Nel giugno 2025, Disney e Universal hanno deciso che ne avevano abbastanza. Abbastanza di vedere Darth Vader alle prese con una tazza di Starbucks, Elsa che canta trap, o un Minion travestito da Joker — tutto generato da prompt su Midjourney, l’ormai celebre piattaforma di AI generativa (quella del papa con il piumino bianco, tanto per intenderci) che crea immagini spettacolari, anche troppo somiglianti a quelle tutelate da copyright.
Così, con la discrezione di due multinazionali abituate a controllare imperi, hanno fatto causa. E la causa è di quelle destinate a lasciare il segno. Non solo per il peso dei contendenti, ma perché la posta in gioco riguarda tutti: creatori, sviluppatori, giuristi e utenti che ancora credono che l’AI sia “solo un tool”.
Spoiler: non lo è.
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Indice
- 1. I fatti: la creatività clonata e il copyright
- 2. Fair use o unfair advantage?
- 3. Training data e trasparenza: il nodo irrisolto
- 4. Precedenti e sentieri paralleli
- 5. Una bomba per l’industria AI
- 6. E in Europa?
- 7. Considerazioni finali: la creatività al tempo del remix
- Formazione per professionisti
- Vuoi ricevere aggiornamenti costanti?
1. I fatti: la creatività clonata e il copyright
La denuncia, depositata presso il tribunale federale di Los Angeles, è lunga 110 pagine e parla chiaro. Midjourney viene accusata di:
- aver utilizzato milioni di immagini protette da copyright per addestrare il proprio sistema generativo;
- aver permesso agli utenti di generare immagini che riproducono personaggi famosi, da Spider‑Man a Shrek, spesso con variazioni minime nei nomi per aggirare i filtri;
- aver lucrato (si parla di oltre 300 milioni di dollari di ricavi nel solo 2024) sfruttando contenuti che non ha né prodotto né licenziato.
Disney e Universal non usano mezzi termini: definiscono Midjourney un “free rider del copyright”, un parassita che prospera sulle creazioni altrui. E chiedono ingiunzioni, risarcimenti e la fine di questo Far West creativo. Per approfondire su questi temi abbiamo pubblicato il volume Influencer e intelligenza artificiale, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, pensato per professionisti del diritto e della comunicazione, offre strumenti concreti per orientarsi tra rischi, adempimenti e normative.
Influencer e intelligenza artificiale
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2. Fair use o unfair advantage?
La linea difensiva prevedibile di Midjourney (e di molti altri operatori AI) ruota attorno al concetto di fair use, noto nel diritto statunitense come una delle eccezioni più flessibili al copyright (17 U.S. Code § 107). Si applica quando l’uso di un’opera altrui è:
- trasformativo;
- non commerciale o di pubblico interesse;
- non sostitutivo dell’opera originale.
Ma… una Elsa generata con l’IA, che sembra Elsa, canta come Elsa e viene usata per fare merchandising su Etsy… è “trasformativa”? O è solo una copia mascherata?
Questa è la vera domanda giuridica.
Midjourney sosterrà (come già fatto da OpenAI, Stability AI e Google Books in casi analoghi) che:
- il training su immagini coperte da copyright è non deterministico (non genera copie identiche);
- l’opera generata è nuova, frutto di combinazioni statistiche;
- il prompt dell’utente è parte attiva del processo creativo.
Tutto molto affascinante. Ma per Disney & Co. il concetto è semplice: se vendi immagini del nostro IP, sei un contraffattore. Punto.
3. Training data e trasparenza: il nodo irrisolto
Uno degli aspetti più controversi di questi modelli è la provenienza dei dati di addestramento. Su quali immagini si è formato Midjourney? Quali dataset sono stati utilizzati? Sono pubblici? Open source? Presi in maniera più o meno lecita da Tumblr?
Ad oggi, la risposta è: non lo sappiamo.
Ed è proprio questa opacità che rende l’intera filiera AI un potenziale campo minato:
- Se il dataset contiene opere protette da copyright (cosa altamente probabile), l’intero modello potrebbe essere frutto di violazione sistematica.
