Contenzioso bancario: la provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo e i diritti fondamentali della persona

AR redazione 25/09/14
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(I)

Costituisce “grave motivo” per sospendere l’esecutività del decreto ingiuntivo anche la mancata prova, da parte della banca, della validità delle modifiche in peius delle condizioni relative a fidi su conti correnti e della clausola di capitalizzazione trimestrale

(Tribunale di Chieti, Giud. Luciotti, ord. 15 Aprile 2014)

 

(II)

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato dal correntista ingiunto, laddove sia contestata la pretesa vantata dalla banca il giudice deve accertare l’esistenza di un fumus boni iuris del diritto vantato dalla parte opposta. Non può essere concessa la provvisoria esecutorietà laddove non sussistano elementi che possano condurre ad una valutazione di “approssimativa verosimiglianza” circa l’esistenza del diritto lamentato.

(Tribunale di Roma, Giud. Catallozzi, ord. 7 Agosto 2014)

 

note a cura dell’avv. Roberto Di Napoli 

 

 PROVVISORIA ESECUTIVITÀ DEL DECRETO INGIUNTIVO E DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA

 

 

L’efficacia provvisoriamente esecutiva del decreto ingiuntivo ottenuto in virtu’ della sola documentazione bancaria si infrange, ancora una volta, contro la necessita’ di fornire valida prova nel giudizio a cognizione piena.

 

Continuano ad aumentare le pronunce che, in seguito all’instaurazione di giudizi a cognizione piena e di valide contestazioni da parte dell’utente bancario, privano di efficacia esecutiva titoli, quali i provvedimenti monitori, ottenuti da banche “inaudita altera parte” e, dunque, in assenza di contraddittorio. Le ordinanze che si annotano arricchiscono la “costellazione” di provvedimenti che confermano l’onere (che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, incombe sulla banca ingiungente divenuta attrice sostanziale) di provare la fondatezza del credito rappresentato nel titolo ottenuto in assenza di contraddittorio (rectius: a “contraddittorio differito ed eventuale”).

A fronte di decreti ingiuntivi richiesti ed ottenuti dalle banche con facilità, forse, eccessiva in virtù di quanto previsto dall’art. 50 d.lgs. 385/1993 (o, forse, grazie all’“indiscriminato utilizzo” della norma[1]) che consentirebbe [2] di chiedere il provvedimento monitorio anche sulla base di documenti unilateralmente formati (quali gli estratti conto certificati da un dirigente come conformi alle scritture contabili) [3], varie sono le pronunce con le quali, in presenza di contestazione degli addebiti da parte del correntista o mancando la produzione di tutti gli estratti conto sin dall’inizio del rapporto, si è negata la provvisoria esecutorietà [4] o, in casi in cui il decreto era già stato emesso munito della relativa clausola, ne è stata sospesa l’efficacia esecutiva [5].

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(I)                Nel caso oggetto dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Chieti la vicenda ha origine da un decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto da una banca, con clausola di provvisoria esecutorietà, nei confronti di due coniugi di cui, uno, imprenditore titolare di una ditta e la moglie fideiussore. Oggetto della pretesa creditoria il saldo relativo ad un rapporto di apertura di credito in conto corrente. Nelle more dell’opposizione, proposta spiegando anche domanda riconvenzionale al fine di ottenere la ripetizione degli importi indebitamente pagati sia nel corso del rapporto oggetto del provvedimento che nel corso di altri rapporti nei confronti della dante causa della stessa banca, veniva dichiarato il fallimento del titolare della ditta con conseguente interruzione del processo che veniva riassunto dal fideiussore e nel quale, nell’inerzia della curatela fallimentare, si costituiva nuovamente lo stesso “fallito”.

