Corte dei Conti – Giudizi pensionistici – Sezione Giurisdizionale Marche – Giudice Unico delle Pensioni – Sentenza n. 158/2007 – Mobbing e sindrome depressiva – Configurabilità – Diritto alla pensione privilegiata – Sussistenza.

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Con la decisione in esame la Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale per le Marche – si pronuncia sul ricorso presentato da dipendente statale già in pensione anticipata per motivi di salute con il quale si chiede l’attribuzione del trattamento privilegiato.
Il ricorrente infatti affermava di essere stato mobbizzato sul luogo di lavoro e di aver conseguentemente sviluppato patologie gravi da indurlo a pensionarsi anticipatamente.
Per meglio commentare l’ordito motivazionale, occorre prendere le mosse dall’art. 2103 c.c. dal quale si desume che sussiste il diritto del lavoratore all’effettivo svolgimento della propria prestazione professionale e che la lesione di tale diritto da parte del datore di lavoro costituisce inadempimento contrattuale e determina, oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, quello del risarcimento del danno da dequalificazione professionale.
Detto pregiudizio può assumere diverse connotazioni in quanto può consistere non solo nel danno patrimoniale derivante dall’ impoverimento della capacità professionale acquisita dal lavoratore e dalla mancata acquisizione di una maggiore capacità ovvero nel nocumento subito per perdita di chance ossia di ulteriori possibilità di guadagno, bensì consistere anche in una lesione del diritto del lavoratore alla integrità fisica o, più in generale, alla salute ovvero alla immagine od alla vita di relazione (ex plurimis, Cass., 14 novembre 2001, n. 14199).
Nello specifico, si osserva che la negazione e/o l’impedimento allo svolgimento delle mansioni, al pari del demansionamento professionale, ridondano in lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore anche nel luogo di lavoro, determinando un pregiudizio che incide sulla vita professionale e di relazione dell’interessato, con una indubbia dimensione patrimoniale che rende il danno medesimo suscettibile di risarcimento e di valutazione anche in via equitativa (Cass. 2 gennaio 2002, n. 10).
In termini civilistici, la responsabilità del datore di lavoro vale a dire l’incidenza del mobbing sul contratto di lavoro deriva dalla violazione del disposto di cui all’art. 2087 c.c., che impone di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori; tale norma si assume contrattualizzata indipendentemente da una specifica previsione delle parti, e genera una responsabilità, in capo al datore di lavoro, volta a risarcire il danno arrecato sia al patrimonio professionale (c.d. danno da dequalificazione), sia alla personalità morale ed alla salute latamente intesa (cosiddetto danno biologico e neurobiologico) occasionati al lavoratore. Ciò essendo indubbio che l’obbligo di cui all’ art. 2087 succitato non è circoscritto alla mera osservanza della legislazione tipica della prevenzione, ma, in una interpretazione della norma costituzionalmente orientata ed aderente altresì ai principi comunitari, si estende anche al dovere di astenersi da comportamenti lesivi dell’integrità psicofisica del lavoratore (cfr. Cass. civ., sez. lav., 17 luglio 1995, n. 7768).
Occorre, inoltre, distinguere tra conflitto nei rapporti di lavoro, come conseguenza di una mera scelta gestionale, per la sua unicità e non continuità non configurabile come mobbing, dal mobbing in senso tecnico in cui vi deve essere un atteggiamento doloso, persecutorio, sistematico e continuativo, preordinato al danneggiamento della persona che si protrae strategicamente per un apprezzabile lasso di tempo (Corte dei conti, Sez. Giur. per la Regione Lombardia, n. 579/2005).
Si integra, pertanto, una situazione di mobbing allorquando un dipendente è oggetto di soprusi reiterati da parte dei superiori e, in particolare, laddove vengano poste in essere pratiche dirette ad isolarlo dall’ambiente di lavoro o ad espellerlo, con la conseguenza di intaccare gravemente l’equilibrio psichico dello stesso, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e provocando problematiche emotive di indubbio impatto, depressione e talora persino il suicidio. Egli dunque, anche se non perviene a tradurre l’aggressione alla sfera psichica in una menomazione alla propria integrità psicofisica, vede in ogni caso compromessa la propria capacità di autoprotezione personale quale componente essenziale per attivare un efficace sistema di sicurezza sul lavoro (Corte dei Conti, III sez., n. 623 del 25 ottobre 2005).
