatore nel comma 3-quater) ai commi 3-bis e 3-ter, alcune delle quali riproducevano quelle già contemplate nella norma originaria; in sostanza, alcune ipotesi aggravate venivano separate dalle altre e quella relativa alla finalità di «lucro» veniva specificata ed ampliata.
In epoca successiva, la rilevanza attribuita alla condotta connotata dal dolo specifico di profitto era ulteriormente accentuata dalla nuova riforma operata dal decreto legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271, che aveva soppresso il secondo periodo del terzo comma, “trasferendo” le fattispecie ivi previste (concorso di tre o più persone, utilizzo di servizi internazionali di trasporto o di documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente detenuti) in una separata lettera c-bis) del comma 3-bis: in definitiva, delimitando il contenuto del comma 3 alla sola ipotesi suddetta e dunque, a causa di tale ulteriore intervento legislativo, la norma così riformata era stata interpretata nel senso di attribuire natura di reato autonomo e non di mera circostanza aggravante al delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina caratterizzato dal fine di profitto (Sez. 1, n. 7157 del 22/01/2008, omissis, Rv. 239304; Sez. 1, n. 11578 del 25/01/2006, omissis, Rv. 233872) sottolineandosi in particolare, per un verso, che la tecnica usata dal legislatore, anziché rinviare per la descrizione del precetto al primo comma, aveva riformulato completamente la disposizione (indicando sia il precetto che la sanzione), così da confezionare, anche graficamente, una ipotesi di reato del tutto autonoma, per altro verso, si rimarcava la circostanza come i successivi commi 3-bis e 3-ter facessero distintamente riferimento alle ipotesi di reato rispettivamente previste dai commi 1 e 3 (il riferimento è al testo del comma 3-bis ulteriormente modificato dal d.l. n. 241 del 2004: «Le pene di cui ai commi 1 e 3 sono aumentate se […1», mentre il comma 3-ter si applicava ai «fatti di cui al comma 3»), per altro verso ancora, si individuava la chiara ratio legis del legislatore della novella, che aveva voluto colpire in modo più severo i casi contrassegnati dal fine di lucro, connotati da maggiore gravità e pericolosità sociale, ed anche altamente riprovevoli alla coscienza collettiva, imponendo un livello sanzionatorio non riducibile per effetto delle attenuanti; da ultimo, si riteneva coerente con la natura di reato autonomo il divieto di bilanciamento di circostanze stabilito dal comma 3-quater solo per le aggravanti di cui ai commi 3-bis e 3-ter.
Veniva concluso questo excursus normativo osservandosi che la norma attualmente vigente, da ultimo riformata dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, aveva lasciato intatta la struttura dell’art. 12, comma 1 T.U. imm., modificando profondamente la parte successiva dell’articolo: la condotta dettata dal dolo specifico di profitto, anche indiretto, è ora contemplata nell’aggravante ad effetto speciale di cui al comma 3-ter, unitamente a quella contrassegnata dal fine di sfruttamento lavorativo, sessuale, di prostituzione o di minori; tuttavia, l’effetto di impedire una eccessiva riduzione della pena è stato mantenuto con il divieto di bilanciamento dettato dal comma 3-quater.
Il comma 3 di questa norma, pertanto, contempla, ora, cinque diverse ipotesi (alcune delle quali già previste nelle precedenti versioni della norma) punite con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona mentre le condotte punite sono descritte unitariamente mediante la riproduzione letterale di quella contemplata dal primo comma e il loro elenco è introdotto con la locuzione «nel caso in cui: a) […]». È presente anche la riserva iniziale «Salvo che il fatto costituisca più grave reato […]».
Il comma 3-bis, a sua volta, disegna un’aggravante «se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma», soggetta al divieto di bilanciamento stabilito dal comma 3- quater.
Delineata la storia normativa di questa disposizione legislativa, si osservava come, in sede ermeneutica, la Sez. 1, n. 40624 del 25/03/2014 avesse asserito che la descrizione delle ipotesi specializzanti contenute nel comma 3 fa ritenere che la norma descriva un reato autonomo, non una aggravante così come analoga affermazione fosse stata fatta propria anche da Sez. 1, n. 45734 del 31/03/2017, omissis, Rv. 271127, secondo cui, tuttavia, si tratta di un reato di pericolo o “a consumazione anticipata” che si perfeziona per il solo fatto di compiere atti diretti a procurare l’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in violazione della disciplina di settore, non richiedendo l’effettivo ingresso illegale dell’immigrato in detto territorio.