Depositate le memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., il tribunale abruzzese “alla luce della documentazione prodotta dalla banca creditrice e definitivamente acquisita al processo nonché delle ragioni dell’opposizione (…)” ha ritenuto di dovere accogliere l’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto “giacchè allo stato sembra doversi verosimilmente ritenere che la banca abbia applicato unilateralmente ed in assenza di specifico accordo sottoscritto anche dal cliente, variazioni contrattuali in peius”.

Il Tribunale di Chieti, pertanto, anche in considerazione della mancata prova da parte della banca di avere rispettato le prescrizioni imposte dall’art. 118 T.U.B. al fine di procedere alla modifica delle condizioni economiche, ha ravvisato la sussistenza di “gravi motivi[6] per concedere la sospensione della provvisoria esecutorietà.

L’ordinanza si segnala, inoltre, per ulteriori aspetti che si ritengono di particolare importanza investendo anche la questione relativa ai presupposti della legittimità della capitalizzazione per il periodo successivo all’entrata in vigore della delibera Cicr 9 Febbraio 2000.

E’ nota, infatti, la frequente difesa degli istituti di credito volta a sostenere la legittimità della clausola anatocistica e giustificata con la circostanza che essa sarebbe consentita dalla sopra menzionata delibera Cicr in attuazione dell’art. 120 d.lgs. 385/1993 [7] .

L’ordinanza, conformemente a quanto, da tempo, sostenuto da vari autori [8] e, recentemente, anche da altri giudici [9], conferma, sostanzialmente, che affinchè la clausola contrattuale con la quale si preveda la capitalizzazione trimestrale possa ritenersi legittima non è sufficiente la mera comunicazione al correntista delle nuove condizioni, ma, in forza di quanto sancito dall’art. 7 della delibera menzionata, è necessaria la nuova sottoscrizione [10].

Il Tribunale abruzzese sembra condividere, dunque, l’orientamento secondo cui, venuto a mancare, in seguito alla sentenza Corte Costituzionale 425/2000, il presupposto su cui si fondava la disposizione dell’art.120 T.U.B. che sanava clausole anatocistiche previste nei contratti precedenti, l’art. 7 della delibera menzionata prescrive la sottoscrizione delle clausole anatocistiche non potendo ritenersi sufficiente la mera comunicazione delle nuove condizioni sulla Gazzetta Ufficiale. Ha ritenuto, infatti, il Tribunale di Chieti che:

la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 25, 3° comma, d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 ha fatto venir meno il presupposto legittimante l’art. 7 della Delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000 recante la disciplina dei rapporti di conto corrente instaurati prima della entrata in vigore della delibera stessa, talchè le nuove clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi, ancorchè rispondenti al principio di bilateralità e concretamente favorevoli per il correntista, non sono applicabili ai rapporti precedenti; infatti, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e la comunicazione previste dal citato art. 7, non si realizzerebbe una modifica contrattuale, come previsto dall’art. 118 T.U.B., bensì una inammissibile sanatoria, attraverso un atto unilaterale, di una clausola nulla (in tal senso, cfr. Trib. Venezia, 22 gennaio 2007, Trib. Torino 5 Ottobre 2007; Trib. Benevento 18 febbraio 2008; Trib. Padova 27 aprile 2008; Trib. Mondovì, 10 febbraio 2009)”.

