Contratto a termine e specificazione dei motivi (Cass. n. 13992/2013)

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Massima

Le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo poste a sostegno dell’apposizione del termine al contratto di lavoro devono essere specificate dal datore di lavoro in maniera circostanziata e puntuale, in modo da consentire il controllo della connessione tra la durata temporanea della prestazione, le esigenze produttive ed organizzative dedotte e l’utilizzazione del lavoratore, anche in base agli accordi collettivi richiamati nel contratto costitutivo del rapporto

 

1. Questione

La Corte d’Appello ha confermato la pronuncia di prime cure dichiarativa della nullità del termine apposto al contratto intercorso fra la lavoratrice e l’azienda, relativo al periodo dall’8.10 al 31.12.2002, in riferimento ad “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti ai processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un piu’ funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonche’ all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.

Avverso la suddetta sentenza della Corte è stato presentato ricorso per cassazione, che è stato rigettato.

 

2. Ipotesi del contratto a tempo determinato

Deve innanzi tutto ribadirsi, quale necessario punto di partenza per la soluzione dei problemi posti nel caso in esame, che l’art. 1 del d.lgs. 368/2001, (applicabile nella fattispecie ratione temporis) ha senz’altro confermato (per come già affermato da questa Suprema Corte con le sentenze n. 12985/2008 e 2279/2010), pur anteriormente alla novellazione operata dall’art. 39 della L. 247/2007, (“Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”), il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo, pur sempre, l’apposizione del termine una ipotesi derogatoria rispetto al suddetto principio, anche in presenza di un sistema imperniato sulla previsione di una clausola generale (“ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo”), che ha sostituito il precedente assetto normativo, fondato prima su un elenco tassativo e tipico di ipotesi autorizzative, ai sensi della L. 230/1962, e successivamente sulla “delega” alla contrattazione collettiva, ai sensi dell’art. 23 della L. 56/1987.

Il che porta ad escludere, diversamente da quanto si sostiene in ricorso, che le esigenze ” di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (o, in altri termini, le esigenze aziendali) richiamate nella norma siano “sempre individuabili nel normale andamento dell’attività aziendale”, con la conseguenza che al datore di lavoro “non (sarebbe) più richiesto di motivare l’assunzione a termine fornendo una giustificazione diversa e ulteriore rispetto a quella che normalmente conduce all’assunzione”. Ed, in realtà, per poter ritenere che il contratto a termine ed il contratto a tempo indeterminato risultino pienamente sovrapponibili e fungibili nella funzionalità tipologica e giuridica, rendendo puramente nominale la configurazione del contratto a termine come contratto speciale, si dovrebbe dimostrare che tale esito risulti compatibile con la portata letterale della disposizione dell’art. 1 del d.lgs. 368/2001 ed, ancor prima, che la norma risulti isolabile dal contesto comunitario, e cioè dai principi posti dalla direttiva 1999/70/Ce e dall’allegato accordo quadro e dall’interpretazione che degli stessi ha fornito il giudice comunitario, pur assumendo, nel caso, l’interpretazione “comunitaria” valenza anche costituzionale – art. 76 Cost. – per essere la delega al governo (art. 1 della L. 422/2000) strumentale e limitata all’emanazione delle norme necessarie a dare attuazione alla direttiva medesima. Sotto il primo aspetto, tuttavia, l’asserita “acausalità” del contratto a termine, pur nel nuovo quadro normativo, si pone in contrasto già con il tenore letterale stesso delle parole usate dal legislatore, che, per come ha già evidenziato questa Corte e lo stesso giudice delle leggi, ha inteso stabilire a carico del datore di lavoro un onere di puntuale specificazione delle ragioni che obiettivamente presiedono alla apposizione del termine, perseguendo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto (così Corte Cost. n. 214/2009; Cass. n. 2279/2010). Ed, in realtà, la previsione di specifici presupposti economici ed organizzativi e la necessità di una espressa motivazione in ordine alle ragioni che presiedono all’apposizione del termine resterebbero un mero flatus vocis ove il datore di lavoro potesse discrezionalmente determinare le cause di apposizione del termine, a prescindere da una specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata ad attuare.

L’adozione di un diverso punto di vista interpretativo imporrebbe, del resto, di dimostrare la sua idoneità a garantire, alla luce delle precisazioni progressivamente offerte dalla Corte di giustizia, il risultato imposto dal diritto comunitario, che, fermo restando la discrezionalità di ciascun Stato membro nell’elaborazione della norma equivalente di diritto, obbliga, quale che sia la misura in concreto adottata, a realizzare l’effettiva prevenzione dell’utilizzazione abusiva di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (così Corte giust. sentenza 23 aprile 2009, cause riunite da C – 378/07 a C – 380/07, Angelidaki e a., punti 80, 83,84, 94; sentenza 4 luglio 2006, causa C – 212/04, Adeneler e a., punto 101).