Secondo i giudici, il ricorrente quale soggetto vittima di “mobbing”, ha sviluppato una sindrome ansioso-depressiva che consiste in una risposta ritardata e protratta ad un evento stressante od a situazioni (di breve o lunga durata) di natura eccezionale in grado di provocare diffuso malessere; essa si manifesta con depressione del tono dell’umore, senso di angoscia, insonnia e difficoltà di concentrazione ed è presente in maniera più o meno evidente la fissazione monotematica sugli eventi traumatici scatenanti (ritenuti tali dal paziente).
Nel caso specifico dalla documentazione in atti si rileva che nell’ambito lavorativo si era determinata una situazione conflittuale che aveva indotto il richiedente ad essere sottoposto a diversi provvedimenti disciplinari (con esiti anche di carattere penale), di poi tutti vanificati tranne due definiti con una multa pari a 4 ore di lavoro.
Tale situazione, riportata anche dai giornali locali, avrebbe costretto parte attrice, a suo dire, ad un pensionamento anticipato. 
Giova inoltre rilevare che le vicissitudini legate all’ambiente di lavoro (conflitto con il capoufficio, i numerosi provvedimenti disciplinari) possono determinare uno stato di ansia, cioè uno stato emotivo protratto, caratterizzato da un senso soggettivo di nervosismo, irritabilità, anticipazione spiacevole e di apprensione nervosa; secondo il Giudicante, detto stato ansioso che ha sicuramente rappresentato una ricaduta molto più grave della forma morbosa già sofferta in precedenza, ha iniziato a manifestarsi nuovamente fino a strutturarsi in modo stabile successivamente.
Dal punto di vista normativo, si rammenta altresì che, ai sensi dell’articolo 64 del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092, il dipendente statale che, per effetto di ferite, infermità o lesioni riportate o aggravate per causa di servizio abbia subito menomazioni dell’integrità personale, ascrivibili a una delle categorie di cui alla tab. A annessa al D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, ha diritto al trattamento privilegiato di pensione o assegno rinnovabile.
Precisa il comma terzo, del precitato articolo 64, che le infermità o le lesioni si considerano dipendenti da fatti di servizio quando questi ne siano stati causa ovvero concausa efficiente e determinante.
Secondo costante indirizzo giurisprudenziale, tale norma non prevede una presunzione assoluta, o relativa, di dipendenza dal servizio degli eventi morbosi e lesivi della integrità personale dei quali sia soltanto provato che si verificarono durante la prestazione del servizio stesso, per cui una mera coincidenza temporale non consentirebbe di considerare realizzato il presupposto voluto dalla legge.
Si ammette invece che costituisca titolo, per il conseguimento di pensione privilegiata, anche l’infermità di natura c.d. endogena, avente un substrato organico costituzionale o eredo-patologico, purché nel servizio prestato possano essere individuati episodi, condizioni, eventi che, per il loro carattere eccezionale, tenuto conto della eziopatogenesi del singolo caso, possano assurgere al ruolo di concause, in senso medico-legale, cioè di fattori in assenza dei quali è certo o almeno probabile che il soggetto non sarebbe andato incontro all’insorgenza o ad un’evoluzione della malattia, particolarmente significativa nel determinismo della menomazione dell’integrità personale.
Pertanto, condividendo quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente e cioè che la correlazione tra il servizio e l’infermità non deve essere assolutamente certa e dimostrata, essendo sufficiente desumere il nesso eziologico con apprezzabile grado di probabilità, il giudice perviene all’accoglimento del ricorso, condannando l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali.
Qui la sentenza.
 