- In mancanza di licenze, le piattaforme si espongono a responsabilità cumulativa.
Questa non è solo una questione etica o teorica. È una questione di liability: chi paga i danni se un utente genera un’immagine di Topolino zombie e la vende online?
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4. Precedenti e sentieri paralleli
La causa Disney/Universal non nasce nel vuoto. È il seguito naturale di una serie di controversie che stanno ridisegnando il confine tra AI e proprietà intellettuale:
- Getty Images vs. Stability AI (Regno Unito): per l’uso di foto protette nei dataset.
- OpenAI citata da autori, giornalisti e case editrici: per aver addestrato i propri modelli sui loro testi senza consenso.
- Comixology e Marvel: per le IA che ricreano stili di disegnatori specifici.
Il pattern è sempre lo stesso: le piattaforme sostengono che “nessuna copia esatta è stata prodotta”, mentre i titolari di diritti vedono le loro opere clonate, reinterpretate, vendute. E forse hanno pure ragione.
5. Una bomba per l’industria AI
Se la causa dovesse andare a buon fine per Disney e Universal, le conseguenze sarebbero dirompenti:
1. Obbligo di licenza per i training dataset
Le AI dovrebbero negoziare accordi commerciali ex ante con chi detiene gli archivi visuali o testuali. Un ritorno alla curation dei dati, in stile pre-Google.
2. Stop ai prompt “liberi”
Sistemi come Midjourney dovrebbero filtrare o vietare nomi di personaggi protetti, stili specifici, loghi riconoscibili.
3. Risarcimenti e class action
Un esito favorevole creerebbe un precedente giurisprudenziale che potrebbe generare centinaia di cause simili, da parte di autori, attori, designer e illustratori.
4. Danno reputazionale per l’intero comparto
L’industria AI rischia di passare da “motore del progresso” a “riciclatore di contenuti altrui”, con impatti sulle policy pubbliche, sul consenso sociale e sugli investimenti.
6. E in Europa?
In UE il quadro è diverso, ma non meno spinoso:
- Il diritto d’autore (Direttiva 2001/29/CE) tutela l’opera originale in quanto espressione creativa dell’autore.
- Il text and data mining è ammesso solo se non si viola espressamente il copyright (Direttiva 2019/790).
- Il nuovo AI Act (Reg. UE 2024/1689) introduce obblighi di trasparenza sui dataset usati per l’addestramento di modelli di fondazione.
Questo significa che le piattaforme europee saranno obbligate a:
- rendere pubblica la composizione dei dataset;
- garantire meccanismi di opt-out per gli autori;
- gestire l’uso commerciale delle immagini AI-generated in modo conforme al copyright.
In altre parole: in Europa Midjourney avrebbe avuto vita molto più difficile.
7. Considerazioni finali: la creatività al tempo del remix
L’intelligenza artificiale non è creativa in senso stretto. È un algoritmo di interpolazione tra modelli esistenti, una macchina che impara da ciò che trova, e rigenera sulla base di statistiche e contesto.
Ma allora, dove finisce l’ispirazione e inizia la copia?
Chi può davvero dire se un’immagine generata è una “nuova opera” o solo un “plagio sofisticato”?
E, soprattutto, chi controlla l’accesso alle opere originali nel momento in cui diventano input per nuove AI?
Disney, che con il copyright ha costruito un impero (e lo ha prolungato con emendamenti su misura negli Stati Uniti), ora chiede protezione contro un’arma che finora ha usato con disinvoltura. È una parabola interessante, quasi poetica.
La causa intentata da Disney e Universal contro Midjourney non è solo una reazione a un presunto abuso. È un passaggio simbolico e sostanziale che potrebbe segnare una svolta strutturale nel diritto d’autore applicato all’intelligenza artificiale.
Sul piano giuridico, ci troviamo davanti a un doppio livello di analisi:
1. Violazione del diritto d’autore in fase di training
Il primo profilo critico riguarda l’uso di opere protette nei dataset di addestramento.