Sembra che le banche, in effetti, dimentichino, spesso, che la norma di cui all’art. 7 della delibera Cicr 9 Febbraio 2000, -come ritenuto da chi scrive in un precedente lavoro- “(…) (emanata prima della sentenza 425/2000 della Corte Costituzionale) prescriveva la necessità di adeguare – entro il 30 giugno 2000 e con effetti a decorrere dal successivo 1° luglio – le clausole relative alla capitalizzazione presenti nei contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore delle nuove disposizioni. Essendo intervenuta la pronuncia della Consulta, è evidente che la norma debba essere intesa con (limitato) riferimento agli effetti che le clausole – adeguate alla nuova normativa – possano produrre per il periodo successivo all’entrata in vigore della delibera; resta fermo, infatti, che per il periodo precedente, esse vadano ritenute nulle e, dunque, prive di effetto con il conseguente diritto alla ripetizione di quanto corrisposto dal correntista. Ne discende che, contrariamente a quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 7 (la cui norma, nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali non avessero comportato un peggioramento di quelle precedentemente applicate, avrebbe consentito l’adeguamento mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana), dovendosi, le clausole stipulate in precedenza, ritenere nulle ex art. 1283 cod. civ. (come chiarito dalla giurisprudenza unanime ed in forza della pronuncia 425/2000 della Consulta), le condizioni applicate a partire dall’entrata in vigore della delibera devono essere approvate, per iscritto, dalla clientela in forza di quanto disposto dagli articoli 2, 6 e 7 della medesima delibera. Tale conclusione – ossia l’inidoneità, per i contratti stipulati precedentemente all’entrata in vigore della delibera, della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle nuove condizioni relative alla capitalizzazione e la necessità, dunque, di specifica sottoscrizione – è stata condivisa anche dalla giurisprudenza, oltre che dalla dottrina[11].

In tal senso, oltretutto, già da tempo, si sono espresse varie pronunce [12].

Si ricorda, tra queste, “quanto ribadito dal Tribunale di Padova con sentenza del 27 aprile 2008 che, in un caso in cui l’istituto di credito sosteneva, a partire dall’entrata in vigore della delibera del CICR, la legittimità della capitalizzazione avendo provveduto alla comunicazione alla clientela delle nuove condizioni mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (come consentito dalla delibera in caso di condizioni non peggiorative), ha dichiarato l’erroneità dell’assunto della banca e, dunque, l’insufficienza di tale comunicato essendo, invece, indispensabile, anche per i contratti pendenti a quella data, la pattuizione specificamente sottoscritta dal cliente. Ha specificato il tribunale padovano, in particolare, che, “la variazione in melius o in peius presuppone pur sempre una valida pattuizione sottostante laddove la ricognizione negativa ad opera della Corte di Cassazione, cioè la statuizione di inesistenza di uso normativo bancario idoneo a derogare all’art. 1283 cod. civ., comporta inevitabilmente la nullità della relativa clausola (…). È evidente che rispetto ad una clausola nulla non può operare alcun meccanismo di variazione, tantomeno semplificato, ad iniziativa di una sola delle parti[13].

E’ evidente, quindi, che con la pronuncia che si annota e con la quale si sono ritenuti sussistenti “gravi motivi” per sospendere la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, il Tribunale abruzzese ha confermato di uniformarsi a quanto ritenuto dalla giurisprudenza prevalente rilevando che per il periodo successivo alla entrata in vigore della delibera in esame “è legittima la capitalizzazione degli interessi, alla sola condizione che la periodicità della capitalizzazione sia reciproca e che risulti da espressa pattuizione scritta (cfr. in particolare, art. 2 Delibera Cicr citata), pattuizione che, inoltre, deve essere specificamente approvata per iscritto (art. 6 Delibera CICR citata)” (cfr. Tribunale Piacenza n. 309/2011) e nel caso di specie l’esistenza di tale stipulazione è contestata”.

Ma non solo. Ulteriore aspetto affrontato nella pronuncia è stato quello dell’esclusione della legittimità anche della capitalizzazione annuale. E’ stato ricordato, infatti, che “l’ulteriore questione della spettanza, sempre ed in ogni caso per il periodo anteriore alla delibera CICR richiamata dal D.LGS. n. 342 del 1999, art. 25, di una capitalizzazione con frequenza annuale, ovvero della carenza del diritto del creditore a qualsivoglia capitalizzazione è stata ormai risolta da Cass. Sez. un. 2 dicembre 2010 n. 24418 che ha affermato che gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione (in tal senso anche Cass. n. 9695/2011)”.

