Contratto di somministrazione: profili disciplinari e responsabilità per eventi dannosi

Nel presente lavoro ci si sofferma su alcuni aspetti del contratto di somministrazione di lavoro.

Dopo aver analizzato l’istituto del distacco del lavoratore negli articoli Il distacco dei lavoratori alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali e Il distacco dei lavoratori nei gruppi e nelle reti di imprese nel presente lavoro ci si sofferma su alcuni aspetti del contratto di somministrazione di lavoro. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato

Indice

1. Il contratto di somministrazione di lavoro in Italia


Aumenta in Italia l’interesse verso la somministrazione di lavoro quale strumento a supporto degli organici aziendali alternativo all’assunzione. Le recenti modifiche normative apportate dal Collegato Lavoro 2024 in materia di contratto di somministrazione (art. 10 l. n.  13 dicembre 2024, n. 203), nel recepire questo interesse, hanno ampliato la possibilità di ricorrere a tale tipologia di contratti, intervenendo direttamente su causali e soglie numeriche di ammissibilità.
In termini numerici l’INPS, nel suo Report Statistico sui lavoratori dipendenti in somministrazione nel settore privato, ha evidenziato che nel corso del 2023 quasi 1 milione di lavoratori ha sottoscritto almeno un contratto di lavoro somministrato. Seppur con una lieve flessione rispetto al 2022, anno di ripresa post Covid, questa tipologia di contratto è stata utilizzata per circa il 4%[1] dell’intera forza lavoro impiegata sul territorio nazionale.
Le evidenze statistiche lasciano ben comprendere la portata di un fenomeno che, pur se pienamente compreso nella sua utilità, lo è meno nei suoi profili gestionali e nella sua specificità normativa, al punto da essere spesso erroneamente considerato dalle imprese utilizzatrici alla pari di un rapporto di lavoro subordinato o di un contratto di appalto. Per tale effetto si genera un corollario di conflittualità tra somministratore ed utilizzatore spesso evitabile con un maggiore approfondimento dell’istituto normativo.
Gli aspetti di frizione risultano essere maggiormente quelli dell’esercizio del potere disciplinare e dell’addebito di eventuali danni arrecati dal lavoratore somministrato, entrambi oggetto di indagine del presente lavoro.
Ciò è principalmente dovuto alla peculiarità della compresenza nel contratto di somministrazione, così come disciplinato dal D. lgs. n. 81/2015, e differentemente dal rapporto di lavoro tradizionale, di due contratti e tre diversi soggetti coinvolti.
Il primo dei contratti è quello di somministrazione di lavoro vero e proprio che ha natura commerciale e coinvolge l’agenzia di somministrazione, autorizzata dal ministero o da autorità comunitaria equipollente, e l’utilizzatore che ha fatto richiesta di manodopera. Il secondo contratto è quello di lavoro subordinato, che coinvolge il lavoratore, il quale viene assunto dall’agenzia di somministrazione per poi essere fornito all’utilizzatore.
Il lavoratore effettua la propria prestazione sia nell’interesse dell’utilizzatore che lo inserisce nella sua organizzazione d’impresa, onde lo dirige e lo controlla, sia nell’interesse del somministratore, che adempie al proprio obbligo nei confronti dell’utilizzatore di fornire manodopera, così da far insorgere in capo al somministratore il diritto al corrispettivo da parte dell’utilizzatore.
Il dualismo datoriale che si crea tra il somministratore, effettivo titolare del contratto di lavoro, e l’utilizzatore, nel cui interesse viene eseguita la prestazione, ha implicazioni rilevanti nella gestione del rapporto lavorativo.
All’utilizzatore è riservato il potere organizzativo e direttivo dei lavoratori somministrati (Cfr. Art 30 D. lgs. n. 81/2015) con il corollario di essere tenuto a garantire ed applicare, nell’esercizio dello stesso, i medesimi obblighi di prevenzione e protezione riservati ai propri dipendenti anche nei confronti dei lavoratori somministrati.
Alla titolarità del potere direttivo non fa, però, seguito il potere disciplinare che sarà esercitato, ai sensi di legge, dal somministratore, effettivo titolare del rapporto di lavoro. La differente imputabilità del potere direttivo e disciplinare ha implicazioni peculiari. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato

FORMATO CARTACEO

Il lavoro subordinato

Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.