La questione, tuttora aperta, è se l’estrazione e l’elaborazione automatica di opere coperte da copyright costituisca o meno una “riproduzione” ai sensi dell’art. 2 della Direttiva 2001/29/CE (o del §106 del Copyright Act USA).
Negli Stati Uniti, il concetto di fair use potrebbe offrire una via di scampo, ma non è detto che sia applicabile quando l’uso è massivo, non autorizzato, e finalizzato allo sviluppo di un prodotto commerciale concorrente.
In Europa, il Text and Data Mining (TDM) è ammesso, ma solo entro limiti precisi (artt. 3 e 4 Dir. 2019/790/UE). Il titolare dei diritti può sempre escludere l’uso dei propri contenuti tramite riserva esplicita, opzione che pochi provider AI rispettano attualmente.
L’AI Act, all’art. 53, impone ora obblighi di trasparenza sui dataset e sulla fonte dei dati di training: un’apertura importante, ma che necessita di enforcement puntuale per essere realmente efficace.
2. Violazione del diritto d’autore in fase di output
Il secondo profilo riguarda invece l’output generato dal modello.
Se un’immagine IA riproduce in modo riconoscibile un personaggio o uno stile protetto, si può parlare di riproduzione non autorizzata?
La risposta non è univoca, ma la giurisprudenza americana più recente (si veda Warhol Foundation v. Goldsmith, 2023) tende a restringere il concetto di “trasformatività” se il nuovo uso:
> è simile nella finalità (es. commerciale),
> o entra in concorrenza con l’originale.
In questo caso, l’immagine IA genera un contenuto che può confondere il pubblico, sfruttando la notorietà dell’opera originaria e minando i diritti economici del titolare.
La tesi dei legali di Disney e Universal è quindi perfettamente coerente con l’impianto del diritto d’autore: il danno non è solo economico, ma identitario e sistemico, poiché intacca la funzione segnaletica e distintiva dell’opera.
Verso un diritto d’autore computazionale?
Questa controversia alimenta un dibattito di fondo: il diritto d’autore, così come lo conosciamo, è ancora uno strumento adeguato a proteggere la creazione umana in un contesto di generatività algoritmica?
Alcuni studiosi propongono una riforma sistemica:
>introduzione di licenze obbligatorie per l’addestramento AI,
>definizione normativa di output AI-generato come contenuto derivato,
>estensione della responsabilità per imitazione stilistica (style mimicry), non solo per copia letterale.
Altri, più cauti, ritengono preferibile operare per via contrattuale e settoriale, rafforzando gli obblighi di trasparenza e negoziazione tra creatori e provider, piuttosto che introdurre nuove barriere legali alla ricerca.
In ogni caso, la direzione è segnata: il diritto d’autore non può più essere interpretato senza considerare il ruolo attivo dell’algoritmo. E se il legislatore non interviene, lo faranno i giudici, come spesso accade nei momenti di svolta.
Un precedente strategico, ben costruito
La forza della causa intentata da Disney e Universal non sta solo nella notorietà dei soggetti coinvolti, ma nella solidità strutturale della denuncia:
>prove dettagliate,
>identificazione puntuale dei contenuti lesivi,
>richieste proporzionate ma esemplari.
Una strategia che mira, molto chiaramente, a ottenere un precedente giudiziario da cui far discendere nuovi standard. Il contenzioso, pur circoscritto territorialmente, potrebbe avere riflessi globali, inducendo le piattaforme AI ad adottare regole più restrittive anche su base volontaria.
Se finora l’AI ha vissuto in una sorta di zona grigia normativa, alimentata da entusiasmi tecnologici e vuoti regolatori, questa causa rappresenta un segnale inequivocabile: il tempo della tolleranza è finito.
Ora l’intelligenza artificiale dovrà dimostrare di poter convivere con il diritto e non solo di superarlo.
Formazione per professionisti
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Il corso ha una durata totale di 21 ore, articolate in sette incontri da tre ore ciascuno, e include dimostrazioni pratiche in cui verranno illustrate tecniche per la creazione di Prompt efficaci e un framework per la creazione di un GPT personalizzato, focalizzato sulle esigenze del settore legale.
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