* A cura dell’Ufficio Stampa
 
                                                                         
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE
PER LE MARCHE
nella persona del Giudice Unico nella materia pensionistica Cons. **************** ha pronunciato, nella pubblica udienza del 9 marzo 2007 con l’assistenza del Segretario Dott.ssa *******************, la seguente
SENTENZA
         sul ricorso iscritto al n. 18801/PC del Registro di Segreteria, presentato l’ 8 giugno 2004 dal ********* nato a omissis e residente ad omissis.
Avverso il decreto n. 13427 del 17 febbraio 2004 del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
         UDITI, nella pubblica udienza del giorno 9 marzo 2007, il Funzionario ************* per la DPSV di omissis ed il ricorrente.
         VISTI gli altri atti e documenti tutti di causa.
FATTO
Con il ricorso all’esame, ritualmente notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze, il ricorrente – già Direttore Amministrativo – IX q.f., area C, pos. econ. C3 delle Direzioni Provinciali del Tesoro, dispensato dal servizio a far data 23 novembre 1999 – domandava il riconoscimento del proprio diritto alla pensione privilegiata ordinaria denegatogli con il decreto n. 13427 del 17 febbraio 2004 per non dipendenza da causa di servizio dell’infermità “depressione atipica in trattamento”.
Risulta dagli atti che il ricorrente, a seguito di presentazione di domande finalizzate ad ottenere l’equo indennizzo (domande del 14 gennaio 1999, 20 gennaio 1999 e 27 dicembre 1999) e la pensione d’inabilità ex articolo 2, comma 12, della legge n. 335 del 1995 (domanda, questa, presentata il 26 agosto 1999), veniva sottoposto a visite collegiali dalla Commissione medica ospedaliera di omissis che lo riscontrava affetto da:
– “depressione atipica in trattamento”, ritenuta ascrivibile alla prima categoria max e valutata non dipendente dal servizio (p.v. n. 455 del 13 ottobre 1999; ambito pensione ex articolo 2 comma 12 legge n. 335 del 1995);
– “esiti di trauma distrattivo rachide cervicale”, ritenuta ascrivibile in tabella B e valutata dipendente dal servizio (p.v. n. 143 del 7 febbraio 2001; ambito equo indennizzo);
– “depressione atipica in trattamento” e “esiti di trauma distrattivo rachide cervicale”, ritenute complessivamente ascrivibili alla prima categoria di tabella A (p.v. n. 989 del 15 ottobre 2002, richiamato nel provvedimento negativo di ****** prot. 13427 del 17 febbraio 2004);
Con istanza presentata il 14 gennaio 2000, l’interessato domandava “che la pensione concessa ai sensi della legge 335 del 1995 con D. n. 32779 SAD/1 del 20 dicembre 1999 (allegato 10) venga eventualmente trasformata in P.P.O. e che mi venga concesso il corrispondente equo indennizzo” (seguivano, in punto di dipendenza della sindrome depressiva dal servizio, le ulteriori istanze: del 31 maggio 2001, dell’11 aprile 2002 e del 24 luglio 2002).
Il Comitato di Verifica per le cause di servizio, con voto n. 177/2003 espresso nell’adunanza del 3 novembre 2003, negava la dipendenza dal servizio dell’infermità “depressione atipica in trattamento” con la seguente motivazione: “.. in quanto trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta. Non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorire lo sviluppo, l’infermità non può ricollegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, dopo aver riesaminato e valutato, senza tralasciare alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti” (voto non agli atti; così richiamato nel provvedimento impugnato).
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze rigettava pertanto l’istanza pensionistica con l’impugnato provvedimento (Decreto del Direttore Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Generale del Personale e dei Servizi del Tesoro Servizio Centrale del Personale Ufficio IX prot. 13427 del 17 febbraio 2004).
