Corte Europea di Giustizia su addebito diretto SEPA e domicilio nazionale

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I giudici del Lussemburgo hanno emesso in data 5 Settembre 2019 la Sentenza per la causa C-28/18 giudicando che la possibilità di pagare tramite addebito diretto SEPA non possa essere subordinata al requisito del domicilio sul territorio nazionale.

Il Verein für Konsumenteninformation, associazione austriaca per l’informazione dei consumatori, contesta dinanzi ai giudici austriaci una clausola inserita nelle condizioni generali di trasporto della nota impresa ferroviaria tedesca Deutsche Bahn, secondo la quale i biglietti prenotati sul sito Internet della Deutsche Bahn possono essere pagati tramite lo schema di addebito diretto SEPA soltanto a condizione di disporre di un domicilio in Germania. L’Associazione austriaca sosteneva infatti che il sistema di pagamento online di Deutsch Bahn, che accetta pagamenti mediante carte di credito, bonifico bancario istantaneo o mediante il sistema di addebito diretto nell’area unica dei pagamenti in euro SEPA (single euro payments area) è incompatibile con il regolamento SEPA, equivalente del RID italiano, che vieta ai beneficiari di specificare lo Stato membro in cui è situato il conto di pagamento del pagatore.

Pertanto, la Corte Suprema Austriaca (Oberster Gerichtshof) investita della causa in sede di impugnazione ha chiesto alla Corte di Giustizia se la pratica di pagamento controversa della Deutsche Bahn sia effettivamente contraria al regolamento SEPA. Chiedere alla Corte di Giustizia significa, in gergo tecnico, che la Corte austriaca ha eseguito un “rinvio pregiudiziale” ai giudici europei. Questo strumento  procedurale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte di Giustizia in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte di Giustizia però non risolve la controversia nazionale.

Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte.

Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

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Il parere dell’Avvocato Generale

L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Maciej Szpunar ha argomentato che Deutsch Bahn, nell’imporre il requisito del domicilio, non possa richiedere formalmente ai clienti che desiderano acquistare biglietti online, scegliendo l’addebito diretto SEPA, di essere almeno domiciliati in Germania.  Secondo l’Avvocato infatti tale requisito di domicilio sarebbe incompatibile con le disposizioni del diritto dell’Unione che vietano alle imprese di specificare lo Stato membro in cui deve essere situato il conto di pagamento del cliente. Da queste circostanze l’Avvocato Generale deduce pertanto che la pratica di pagamento controversa della Deutsche Bahn sia contraria al regolamento SEPA.

In tale contesto, l’Avvocato Generale respinge l’argomento della Deutsche Bahn secondo cui il regolamento Sepa dovrebbe essere interpretato alla luce del regolamento relativo ai blocchi geografici (benché quest’ultimo regolamento non sia applicabile al caso di specie) il quale prevede che, qualora non siano soddisfatti i requisiti di autenticazione, come avviene anche nel caso di specie secondo la Deutsche Bahn, è consentita una discriminazione basata sul domicilio per le operazioni di pagamento.

A giudizio dell’Avvocato Generale, tale disposizione del regolamento relativo ai blocchi geografici trova applicazione soltanto nell’ambito di detto regolamento, il cui oggetto si differenzia notevolmente da quello del regolamento Sepa. Quest’ultimo regolamento, inoltre, non contiene alcun riferimento incrociato al regolamento relativo ai blocchi geografici. Per giunta, ad avviso dell’Avvocato Generale, in mancanza di qualsiasi disposizione nel regolamento SEPA che consenta di giustificare una discriminazione basata sull’ubicazione del conto di pagamento del pagatore in casi di pagamento mediante addebito diretto, la disparità di trattamento operata dalla Deutsche Bahn non può essere giustificata.

Infine, l’Avvocato Generale chiarisce che, ai sensi del regolamento Sepa, un’impresa non è tenuta ad offrire ai propri clienti la possibilità di pagare mediante addebito diretto. Ma se dovesse decidere di concedere tale possibilità ai propri clienti, essa deve offrire il suddetto servizio in modo non discriminatorio.

La Sentenza: questioni pregiudiziali ed il Regolamento SEPA

L’addebito diretto SEPA trova una sua regolamentazione all’interno del Regolamento UE n. 260 del 2012 e la questione posta dal giudice di rinvio ai magistrati Europei chiede, se l’articolo 9 paragrafo 2 del regolamento n. 260/2012 debba essere interpretato nel senso che osta a una clausola contrattuale, come quella controversa nella causa principale, che esclude il pagamento mediante addebito diretto SEPA se il pagatore non è domiciliato nello stesso Stato membro di quello in cui il beneficiario ha stabilito la sede delle sue attività.

Nella Sentenza si legge che, in via preliminare, risulta che regolamento n. 260/2012 è stato adottato anzitutto nel contesto del progetto di creazione di SEPA, destinato a introdurre, per pagamenti denominati in euro, servizi di pagamento comuni all’intera Unione in sostituzione dei servizi di pagamento nazionali. Ai sensi dell’articolo 1, lo scopo di tale regolamento è stabilire le norme per i bonifici in euro e gli addebiti diretti nell’Unione in cui sia il prestatore di servizi di pagamento del pagatore e il beneficiario del servizio o l’unico fornitore di servizi i servizi di pagamento coinvolti nella transazione di pagamento si trovano nell’Unione.

Come emerge, in particolare, dai considerando gli articoli 1 e 6 di detto regolamento, i requisiti tecnici e commerciali ivi previsti si applicano ai pagamenti nazionali e transfrontalieri effettuati nell’ambito della SEPA alle stesse condizioni di base e conformemente agli stessi diritti e obblighi, indipendentemente dall’ubicazione nell’Unione, al fine di garantire una completa migrazione verso trasferimenti e prelievi stabiliti a livello dell’Unione e quindi stabilire un mercato integrato dei pagamenti in cui non vi è alcuna differenza tra pagamenti nazionali e transfrontalieri.