 

A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023

2. Scelta di esercizio del potere disciplinare e possibili rimedi.


L’esercizio del potere disciplinare rappresenta una prerogativa datoriale in virtù della quale è rimessa alla scelta del datore di lavoro la decisione di procedere o meno, dinanzi ad un inadempimento del dipendente, con un procedimento disciplinare. Alla comunicazione di un inadempimento del lavoratore somministrato da parte dell’utilizzatore, l’impresa somministratrice potrebbe effettuare una diversa valutazione dei fatti oggetto di contestazione e ritenere non opportuno procedere con una contestazione disciplinare.
Essendo tale scelta unicamente in capo al somministratore, nel caso in cui quest’ultimo ritenesse di non dover procedere, l’utilizzatore si ritroverebbe sprovvisto di rimedi diretti per tutelare l’organizzazione aziendale da comportamenti nocivi posti in essere dal lavoratore somministrato.
Gli stessi comportamenti non sanzionati potrebbero, però, risultare rilevanti e meritevoli di tutela sotto il profilo dell’inadempimento delle clausole previste dal contratto di somministrazione.
I lavoratori somministrati, infatti, svolgono la propria attività nell’interesse dell’utilizzatore. Laddove la condotta del lavoratore somministrato faccia divergere gli effetti della prestazione lavorativa resa da quelli che sono gli interessi e le necessita dell’utilizzatore, le condotte disciplinarmente rilevanti, anche laddove non destinatarie di provvedimenti disciplinari, potrebbero legittimare sia una richiesta di sostituzione del lavoratore somministrato sia, nei casi più gravi, la risoluzione del contratto di somministrazione per inadempimento.
In ogni caso, al fine di evitare sul nascere effetti negativi per il contratto di somministrazione, sarebbe auspicabile da parte del somministratore intervenire immediatamente per risolvere le problematiche addebitate al lavoratore, arrivando, eventualmente, anche a sostituirlo.