Nella sede giurisdizionale, il ricorrente – su nutrita documentazione medica, nella quale si rilevavano altresì “problematiche ambientali in ambito lavorativo” relative in particolare all’anno 1998, tra cui: il certificato del Poliambulatorio di Neurologia della ASL di omissis del 10 ottobre 2002; il certificato del Dipartimento di salute mentale della ASL di omissis del 10 ottobre 2002; la relazione medico-specialistica del Dott. ************** del 15 febbraio 1999; il certificato del Dott. ************** del 24 maggio 1999; il certificato del Dipartimento di salute mentale della USL di omissis del 15 novembre 1990 – censurava il parere negativo del “C.P.P.O.” alla base del provvedimento negativo.
Al riguardo si richiamavano fondamentalmente i nove procedimenti – tra disciplinari, penali e contabile – che venivano attivati nei suoi confronti dal 22 ottobre 1998 (tutti poi archiviati, ad eccezione di due comminanti, nella sede disciplinare, “multe di 4 ore” ognuna).
Il ricorso concludeva per il riconoscimento:
– della pensione privilegiata ordinaria di prima categoria di tabella A;
– delle spese sostenute “LEGALI E VARIE” nonché degli interessi e della rivalutazione monetaria fino all’integrale soddisfo;
– del danno “morale e materiale (DANNO BIOLOGICO)”.
Con atto depositato l’8 giugno 2004, il ricorrente domandava di poter essere sentito – “per meglio motivare” – in sede di discussione del ricorso.
Con memoria depositata il 5 gennaio 2005, il ricorrente affermava d’essere stato vittima di “mobbing” e chiedeva ad integrazione di quanto già domandato il risarcimento oltre al danno biologico del danno alla mancata carriera e di tutti i danni morali e materiali alla carriera ed all’integrità psicofisica subiti, indicativamente valutati ammontare ad euro 500.000,00. Con vittoria di spese ed onorari.
Con memoria depositata il 14 settembre 2005, il ricorrente ribadiva l’illegittimità del parere del “C.P.P.O.” – revocando altresì in dubbio che nell’Organo fossero presenti, all’atto del relativo pronunciamento, specialisti nella malattia di che trattasi – nonché richiamava giurisprudenza secondo la quale “.. anche per le infermità di natura endogeno-costituzionale e degenerativa, non può essere esclusa l’incidenza di fattori esterni capaci, in qualità di concause, di rilevare la medesima infermità o provocarne il rapido aggravamento”.
Inoltre, il ricorrente rappresentava che:
– sussistevano ulteriori contenziosi con l’Amministrazione per emolumenti spettanti non attribuiti, di cui uno riguardato da sentenza del T.A.R. Marche al medesimo favorevole (n. 15/99 del 2 dicembre 1998);
– nell’attualità riscuoteva già la pensione privilegiata, o, per meglio dire, il relativo importo a titolo di pensione d’inabilità
– nel frattempo erano intervenute ulteriori infermità dipendenti dal servizio, “riconosciute” dalla competente C.M.O. di omissis (rif.: verbale n. 348 del 1° aprile 2003, non allegato agli atti).
Con memoria depositata il 18 ottobre 2005, il ricorrente ribadiva argomentazioni già versate in atti ed annotava che, nell’ambito dei 40 anni di servizio, la patologia emergeva nel triennio 1988 – 1990 e, a seguito di “guarigione”, solo dopo l’anno 1998.
Con memoria depositata il 20 ottobre 2005, il ricorrente ribadiva argomentazioni già versate in atti e concludeva:
– in via principale per l’accoglimento del ricorso, come da domande già formulate ed integrate;
– in via gradata, per l’acquisizione d’un parere medico-legale.
Con memoria depositata il 10 novembre 2005, il ricorrente lamentava che l’Amministrazione rigettava, a suo dire del tutto ingiustificatamente, un’ulteriore istanza diretta ad ottenere il riconoscimento per causa di servizio per “altre infermità”. Si domandava, inoltre, nell’eventualità della disposizione d’una visita medico-legale, d’incaricare un Organo sanitario sito ad omissis, al fine d’evitare spese e disagi in considerazione del proprio precario stato di salute.
L’Amministrazione, a sua volta, si costituiva in giudizio con memoria depositata il 18 ottobre 2005, nella quale si affermava che il parere formulato dal Comitato di Verifica veniva reso a seguito di un attento esame di tutte le risultanze istruttorie e, quindi, anche di quelle relative al servizio e, pertanto si concludeva per il rigetto del ricorso.