 

II. Caso analogo, sebbene il decreto ingiuntivo non fosse ancora munito della clausola di provvisoria esecutorietà, è quello oggetto dell’ordinanza sub II emessa dal Tribunale di Roma[14] nell’ambito di un’opposizione a decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto da una banca sia nei confronti dell’impresa correntista che dei fideiussori. Il titolo veniva notificato prima nei confronti di questi ultimi e, successivamente, per un errore nella notifica, all’impresa, ragion per cui venivano proposte due autonome opposizioni.

Tra i vari motivi, gli opponenti avevano eccepito che, come ammesso dalla stessa banca, il conto corrente era sorto, nel lontano 1980, con la dante causa o meglio con la sua “antenata” senza, però, che fosse stato prodotto un valido contratto visto che il documento allegato non conteneva valide pattuizioni in merito al tasso degli interessi, alle commissioni di massimo scoperto, alla valuta e risultava palese, d’altronde, l’illegittimità della clausola relativa alla capitalizzazione trimestrale. Contestata, per vari motivi, qualsivoglia ragione di credito della banca e spiegando domanda riconvenzionale, chiedevano, quindi, l’accertamento del loro credito (e non debito) domandando, quindi, la condanna dell’opposta alla restituzione degli importi addebitati nel corso del lungo rapporto.

In seguito alla reiterazione, da parte della banca, dell’istanza di concessione della provvisoria esecutorietà, l’impresa correntista (ingiunta ed opponente) si opponeva per i vari motivi eccepiti nell’atto di opposizione[15].

Con ordinanza del 7 Agosto 2014 il Giudice, esaminati gli atti e provveduto in merito alla riunione dei giudizi[16], rigettava l’istanza.

E’ stato, infatti, correttamente ricordato, innanzitutto, che “l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo può essere concessa quando l’opposizione non risulta esser fondata su prova scritta idonea a dimostrare l’insussistenza dei fatti allegati dall’ingiungente a fondamento della sua pretesa ovvero la sussistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi della stessa, nè appare di pronta soluzione“. Ribadito, poi, che “(…) il giudice è tenuto ad accertare l’esistenza di un fumus boni iuris del diritto vantato dalla parte opposta”  allo stato non sono stati rilevati, nel caso di specie, “elementi che possano condurre ad una valutazione di approssimativa verosimiglianza circa l’esistenza del diritto lamentato, nella sua interezza, avuto riguardo alla non manifesta infondatezza delle eccezioni sollevate dall’opponente e rilevabili d’ufficio, con particolare riguardo a quelle aventi ad oggetto la nullità delle clausole applicate ai rapporti bancari dedotti in giudizio relative alle condizioni economiche applicate, in difetto della produzione del relativo documento contrattuale“.

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(I, II) Si comprende, pertanto, che le non poche pronunce che negano o sospendono la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca -la quale, nel successivo giudizio di opposizione e in presenza di valide contestazioni, non fornisce prova del credito vantato- oltre ad essere conformi a quanto sancito dall’art. 2697 cod. civ. in tema di onere della prova, dimostrano la particolare prudenza ed attenzione dovuta nella valutazione dei presupposti legittimanti la concessione o la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo [17].

Non si può trascurare, infatti, a maggior ragione nella particolare materia delle controversie tra banche e utenti, che se, da una parte, le esigenze di salvaguardia del diritto di credito, in alcuni casi, possono legittimare l’ottenimento da parte della banca di un titolo provvisoriamente esecutivo, dall’altra, un tale titolo può compromettere irrimediabilmente vari diritti della controparte più debole: diritti che, ad avviso dello scrivente, sarebbe riduttivo e mortificante ritenerli suscettibili di risarcimento “per equivalente” e, solo in quanto risarcibili, aventi importanza secondaria rispetto al diritto di credito e all’esigenza di preservarlo mediante la concessione della provvisoria esecutorietà ad un titolo ottenuto inaudita altera parte o con il rigetto dell’istanza di sospensione.