Le Sezioni Unite evidenziavano però come avverso tale orientamento, la Sez. 1, n. 14654 del 29/11/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 269538 sostiene che le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma 3, T.U. imm. costituiscono circostanze aggravanti del delitto di cui all’art. 12, comma 1 e non figure autonome di reato in quanto, secondo il Collegio, in assenza di espresse indicazioni legislative, il canone principale di differenziazione per individuare la natura circostanziale o autonoma di una figura criminis è rappresentato dal criterio di specialità dettato dall’art. 15 cod. pen., in quanto gli elementi circostanziali si pongono in rapporto di species ad genus al cospetto della fattispecie base del reato, costituendone una specificazione.
Orbene, le Sezioni Unite, in questa pronuncia, aderivano al secondo orientamento alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si deduceva in via preliminare che, come risulta con evidenza dagli artt. 61, 62 e 84 cod. pen., non esiste alcuna differenza ontologica tra elementi costitutivi, o essenziali, ed elementi circostanziali del reato: il legislatore, infatti, può rendere elementi costitutivi del reato ipotesi che, altrimenti, sarebbero considerate circostanze comuni ovvero considerare «fatti che costituirebbero, per se stessi, reato» come «circostanze aggravanti di un solo reato», e di conseguenza, la risposta, in ordine al dubbio sulla natura di una fattispecie, è data esclusivamente dalla ricostruzione della volontà del legislatore che, nella sua discrezionalità, tenta di articolare la valutazione penale di determinate condotte in maniera più aderente alle loro concrete manifestazioni, che mutano anche nel tempo: le numerose riforme della norma in commento sono frutto di questo tentativo, che ha tenuto conto del mutamento del fenomeno del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel corso degli ultimi decenni.
Premesso ciò, gli ermellini facevano presente come, in mancanza di una manifestazione espressa della volontà del legislatore di introdurre, con l’art. 12, comma 3 T.U. imm., circostanze aggravanti o fattispecie autonome di reato (manifestazione che, invece, si rinviene per le ipotesi descritte nell’art. 12, commi 3-bis e 3-ter T.U. imm., che il successivo comma 3-quater qualifica esplicitamente come «aggravanti»), occorresse ricavare tale volontà da indici significativi, elaborati da giurisprudenza e dottrina in mancanza di indicazioni normative sui criteri di distinzione osservandosi a questo riguardo che le Sezioni Unite avesse ribadito negli anni che il criterio principale (anche se non unico) è quello strutturale, attenendo alla struttura del precetto o della sanzione: il modo in cui la norma descrive gli elementi costitutivi della fattispecie o determina la pena è indicativo della volontà di qualificare gli elementi come circostanza o come reato autonomo; ciò, del resto, è coerente con la discrezionalità del legislatore oggetto della premessa.
Tal che, dopo aver citato diversi casi in cui la Corte ha applicato questo criterio ermeneutico, si evidenziava in questa pronuncia come il criterio strutturale ben si attagliasse alla fattispecie dell’art. 12, comma 3 T.U. imm. dato che, in conseguenza della ripetizione della descrizione della condotta presente nel primo comma, risulta evidente che gli elementi essenziali della condotta non mutano, mentre le ipotesi descritte dalle lettere da a) ad e) riguardano elementi ulteriori, che non sono necessari per la sussistenza del reato e che, secondo la valutazione del legislatore, rendono più grave la condotta posta in essere.
Per contro, si stimava come le considerazioni favorevoli ad una considerazione dell’ipotesi come fattispecie autonoma di reato non apparissero decisive giacchè la tecnica legislativa di riprodurre integralmente la descrizione della condotta presente nella fattispecie del primo comma è, senza dubbio, insolita ma ottiene lo stesso risultato che avrebbe prodotto un rinvio per relationem e dunque tale modalità redazionale della norma non viene ritenuta dalla Corte un indizio inequivoco della volontà del legislatore di creare una diversa fattispecie autonoma.