3. Modalità di esercizio del potere disciplinare


L’art. 35 co. 6 del D. lgs. n. 81/2015 prevede che ai fini dell’esercizio del potere disciplinare da parte del somministratore, l’utilizzatore debba comunicare a quest’ultimo gli elementi che formeranno oggetto della contestazione ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 300 del 1970.
Il richiamo esplicito all’articolo dello Statuto dei lavoratori implica il recepimento integrale dei principi ivi previsti e per i quali la contestazione formulata dal somministratore deve contenere una dettagliata descrizione del fatto imputato al lavoratore e di tutti i suoi elementi, dovendo rappresentare le circostanze spazio-temporali in cui si è verificato, dare contezza delle persone coinvolte e riportare ogni altro elemento che permetta allo stesso di comprendere quali addebiti vengono mossi nei suoi confronti, in modo da poter presentare le proprie eventuali difese in maniera puntuale ed ampia[2].
È onere dell’utilizzatore fornire i citati elementi al somministratore, in assenza dei quali risulterà illegittimo procedere disciplinarmente nei confronti del lavoratore.
Come si vedrà anche infra, il passaggio di informazioni tra somministratore ed utilizzatore risulta spesso incompleto ed il trascorrere del tempo per procedere alle opportune integrazioni potrebbe far venire meno l’interesse sanzionatorio da parte dell’utilizzatore, magari anche per il sopraggiungere di altre circostanze indipendenti dall’utilizzatore quali, ad esempio, la scadenza del contratto di somministrazione. La proattività dell’utilizzatore nella comunicazione delle informazioni è condizione indispensabile per il corretto esercizio del potere disciplinare.
I fatti posti a fondamento della contestazione disciplinare devono corrispondere a quelli posti a base del successivo provvedimento disciplinare. Il datore di lavoro non può modificare le imputazioni addebitate al dipendente in sede di avvio del procedimento per non ledere il diritto di difesa (anche potenziale) del lavoratore. Il rispetto di tale principio, definito di immutabilità ed in violazione del quale si avrebbe l’illegittimità della sanzione applicata, è precipuo onere del somministratore, il quale si assume unicamente le responsabilità di un eventuale procedimento disciplinare erroneamente instaurato.
L’interpretazione applicativa del principio di immutabilità va temperata con le effettive peculiarità della condotta rilevata nel caso concreto, essendo generalmente ammessa, ad esempio, la modifica o la correzione di circostanze non rilevanti rispetto al fatto contestato o la possibilità di una differente valutazione giuridica degli elementi posti a fondamento dell’addebito[3].
L’art. 7 St. Lav. al quinto comma stabilisce che i provvedimenti disciplinari (fatta eccezione per il rimprovero verbale) non possono essere adottati prima che siano trascorsi cinque giorni o il termine più lungo previsto dal CCNL applicabile al rapporto, così da consentire al lavoratore destinatario dell’addebito disciplinare di presentare, eventualmente, le proprie giustificazioni avvalendosi, se lo ritiene opportuno, dell’assistenza di un rappresentante sindacale.
Entro la scadenza di tale termine il lavoratore potrebbe richiedere un’audizione per rendere le proprie giustificazioni oralmente. In tale caso la rigorosità degli elementi comunicati dall’utilizzatore assume ancora maggiore rilevanza, dovendo essere questi ultimi oggetto di confronto con il lavoratore. In assenza di prescrizioni normative da parte dell’art. 7 St. Lav. non si ritiene sussistano, in sede di audizione, limiti nel coinvolgimento dell’utilizzatore al fine di ottenere eventuali ulteriori chiarimenti od un confronto diretto con il lavoratore stesso.
La contestazione disciplinare deve rispettare, infine, il principio di tempestività o immediatezza. Esso mira a garantire l’esistenza di un intervallo di tempo quanto più esiguo possibile tra la commissione del fatto da parte del lavoratore e l’avvio del procedimento disciplinare.
Questo tra quelli finora citati è, forse, il principio più complesso da rispettare. La necessità di avere un doppio impulso, il primo comunicativo da parte dell’utilizzatore ed il secondo di attivazione della fase disciplinare, richiede inevitabilmente maggior tempo rispetto al caso di un lavoratore diretto.
Ritardi nella fase comunicativa da parte dell’utilizzatore sono frequenti poiché, essendo quest’ultimo sprovvisto del potere disciplinare, potrebbe percepire meno il senso di urgenza rispetto alla gestione di un lavoratore diretto. Altre volte, la natura stessa della comunicazione potrebbe risultare incompleta e non circostanziata, tale da necessitare integrazioni. In tal caso, gli scambi tra somministratore ed utilizzatore richiedono tempistiche tali da rendere intempestivo l’esercizio di azione disciplinare.
Il decorso di un periodo considerevole rispetto alla commissione del fatto da parte del lavoratore potrebbe inoltre ledere il diritto di difesa di quest’ultimo o quantomeno renderne più difficoltosa la realizzazione. A distanza di tempo dagli eventi contestati, il dipendente potrebbe trovarsi nella situazione di non riuscire a ricostruire la corretta dinamica dei fatti, ovvero a non reperire più fonti di prova a sostegno della propria tesi difensiva. Queste circostanze potrebbero essere oggetto di valutazione da parte del giudice in caso di impugnativa della sanzione.
Al contrario, appare evidente come tanto più la contestazione venga effettuata a ridosso dei fatti tanto più efficacemente il dipendente incolpato potrà difendersi in ordine agli stessi.
Inoltre, il decorso di un periodo di tempo troppo lungo tra la contestazione del fatto e la reazione datoriale potrebbe legittimamente indurre l’affidamento nel lavoratore nell’intervenuta rinuncia all’esercizio del potere disciplinare, con contestuale esaurimento della potestà punitiva concessa dall’ordinamento.
Per poter ottenere un risultato valido è indispensabile che l’utilizzatore invii tempestivamente al somministratore una comunicazione quanto più possibile precisa e circostanziata. Oltre la corretta e precisa comunicazione dei fatti, tutte le successive fasi del procedimento disciplinare risultano fuori il controllo dell’utilizzatore, restando a lui non imputabili le conseguenze di eventuali profili di illegittimità che dovessero essere riscontrate nelle fasi successive.