In tal contesto, si è precisato che “la nozione di “ragioni obiettive” ai sensi della clausola 5, n. 1 lett. a) dell’accordo quadro deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato successivi. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti in questione, dalle caratteristiche ad essi inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro” (sentenza Angelidaki, punto 96; v. anche sentenza Adeneler e a., punti 69, 70; sentenza 13 settembre 2007, causa C – 307/2005, Del Cerro Alonso, punto 53).

Con la conseguenza, fra l’altro, che deve ritenersi incompatibile con le finalità della direttiva il ricorso a contratti di lavoro a tempo determinato solo sulla base di una disposizione generale, in assenza di alcuna relazione con il contenuto concreto dell’attività considerata, che non consentirebbe di stabilire criteri oggettivi e trasparenti, idonei a verificare se la clausola di durata corrisponda ad un’esigenza reale e sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e necessario a tale effetto (v. oltre alle già citate sentenze Adelener e a., punto 74, Del Cerro Alonso, punto 55, Angelidaki, punto 100, anche l’ordinanza 12 giugno 2008, causa C – 364/07, Vassilakis e a., punto 93), così come appare egualmente incompatibile con tali finalità che le esigenze cui rispondono i contratti a termine abbiano di fatto un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, “permanente e durevole” (così fra le altre la sentenza Angelidaki, punti 103 e 106).

Ciò in quanto il principio, ora introdotto pure espressamente nel testo dell’art. 1 del d.lgs. 368/2001, per cui “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato” (principio che è arduo concepire come una norma priva di “reale contenuto”) corrisponde, in realtà, con la premessa su cui si fonda l’accordo quadro stesso, vale a dire “che i contratti di lavoro a tempo indeterminato costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, mentre i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in alcuni settori o per determinate occupazioni e attività” e che, pertanto, il beneficio della stabilità dell’impiego deve essere inteso come un elemento portante della tutela dei lavoratori (così Corte giust. sentenza 22 novembre 2005, causa C – 144/04, Mangold, punto 64; sentenza Angelidaki, punto 104), laddove i contratti di lavoro a termine sono idonei a rappresentare sia le esigenze dei datori di lavoro che dei lavoratori “soltanto in alcune circostanze”. Le considerazioni che precedono (che, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di giustizia, rivelano una portata generale e risultano riferibili, per la rilevanza che assume la clausola di c.d. non regresso, ad ogni aspetto della disciplina nazionale del contratto a termine, e, quindi, anche a quella del primo ed unico contratto : v. la sentenza Angelidaki, punti 120,121) valgono, pertanto, ad escludere che sussista una sostanziale fungibilità fra il contratto a termine ed il contratto a tempo indeterminato e che il lavoratore sia esentato da alcun onere probatorio (diverso o ulteriore rispetto a quello che normalmente conduce a qualsiasi assunzione) o,ancora, che il contenuto dello stesso si esaurisca nella dimostrazione di una ragione nè arbitraria, nè illecita, che, comunque, renda preferibile l’assunzione con contratto a termine, indipendentemente dalla puntuale specificazione di circostanze precise e concrete che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze imprenditoriali, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione di lavoro a tempo determinato.

Nè a diverse conclusioni è possibile pervenire a seguito dell’integrazione apportata all’originario testo dell’art. 1 del d.lgs. 368/2001, dall’art. 21 della L. 133/2008, con la precisazione che la clausola di durata è apponibile anche quando le ragioni che ne costituiscono fondamento sono “riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”, dal momento che la norma vale ad escludere che l’apposizione del termine sia consentita solo in presenza di circostanze connotate da eccezionalità ed imprevedibilità, e non anche di ragioni riferibili all’ordinaria e fisiologia attività dell’impresa, fermo restando la necessità che queste ultime evidenzino esigenze aziendali, puntualmente specificate nel contratto di assunzione, che possono essere soddisfatte, sulla base di criteri di normalità tecnico – organizzativa, con il ricorso alla clausola di durata, piuttosto che con l’ordinario contratto di lavoro.

In tal contesto, rilievo centrale assume l’obbligo della motivazione dell’assunzione a termine, che, a differenza di quanto avveniva con la disciplina previgente, si estende anche all’individuazione ed espressa enunciazione delle relative ragioni giustificatrici, con la previsione di un onere probatorio a carico del datore di lavoro, che,per essere funzionale ad assicurare la trasparenza e veridicità dell’opzione contrattuale, non può risolversi in formule pleonastiche o puramente ripetitive degli enunciati legali e contrattuali.

Ciò, tuttavia,non esclude, per come ha già ritenuto questa Suprema Corte in analoga fattispecie (cfr. Cass. n. 2279/2010), che l’esplicitazioni di tali ragioni possa risultare anche indirettamente dal contratto di lavoro, attraverso il riferimento ad altri testi scritti accessibili dalle parti, in particolare nel caso in cui, data la complessità e la articolazione del fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è a base della esigenza di assunzione a termine, questo risulti analizzato in specifici documenti, specie a contenuto concertativo, richiamati nella causale di assunzione.

 


Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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