Si trascurerebbe, con un simile, superficiale ragionamento, che i diritti che potrebbero essere lesi da un’ingiusta esecuzione instaurata in forza del decreto ingiuntivo sono, il più delle volte, diritti non risarcibili “in forma specifica”, quali il diritto alla proprietà, al rispetto del domicilio, della vita privata e familiare (si pensi all’abitazione che -oltre a potere essere oggetto di tutela anche risarcitoria, quale diritto fondamentale della persona, vd. Trib. Milano, sent. 3 settembre 2012 [18] – non costituisce solo un bene immobile avente un valore patrimoniale bensì, il principale punto di riferimento di un soggetto e della sua famiglia, il luogo –così come può esserlo la sede dell’impresa o un capannone industriale- a cui possono essere legati i ricordi di una vita, intimamente legati, tra l’altro, alla stessa persona coinvolta e la cui lesione del diritto di proprietà può riflettersi anche sulla sua salute se non proprio sulla vita) o il diritto al libero esercizio di attività di impresa (è difficile immaginare che un risarcimento per equivalente, sebbene di ingente entità o in misura pari al valore dei beni persi, ottenuto, magari, dopo decenni e all’esito del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo con domanda riconvenzionale o di successivo giudizio per risarcimento danni, possa consentire la rinascita dell’impresa che, a causa del decreto esecutivo, è stata privata di beni o ha dovuto sopportare la rinuncia ad investimenti essendosi destinate risorse al soddisfacimento del credito riconosciuto meritevole di tutela esecutiva solo “provvisoriamente”, oppure, ancora, che a causa di quel titolo, è fallita o, comunque, cessata). E’ difficile, insomma, ad avviso di chi scrive, che, a fronte di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, la successiva revoca e il risarcimento dei danni eventualmente subiti dall’ingiunto possano ricompensare quest’ultimo, “leso” nei suoi diritti fondamentali, restituendogli i “beni della vita” compromessi.

Non può che riconoscersi, allora, la fondamentale rilevanza che deve necessariamente essere attribuita, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, alla valutazione dei presupposti per la concessione della provvisoria esecutorietà richiesta dalla banca o, al contrario, alla sua sospensione richiesta dall’utente bancario opponente[19].

Prioritaria ed imprescindibile deve essere, dunque, in presenza di contestazioni da parte dell’opponente, l’esame della documentazione contrattuale e di tutti gli estratti conto (sin dalla prima operazione) la cui produzione, come dimostrano molteplici ordinanze tra cui quelle sopra annotate, emesse dal Tribunale di Chieti e di Roma, è onere a carico della banca che, si ripete, deve fornire la prova su cui intende fondare l’accertamento del diritto di credito. 

Avv. Roberto Di Napoli

 


*     Roberto Di Napoli, avvocato, è autore di pubblicazioni in materia di vizi nei rapporti banche-utenti e di diritto dei consumatori tra cui “L’usura nel contenzioso bancario”, Maggioli, 2014; “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, IV ediz., Maggioli, 2013 “Risarcimento del danno da vacanza rovinata”, III ediz., Maggioli, 2012; “Responsabilità e risarcimento nel codice del consumo”, II ediz., Maggioli, 2008; “200 modelli per la difesa del consumatore”, Maggioli, 2006.

[1] L’abuso, o meglio, per utilizzare le stesse parole dei deputati proponenti il disegno di legge, “l’indiscriminato utilizzo del disposto dell’art. 50 del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” fu rilevato, nella XVI legislatura, al punto da costituire oggetto di una proposta di legge di modifica della suddetta norma (proposta n. 3523 presentata il 3 Giugno 2010, può essere letta sul sito della Camera dei Deputati, in http://www.camera.it/_dati/lavori/stampati/pdf/16PDL0040620.pdf). Malgrado gli sforzi e la necessità di modifica evidenziata da associazioni e da professionisti consulenti richiamati nella relazione alla proposta di legge, quest’ultima, ad oggi, non pare abbia trovato seguito o costituire oggetto di “lavori parlamentari”.