A seguito dell’udienza del 10 novembre 2005, veniva dichiarata l’inammissibilità delle domande concernenti il risarcimento del danno biologico, del danno morale e dei danni della mancata carriera e materiali (sentenza parziale n. 832/05 del 14 novembre 2005), e con separata ordinanza veniva disposta l’acquisizione del fascicolo amministrativo del ricorrente (ord. n. 218/05 dell’11 novembre 2005), alla quale l’Amministrazione ottemperava con deposito di atti in data 23 gennaio 2006.
Con memoria depositata il 15 dicembre 2005, il ricorrente:
– ricostruiva le vicende concernenti i nove procedimenti attivati nei suoi confronti;
– richiamava i giudizi medico-legali allegati in atti, al medesimo favorevoli;
– censurava la valutazione del Comitato di Verifica, alla base del rigetto dell’istanza pensionistica, per non aver tenuto conto delle allegazioni attestanti rapporto di concausalità tra i fatti avvenuti in ambito lavorativo e la depressione riscontrata.
L’atto concludeva per l’accoglimento del ricorso con concessione della pensione privilegiata ordinaria, maggiorata degli interessi e della rivalutazione monetaria, con corresponsione dell’equo indennizzo oltre all’attribuzione delle spese ed onorari da quantificare in via forfetaria.
Con memoria depositata il 3 aprile 2006, il ricorrente censurava che l’Amministrazione, in esecuzione dell’ordinanza istruttoria n. 218/05 aveva inviato documentazione incompleta e, in parte, non pertinente. In particolare, si lamentava la mancata allegazione di cinque provvedimenti disciplinari ritenuti significativi ai fini dell’evidenziazione delle ingiustizie ricevute (“persecuzione e violenza psicologica”). Detta documentazione veniva allegata con la memoria.
Con memoria depositata il 18 aprile 2006, il ricorrente sostanzialmente censurava che nel suo caso l’Amministrazione non aveva esaminato e vagliato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti. Inoltre, si richiamava che secondo la giurisprudenza di questa Corte dei conti:
– anche nei casi di infermità di natura endogeno-costituzionale e degenerativa non poteva essere esclusa l’incidenza di fattori esterni capaci, in qualità di concause, di rilevare la medesima infermità o provocarne il rapido aggravamento;
– la correlazione tra il servizio e l’infermità non doveva essere assolutamente certa e dimostrata, risultando sufficiente la desumibilità del nesso eziologico con apprezzabile grado di probabilità, nel qual caso l’incertezza avrebbe dovuto risolversi in favore del dipendente.
Nell’udienza dell’11 maggio 2006, il Giudice manifestava l’intento d’acquisire un parere medico legale. Su espressa richiesta, il ricorrente precisava di preferire di essere sottoposto a visita presso una struttura locale. Il rappresentante dell’Amministrazione dichiarava di non opporsi allo svolgimento dell’accertamento istruttorio.
Con ordinanza istruttoria n. 66/06 del 16 maggio 2006, veniva quindi interpellato l’Ufficio Medico Legale del Ministero della Salute affinché esprimesse – con partecipazione e presenza di specialista nell’infermità di che trattasi, esaminata la documentazione sanitaria in atti nonché previa visita delegata del ricorrente –   motivato ed esaustivo parere medico legale in ordine:
I. alla dipendenza o meno da concausa efficiente e determinante di servizio dell’infermità “depressione atipica in trattamento” riscontrata nell’ambito della visita collegiale di riferimento (verbale n. 989 del 15 ottobre 2002 della C.M.O. di omissis). Ciò, altresì, sull’espressa considerazione del dubbio formulato dal Giudice in ordine al fondamento del parere del Comitato di Verifica – di cui al voto n. 177/2003 – laddove affermante: “Non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorire lo sviluppo, l’infermità non può ricollegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante..”. Ciò in ragione dell’elevato grado invalidante dell’infermità di che trattasi – presumibilmente determinatosi nel preindicato breve periodo temporale (anni 1998-1999), dopo un protratto periodo di latenza (1990-1998) – eventualmente correlabile alle situazioni conflittuali insorte nell’ambito del rapporto di lavoro dall’anno 1998.