Allo stesso modo la mancata estensione del divieto di bilanciamento delle circostanze di cui al comma 3-quater alle ipotesi del terzo comma non veniva considerata indice della sua natura di fattispecie autonoma di reato, ben potendo essere conseguenza di una ragionata scelta del legislatore di sanzionare più severamente determinate ipotesi rispetto ad altre così come, da un lato, il riferimento distinto ai «fatti di cui ai commi 1 e 3», contenuto nel comma 3-ter, non dimostra la natura di fattispecie autonoma dei due commi, ben potendo applicarsi ai fatti di cui al primo comma così come aggravati ai sensi del terzo comma, dall’altro, la costruzione di aggravanti di fattispecie già aggravate, riscontrabile nei commi 3-bis e 3-ter non è affatto inusuale nella variegata produzione legislativa.
Altra argomentazione, che non veniva stimata sufficiente per aderire alla tesi opposta, consisteva nel richiamarsi alla giurisprudenza di legittimità che aveva affermato la natura di fattispecie autonoma di reato dell’art. 12, comma 3 T.U. imnn. nel testo vigente prima delle modifiche operate dalla legge n. 94 del 2009 dato che l’art. 12, comma 3 T.U. imm., così come riformato dalla legge n. 189 del 2002 e dal d.l. 241 del 2004, aveva un contenuto nettamente differente da quello attuale: una sola ipotesi era stata enucleata ed essa, per di più, si differenziava da quella del primo comma su un elemento essenziale, il dolo, che si pretendeva essere specifico con riferimento al profitto.
Veniva inoltre evidenziato come la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3 T.U. imm. così come fin qui interpretata, sollevata in via subordinata dalla difesa dell’imputato, fosse generica e, comunque, manifestamente infondata così come il giudizio di irragionevole eccessività della pena, a sua volta, veniva stimato del tutto arbitrario e soggettivo stante il fatto che il legislatore ha compiuto le sue valutazioni, individuando ipotesi ritenute non irragionevolmente assai più gravi della condotta base; ha, comunque, lasciato ampio spazio valutativo al giudice del caso concreto, sia prevedendo una forbice sanzionatoria molto ampia (dieci anni di reclusione), sia permettendo di determinare la pena mediante il bilanciamento delle circostanze, impedito solo per le ipotesi più gravi.
Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, le Sezioni Unite giungevano a formulare il seguente principio di diritto: “Le fattispecie previste nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998 configurano circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo“.
Pertanto, per effetto di questa pronuncia, gli ermellini provvedevano all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata atteso che la Corte territoriale aveva applicato all’imputato la pena prevista dall’art. 12, comma 1 T.U. imm. sul duplice erroneo presupposto della natura di reato autonomo della previsione dell’art. 12, comma 3 stesso T.U. e della necessità, per la sua applicazione, che l’ingresso nel territorio dello Stato da parte dello straniero sia effettivamente avvenuto.

Conclusioni

La sentenza in questione è il frutto di un complesso e articolato ragionamento giuridico.
In detta pronuncia, si sono soppesate, con la dovuta attenzione, le argomentazioni poste a sostegno dei diversi indirizzi ermeneutici formatisi sull’argomento, e si è deciso di aderire ad uno, piuttosto che all’altro, sulla scorta di articolate considerazioni ben ragionate.
Il giudizio sul contenuto di questa pronuncia, dunque, non può che essere positivo.
Sul piano pratico, va da sé che la natura di aggravante, e non di reato autonomo, delle fattispecie previste nell’art. 12, c. 3, d.lgs. n. 286/1998 può comportare una serie di conseguenze sul piano giuridico rilevate dalla stessa Corte in questa pronuncia nei seguenti termini: “Alla soluzione adottata conseguono effetti sostanziali e processuali, non limitati all’applicabilità del bilanciamento delle circostanze di cui all’art. 69 cod. pen. all’aggravante di cui all’art. 12, comma 3 T.U. imm.; si pensi, ad esempio, alla disciplina dell’art. 59, comma 2, cod. pen., che permette l’addebito delle circostanze aggravanti anche per colpa, mentre la qualificazione della norma come fattispecie autonoma di reato presupporrebbe esclusivamente una responsabilità dolosa; si pensi ancora all’ambito delle misure cautelari”.
E’ evidente dunque l’importanza di tale decisione per gli effetti che ne possono scaturire.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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