[2] L’art. 50 d.lgs. 385/1993 prevede che “La Banca d’Italia e le banche possono chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’art. 633 del codice di procedura civile anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido

[3] A dire il vero, come confermato da alcuni provvedimenti emessi, anche l’imprenditore soggetto alla tenuta delle scritture contabili può chiedere ed ottenere decreto ingiuntivo nei confronti della banca per ripetizione di importi, vd. R. Di Napoli, “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, IV ediz., Maggioli, 2013, pg. 356 e segg.

[4] Tra le tante, oltre a quelle che si annotano, mi limito a ricordare Trib. Roma, Giud. Falabella, ord. 11 Aprile 2013, nel mio “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, cit. pg. 370; Trib. Roma, Giud. Iofrida, ord. 3 Maggio 2010, vd. mio blog all’indirizzo http://ilblogdirobertodinapoli.wordpress.com/2010/05/.

[5] Trib. Padova, sez. Este, ord. 29 Aprile 2013; Trib. Bergamo, ord. 23 Aprile 2013, entrambe su mio blog all’indirizzo http://ilblogdirobertodinapoli.wordpress.com/2013/05/04/anatocismo-e-usura-e-anche-il-tribunale-di-padova-sezione-di-este-sospende-la-provvisoria-esecutorieta-del-decreto-ingiuntivo-ottenuto-dalla-banca/; vd., inoltre, Trib. Verona, Giud. Mirenda, ord. 13 Dicembre 2013, inedita, sospende la provvisoria esecutorietà del decreto opposto ribadendo che, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo a carico dell’utente bancario,  è onere della banca di fornire prova del credito. Si riconosce, in particolare, che “rilevato che la banca non ha prodotto tutti gli estratti conto a far data dall’insorgenza del rapporto (2005) e che, a fronte delle eccezioni del debitore circa l’esatto ammontare del dovuto (…..), era comunque preciso onere dell’opposta – ex art. 2697, c.I; c.civ., – dare la prova del quantum debeatur, non potendo bastare allo scopo il solo certificato ex art. 50 TULB che, seppure non assimilabile (…) all’ abrogato saldaconto ex lege 102/36, appare viepiù finalizzato al solo ottenimento del decreto monitorio, fermi restando, in sede oppositiva, i principi generali in tema di riparto probatorio ( cfr. Cass. 3/5/2011 n. 9695 secondo cui “ L’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca, di cui all’art. 50 d.lg. 1º settembre 1993 n. 385, in caso di contestazione non costituisce di per sé prova del credito vantato dalla banca nei confronti del correntista”); che tanto basta, allora, a far ritenere sussistenti i gravi motivi per sospendere la provvisoria esecutività ex art. 649 c.p.c.”. Si consideri che l’onere della banca, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, di depositare tutti gli estratti conto sin dall’inizio del rapporto, è stato recentemente ribadito anche dai giudici di legittimità i quali hanno ribadito, oltretutto, il principio secondo cui una volta superata la fase monitoria, nel successivo giudizio a cognizione piena, laddove sia contestata per mancanza di requisiti di legge la pattuizione degli interessi legali, la banca è tenuta a produrre gli estratti conto a partire dall’apertura del conto anche oltre il decennio (Cass. civ., sez. I, sent. 2 Agosto 2013, n. 18541, in www.ilcaso.it, sez. Giurisprudenza, 9361).

[6] Sia pure con motivazione meno analitica ma in presenza di analoghe contestazioni da parte del correntista, ha ritenuto sussistenti “gravi motivi” per sospendere la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo anche Trib. Padova, sez. Este, ord. 29 Aprile 2013, in http://ilblogdirobertodinapoli.wordpress.com/2013/05/04/anatocismo-e-usura-e-anche-il-tribunale-di-padova-sezione-di-este-sospende-la-provvisoria-esecutorieta-del-decreto-ingiuntivo-ottenuto-dalla-banca/.