L’U.M.L., previo svolgimento di visita delegata, rispondeva ai quesiti (anche a quelli proposti con ordinanza istruttoria n. 65/06 formulata nell’ambito del giudizio n. 19716, relativamente allo stesso ricorrente) con nota prot. n. 114869/22075/P del 12 ottobre 2006 nei seguenti termini (si riportano solo le argomentazioni riferite all’infermità di causa).
“.. diagnosi di: sindrome ansioso depressiva reattiva, dopo attento esame della documentazione agli atti ed in particolare dello stato di servizio esprime parere che sia possibile ammettere un nesso efficiente e determinante tra le infermità suddette ed il servizio per le seguenti motivazioni: la sindrome ansioso-depressiva consiste in una risposta ritardata e protratta ad un evento stressante o a situazioni (di breve o lunga durata) di natura eccezionale in grado di provocare diffuso malessere. Si manifesta con depressione del tono dell’umore, senso di angoscia, insonnia e difficoltà di concentrazione ed è presente in maniera più o meno evidente la fissazione monotematica sugli eventi traumatici scatenanti (ritenuti tali dal paziente). Quanto a ciò rammentiamo che l’evento traumatico non è definito solo dalla natura degli avvenimenti ma è ugualmente importante la componente soggettiva: il trauma psichico è infatti tale perché supera la capacità della persona di comprendere ciò che accade e di mettere in atto le strategie di adattamento. Nel caso specifico dalla documentazione in atti si rileva che nell’ambito lavorativo si era determinata una situazione conflitto che aveva portato il F. ad essere sottoposto a diversi provvedimenti disciplinari anche di carattere penale, tutti poi annullati tranne due che sono stati puniti con una multa pari a 4 ore di lavoro. Tale situazione conflittuale, riportata anche dai giornali locali, avrebbe costretto il ricorrente, a suo dire, ad un pensionamento anticipato. In tali circostanze è facile comprendere come possano instaurarsi ansia e depressione in un soggetto predisposto (il F. aveva sofferto di depressione già nel 1990, perfettamente guarita) legate sia alla sensazione di non essere apprezzati ed alla preoccupazione per il proprio posto di lavoro. Occorre inoltre rilevare che le vicissitudini legate all’ambiente di lavoro (conflitto con il capoufficio, i numerosi provvedimenti disciplinari) possono causare uno stato di ansia, cioè uno stato emotivo protratto, caratterizzato da un senso soggettivo di nervosismo, irritabilità, anticipazione spiacevole e di apprensione nervosa. Detto stato di ansia che ha sicuramente rappresentato una ricaduta molto più grave della forma morbosa già sofferta in precedenza ha iniziato a manifestarsi alla fine del 1998, successivamente strutturandosi in modo stabile.”.
Con memoria depositata il 29 dicembre 2006, il ricorrente – nel sottolineare vari profili d’ingiustizia del comportamento dell’Amministrazione nei propri confronti, nell’indicarne le ritenute relative conseguenze nonché nel segnalare d’aver chiesto l’intervento della Procura della Repubblica di Roma per atti emanati dal Comitato di Verifica per le Pensioni Privilegiate Ordinarie – concludeva domandando:
– il riconoscimento della qualifica di grande invalido per servizio (rif.: articolo 7 legge n. 9 del 1980);
– la liquidazione della pensione privilegiata ordinaria di prima categoria, con decorrenza 23 novembre 1999;
– il riconoscimento l’assegno di superinvalidità di cui alla Tabella E ovvero il prescritto assegno integrativo nella misura pari alla metà dell’assegno di superinvalidità previsto nella lettera H della tabella E, qualora le infermità (n.d.r.: ad oggetto del presente giudizio nonché di quelle riguardate dal giudizio n. 19716) non venissero ascritte alla Tabella E;
– il riconoscimento dell’assegno per cumulo di infermità di cui alla tabella F-1 (rif.: articolo 8 legge n. 9 del 1980);
– il rimborso delle spese sostenute equitativamente indicate in euro 3.000,00 (tremila);
– la liquidazione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria su tutte le somme spettanti.