In tale contesto, l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 260/2012 prevede che un beneficiario che utilizza un prelievo per riscuotere fondi da un pagatore con un conto di pagamento situato nell’Unione non deve “specificare” lo Stato membro in cui deve essere situato il conto di pagamento, a condizione che il conto di pagamento sia accessibile ai sensi dell’articolo 3 di tale regolamento, tenendo presente che è definita la nozione di “addebito diretto” L’articolo 2, paragrafo 2, di tale regolamento si riferisce a un servizio di pagamento nazionale o transfrontaliero destinato ad addebitare un conto di pagamento del pagatore, quando l’operazione di pagamento è avviata dal beneficiario sulla base del consenso del pagatore.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento n. 260/2012, un prestatore di servizi di pagamento di un pagatore che è accessibile per effettuare un addebito diretto nazionale, conformemente a un regime di pagamento, deve essere allo stesso modo, come risulta anche dal considerando 9 di detto regolamento, al fine di effettuare prelievi avviati da un beneficiario, conformemente alle norme di un regime di pagamento a livello dell’Unione, attraverso l’intermediario di un prestatore di servizi di pagamento situato in un altro Stato membro. Risulta quindi dal tenore letterale dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 260/2012, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 2, che è vietato al beneficiario di un prelievo imporre che il conto del pagatore sia situato in un determinato Stato membro, in cui tale conto è accessibile per un prelievo nazionale.

Nel caso di specie presentato alla Corte di Giustizia, è pacifico che, se la clausola controversa nella causa principale impone al pagatore l’obbligo di essere domiciliati nello stesso Stato membro di quello in cui il beneficiario ha stabilito la sede delle sue attività, vale a dire Germania, non richiede, d’altro canto, che il pagatore abbia un conto di pagamento in un determinato Stato membro. Una siffatta clausola non è pertanto espressamente coperta dalla formulazione dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 260/2012.

Tuttavia, secondo la costante giurisprudenza della Corte, è necessario che l’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione tenga conto non solo dei termini di tale legge, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti. dal regolamento di cui fa parte (sentenza del 17 ottobre 2018, Günter Hartmann Tabakvertrieb, C-425/17, EU: C: 2018: 830, punto 18 e giurisprudenza ivi citata). A tale proposito, è vero che lo scopo essenziale del regolamento n. 260/2012 è stabilire requisiti tecnici e commerciali, in particolare per quanto riguarda prelievi, al fine di istituire servizi di pagamento comuni nell’Unione.

Ne consegue che una clausola come quella in questione nel caso principale rischia di compromettere l’effetto utile dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento 260/2012, in quanto priva i contribuenti della possibilità di effettuare un prelievo da un conto membro di loro scelta. Questa clausola vanifica quindi l’obiettivo di questa disposizione, che, come è stato ricordato al punto 28 di questa sentenza, impedisce che le norme commerciali comprolineno l’istituzione di un mercato integrato dei pagamenti. dell’elettronica dell’euro, contemplato dal considerando 1 del presente regolamento.

A tale riguardo è irrilevante che il consumatore sia in grado di utilizzare metodi di pagamento alternativi. Infatti, se i beneficiari dei pagamenti rimangono liberi di offrire o di non offrire ai contribuenti la possibilità di effettuare pagamenti tramite SEPA addebita, d’altra parte, contrariamente alla richiesta della Deutsche Bahn, quando offrono tale opportunità, questi i beneficiari non possono subordinare l’uso di questo metodo di pagamento a condizioni che minerebbero l’effetto utile dell’articolo 9, paragrafo 2, regolamento 260/2012.

Le conclusioni della Corte di Giustizia

Con la Sentenza del 5 Settembre 2019, la quinta Camera della Corte Europea risponde al quesito dell’Avvocato Generale in senso affermativo: l’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 260/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, che modifica il regolamento (CE) 924/2009, deve essere interpretato nel senso che osta a una clausola contrattuale, come quella di cui trattasi nella causa principale, che esclude il pagamento mediante addebito diretto in euro effettuato tramite il regime di addebito diretto redatto a Unione europea (addebito diretto SEPA) in cui il pagatore non è domiciliato nello stesso Stato membro di quello in cui il beneficiario ha stabilito la sede delle sue attività.

Attraverso tale divieto, il regolamento intende consentire ai consumatori di utilizzare, ai fini di un pagamento mediante addebito diretto, un solo e medesimo conto di pagamento per qualsiasi operazione all’interno dell’Unione, riducendo così i costi legati al mantenimento di più conti di pagamento.È irrilevante a tale proposito che il consumatore possa utilizzare metodi di pagamento alternativi, quali una carta di credito, PayPal, o un bonifico bancario istantaneo. È vero che i beneficiari di pagamenti restano liberi di offrire o meno ai pagatori la possibilità di effettuare pagamenti mediante addebiti diretti SEPA. Invece, contrariamente a quanto sostiene la Deutsche Bahn, quando offrono tale possibilità, essi non possono subordinare l’uso di questo metodo di pagamento a condizioni che pregiudicherebbero l’effetto utile del divieto di imporre che il conto del pagatore sia situato in un determinato Stato membro.Inoltre, nulla impedisce a un beneficiario di ridurre i rischi di abuso o di mancato pagamento, prevedendo, ad esempio, che la consegna o la stampa dei biglietti sia possibile solo dopo il momento in cui esso ha ricevuto conferma dell’incasso effettivo del pagamento.

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