4. La responsabilità per i danni arrecati dal lavoratore somministrato


Strettamente collegata ai profili disciplinari è l’imputabilità giuridica dei danni arrecati dal lavoratore somministrato nello svolgimento della sua prestazione. 
Che essi siano considerevoli o meno, per l’utilizzatore cercare di addebitare il risarcimento dei danni nei confronti del somministratore rappresenta una opportunità di risparmio. È per questo che gran parte dei contenziosi in materia di somministrazione vertono su questo aspetto.
L’inquadramento normativo generale della fattispecie è costituito dall’art 1228 del Codice civile italiano che prevede che il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi debba rispondere anche dei fatti dolosi o colposi di questi ultimi e dall’art. 2049 c.c. che prevede che i padroni ed i committenti siano responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
Per il contratto di somministrazione è l’art. 35 comma 7 D. lgs. n. 81/2015 a prevedere espressamente che l’utilizzatore debba rispondere nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal lavoratore nello svolgimento delle sue mansioni, rimarcando quanto già previsto dall’art. 2049 c.c..
Il punto viene periodicamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità che ha chiarito come eventuali danni arrecati dai lavoratori somministrati risultino esclusivamente a carico dell’effettivo utilizzatore, anche qualora derivino da atti illeciti o danneggino lo stesso utilizzatore[4]. La circostanza rilevante per la responsabilità ai sensi della normativa citata non è la formale dipendenza, ma semplicemente l’avvalersi, da parte di un soggetto, dell’opera di terzi, anche in forma occasionale, per svolgere una determinata attività.
Anche in tali casi, i danni occorsi per effetto dell’opera colposa o dolosa di terzi, ancorché non dipendenti formali, determinano la responsabilità del soggetto che se ne è avvalso, assumendosi il relativo rischio ai sensi dell’art. 2049 c.c. [5].
L’elemento caratterizzante della somministrazione è lo svolgimento dell’attività del lavoratore sotto la direzione e il controllo dell’impresa utilizzatrice, che non è parte del suo contratto di lavoro. Nell’ambito della somministrazione, quindi, è solo l’utilizzatore che riveste la qualificazione di “padrone” ai sensi dell’articolo 2049 c.c., responsabile verso terzi di eventuali danni, in quanto egli si è avvalso della sua opera, pur non essendo titolare effettivo del contratto di lavoro.
L’incomprensione sorge quando l’impresa utilizzatrice ritiene che il rischio inerente all’attività del lavoratore somministrato debba ricadere sul somministratore, arrivando a confondere il contratto di somministrazione con quello di appalto, ove l’appaltatore assume integralmente i rischi imprenditoriali di una determinata attività. Il rischio di confusione si amplifica nelle aziende ove si trovano a convivere le due tipologie di contratto che, pur manifestandosi con caratteri simili, nella sostanza risultano essere ben diversi.
I rimedi per proteggere l’utilizzatore da eventuali danni arrecati dal lavoratore somministrato possono essere di due tipi. Le parti potrebbero concordare preventivamente, come afferma anche la Corte di Cassazione[6], delle clausole di responsabilità contrattuale accessoria, sia per danni alla stessa impresa utilizzatrice sia per danni a terzi causati da comportamenti sbagliati o pericolosi dei lavoratori somministrati. Tali clausole, rapportabili ad un contratto aleatorio di assicurazione piuttosto che ad una assunzione diretta dei rischi, come avviene nel contratto di appalto, dovranno essere controbilanciate da un corrispettivo economico o da altro vantaggio contrattuale per il somministratore.
In alternativa, il fatto illecito del lavoratore somministrato potrebbe essere oggetto in sede civile di un’azione di risarcimento del danno proposta dall’utilizzatore nei confronti del lavoratore. Tale azione potrebbe risultare di più difficile esperimento considerata la natura della controparte che potrebbe essere irreperibile o, in caso di danni ingenti, non in condizione di poter far fronte ad una condanna al risarcimento degli stessi.
In ogni caso, comportamenti tesi a soddisfare in maniera arbitraria le ragioni dell’utilizzatore, quali il mancato pagamento del somministratore per prestazioni lavorative regolarmente rese, potrebbe comportare profili di responsabilità contrattuale con relativa condanna dell’utilizzatore inadempiente.
Va in ultimo ricordato che il presente lavoro analizza la normativa italiana vigente al momento in cui si scrive. Nel caso in cui il contratto di somministrazione coinvolga un fornitore straniero va altresì considerato che il contratto tra datore di lavoro somministratore e lavoratore, laddove più favorevole a quest’ultimo, potrebbe essere sottoposto alla disciplina del paese di origine del somministratore. A livello europeo grosso ruolo uniformatore ha avuto il legislatore comunitario ma sussistono ancora alcune differenze tra i diversi stati.
Il rispetto del principio della identità di trattamento tra lavoratori somministrati e diretti previsto dalla normativa italiana non esclude l’applicazione della normativa di origine laddove quest’ultima risulti maggiormente garantista per i diritti del lavoratore.
In questo caso, per una corretta esecuzione del contratto di fornitura è ancora più importante la collaborazione tra utilizzatore e somministratore e la disponibilità di quest’ultimo nel fornire assistenza nella gestione dei rapporti con il personale somministrato soprattutto nella gestione degli aspetti disciplinati dalla normativa straniera e che potrebbero non essere conosciuti dall’utilizzatore.

Note


[1] Coordinamento Generale Statistico Attuariale dell’INPS ha elaborato i dati nel seguente rapporto Prime esplorazioni tabella voucher
[2] Cfr. Cass., Sez. Lav., sent. 14 maggio 2014, n. 10662
[3] Cfr. Cass., Sez. Lav., sent. 07 settembre 2023 n. 26043
[4] Cfr. su tutte Cass. Sez. 3° Civ. 6 dicembre 2019 n. 31889
[5] Cfr. Cass., 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 12 ottobre 2018 ord. n. 25373, Cass.  3 febbraio 2019, n. 4298
[6] Cfr. Cass. Sez. 3° Civ. 6 dicembre 2019 n. 31889

Neil Andrew MacLeod

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