         Nell’udienza del 9 marzo 2007 il rappresentante dell’Amministrazione dichiarava che il Ministero prendeva atto, come per i casi di medesima fattispecie, del giudizio del Consulente tecnico d’ufficio, al riguardo rimettendosi alla decisione della Corte. Veniva comunque eccepita l’inammissibilità delle domande formulate dal ricorrente con la memoria depositata in prossimità d’udienza poiché l’unica contestazione proposta col ricorso concerneva unicamente la questione della dipendenza dell’infermità dal servizio. Con riferimento all’applicazione degli assegni correlati alla classificazione della patologia alla prima categoria, si affermava che l’Amministrazione si sarebbe comunque attenuta alle disposizioni di legge i medesimi prevedenti.
         Il ricorrente, previa autorizzazione del Giudice, insisteva per l’accoglimento della domanda di riconoscimento delle spese sostenute.
DIRITTO
1.         Risolte con sentenza n. 832/05 del 14 novembre 2005 le questioni pregiudiziali e preliminari, residua quindi da disaminare la questione afferente il diniego frapposto dall’Amministrazione alla concessione della pensione privilegiata ordinaria per l’infermità “depressione atipica in trattamento”.
1.1.      Deve preliminarmente chiarirsi che non può prendersi in considerazione, ai fini all’esame, l’ulteriore infermità “esiti di trauma distrattivo rachide cervicale” – nonostante menzionata nel p.v. n. 989 del 15 ottobre 2002 della C.M.O. di omissis, richiamato nelle premesse dell’impugnato provvedimento pensionistico (la determinazione dell’Amministrazione centrale prot. n. 13427 del 17 febbraio 2004) – in quanto:
– non denunziata nella domanda di riferimento (l’istanza presentata il 14 gennaio 2000, con la quale l’interessato domandava “che la pensione concessa ai sensi della legge 335 del 1995 con D. n. 32779 SAD/1 del 20 dicembre 1999 (allegato 10) venga eventualmente trasformata in P.P.O….”; n.d.r.: la predetta pensione veniva concessa con esclusivo riferimento alla sindrome depressiva);
– non espressamente valutata nell’ambito del decreto negativo ad oggetto del ricorso introduttivo del giudizio.
1.2.      Per le stesse motivazioni espresse al punto 1.1. che precede non possono valutarsi, ai fini del giudizio – come correttamente sostenuto, in udienza, dall’Amministrazione resistente – le ulteriori domande concernenti la liquidazione di assegni correlati ovvero correlabili alla pensione di prima categoria vitalizia. Salvo comunque il diritto del ricorrente ai medesimi, ai sensi di legge, nei casi previsti a domanda ovvero d’ufficio, da accertarsi tuttavia primieramente nella competente sede amministrativa.
2.       Ai sensi dell’articolo 64 del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092, il dipendente statale che, per effetto di ferite, infermità o lesioni riportate o aggravate per causa di servizio abbia subito menomazioni dell’integrità personale, ascrivibili a una delle categorie di cui alla tab. A annessa al D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, ha diritto a trattamento privilegiato di pensione o assegno rinnovabile.
Precisa il comma terzo, del precitato articolo 64, che le infermità o le lesioni si considerano dipendenti da fatti di servizio quando questi ne siano stati causa ovvero concausa efficiente e determinante.
Secondo costante indirizzo giurisprudenziale, tale norma non prevede una presunzione assoluta, o relativa, di dipendenza dal servizio degli eventi morbosi e lesivi della integrità personale dei quali sia soltanto provato che si verificarono durante la prestazione del servizio stesso, per cui una mera coincidenza temporale non consentirebbe di considerare realizzato il presupposto voluto dalla legge.
Si ammette invece che costituisca titolo, per il conseguimento di pensione privilegiata, anche l’infermità di natura c.d. endogena, avente un substrato organico costituzionale o eredo-patologico, purché nel servizio prestato possano essere individuati episodi, condizioni, eventi che, per il loro carattere eccezionale, tenuto conto della eziopatogenesi del singolo caso, possano assurgere al ruolo di concause, in senso medico-legale, cioè di fattori in assenza dei quali è certo o almeno probabile che il soggetto non sarebbe andato incontro all’insorgenza o ad un’evoluzione della malattia, particolarmente significativa nel determinismo della menomazione dell’integrità personale.
3.         Nel caso concreto l’affezione di che trattasi va riconosciuta dipendente dal servizio, sotto il profilo della relativa concausalità efficiente e determinante l’ulteriore insorgenza della patologia denunciata ai fini pensionistici, sulla sostanziale valutazione dell’incidenza dei “fatti di servizio” – segnatamente allegati dal ricorrente ma disconosciuti nella sede amministrativa, la cui valutazione è stata ammessa da questo Giudice con articolata motivazione formulata nell’ordinanza istruttoria n. 66/06 del 16 maggio 2006 – sulla base delle approfondite e più che condivisibili argomentazioni medico-legali rese nel parere dell’U.M.L. del Ministero della Salute, acquisito nella sede giurisdizionale (estesamente riportato in FATTO), non riguardate da controdeduzione alcuna da parte dell’Amministrazione resistente.
           Come peraltro risultante inequivocabilmente in atti, inoltre, la patologia medesima ha determinato l’inabilità ex articolo 64 del d.P.R. n. 1092 del 1973, considerata l’intervenuta dispensa dal servizio per l’effetto della stessa (in data 23 novembre 1999).
4.         Quanto alla classificazione dell’infermità, non revocabile in dubbio appare l’ascrivibilità della medesima alla prima categoria vitalizia, secondo quanto già valutato dalla C.M.O. di omissis con p.v. n. 989 del 15 ottobre 2002, con decorrenza del trattamento pensionistico da valutarsi sulla base della data di presentazione della domanda del 14 gennaio 2000 di “trasformazione” della pensione d’inabilità già concessa – ex articolo 12, comma 2, della legge n. 335 del 1995 – in quella privilegiata ordinaria.
5.       Sulle maggiori somme dovute al ricorrente per l’effetto della presente decisione – rispetto quanto già attribuito ex articolo 12, comma 2, della legge n. 335 del 1995 – spetta inoltre ai sensi dell’articolo 429, comma 3, del codice di procedura civile, nei termini fondamentalmente chiariti dalle Sezioni Riunite di questa Corte con sentenza 18 ottobre 2002, n. 10/QM/2002, il diritto al c.d. “maggior importo” tra le percentuali degli interessi e della rivalutazione, secondo gli indici ISTAT ex articolo 150 delle disposizioni d’attuazione del codice di procedura civile, rilevati anno per anno, da applicarsi sulle somme dovute alle scadenze normativamente previste ed a decorrere da ciascun rateo.
6.         Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, soccombente, viene condannato alla rifusione delle spese di lite, sopportate dal ricorrente, in favore del medesimo, che si quantificano forfetariamente in Euro 250,00 (duecentocinquanta/00).
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per le Marche con sede ad Ancona, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel merito ACCOGLIE il ricorso iscritto al n. 18801/PC del Registro di Segreteria, proposto dal ********* e, per l’effetto, riconosce il diritto del ricorrente alla pensione privilegiata ordinaria nei termini di cui in motivazione.
Spettano gli interessi e la rivalutazione monetaria come in motivazione determinati.
         Con condanna dell’Amministrazione dell’Economia e delle Finanze alla rifusione delle spese di lite, sopportate dal ricorrente, in favore del medesimo, che si liquidano in via forfetaria in Euro 250,00 (duecentocinquanta/00).
         Così deciso ad Ancona, nella Camera di Consiglio del 9 marzo 2007.
 
 
 
IL GIUDICE UNICO
 
 
 
 
 
f.to (**********************)
 
 
 
PUBBLICATA IL 19/03/2007
IL DIRIGENTE
DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
f.to (Dott.ssa ****************)
 
DECRETO
Il Giudice unico nella materia pensionistica, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 1996 n. 196
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52, nei confronti di parte ricorrente.
Ancona, 9 marzo 2007
 
 
 
IL GIUDICE UNICO
 
 
 
 
 
f.to (**********************)
 
 
 
In esecuzione del provvedimento del Giudice unico delle Pensioni ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione, omettere le generalità e gli altri dati identificativi della parte ricorrente.
IL DIRIGENTE
DIRETTORE DELLA SEGRETERIA
f.to (Dott.ssa ****************)
 
 

Crucitta Giuseppe – Francaviglia Rosa

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