[7] In merito alla recente modifica dell’art. 120 T.U.B. successivamente all’entrata in vigore della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 (cosiddetta legge di stabilità 2014), vd. A. Tanza, “Anatocismo bancario: le novità introdotte dalla Legge di Stabilità 2014”, pubblicato su www.altalex.com.

[8] Si consiglia, a tal proposito, la lucida analisi di P.G. Demarchi Albengo, in Brevi riflessioni su anatocismo e commissioni di massimo scoperto nei conti correnti bancari, intervento in occasione dell’incontro di studio sul tema Il contenzioso bancario, tenutosi presso la Corte d’Appello di Bari il 15 Aprile 2011, nonché in Atti del Convegno Anatocismo, ius variandi e usura nei rapporti bancari, organizzato da Assoctu, tenutosi presso l’Università Sapienza di Roma il 24 febbraio 2012, richiamata anche nel mio “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, IV ediz., cit. , pg. 146.

[9] Trib. Treviso, sez. distaccata di Montebelluna, sent. 10 Giugno 2013, pubblicata anche al seguente indirizzo: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/guidaAlDiritto/civile/civile/sentenzeDelGiorno/2013/07/anatocismo-bancario-risarcimento-dopo-il-2000-se-il-contratto-era-in-corso.php, vd, inoltre, infra, nota 10.

[10] Sia consentito il rinvio al mio lavoro “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”,  cit., pg. 143 e segg. nel quale, sin dalla II edizione pubblicata nel 2008, rilevavo il dato temporale dell’anteriorità della delibera del Cicr rispetto alla sentenza della Corte Cost. 17 Ottobre 2000 n. 425 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 25, terzo comma, d.lgs.342/1999 e, dunque, della disposizione con la quale si “sanavano” le clausole anatocistiche contenute nei contratti precedentemente stipulati; condividevo, quindi, in presenza di condizioni peggiorative (come, indubbiamente, dovrebbero ritenersi le clausole che consentano la capitalizzazione rispetto a quelle contenute nei contratti precedenti e che, ritenendosi affette da nullità, non possono che essere considerate prive di efficacia) , la necessità di sottoscrizione delle nuove clausole.

[11] R. Di Napoli, “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, cit. pg. 146.

[12] Trib. Benevento, Giud. Cusani, sent. 18 Febbraio 2008; Trib. Torino, sez. VI civ., sent 28 Aprile 2008, n. 3157; Trib. Lecce, sez. Campi Salentina, sent. 13 luglio  2009, ricordate nel mio “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, IV ediz., Maggioli, 2013.

[13] R. Di Napoli, “Anatocismo e vizi nei contratti bancari”, pg. 148, IV ediz. Maggioli, 2013.

[14] Trib. Roma, Giud. Catallozzi, ord. 7 Agosto 2014, pubblicata anche sul mio blog al seguente indirizzo http://ilblogdirobertodinapoli.files.wordpress.com/2014/09/trib-roma-ord-7-agosto-2014.pdf

[15] Si precisa che gli opponenti chiedevano anche la riunione del giudizio con l’altro conseguente alla separata opposizione (proposta da parte dei fideiussori);.

[16] La riunione veniva disposta dal Presidente del Tribunale.

[17] Sull’argomento, nonché in merito ai motivi di sospensione di procedure esecutive fondate su contratti di mutuo contenenti la previsione di interessi usurari o, in genere, su titoli non rappresentativi di un diritto di credito certo, liquido ed esigibile, sia consentito il rinvio al mio “L’usura nel contenzioso bancario”, Maggioli, 2014, pg. 110 e seguenti.

[18] Si consideri, infatti, che, sia pure in un giudizio avente ad oggetto una controversia non riguardante rapporti bancari (nel caso di specie, si trattava di risarcimento danni derivati da infiltrazioni che avevano costretto una coppia di coniugi a lasciare l’abitazione), il Tribunale di Milano, con un’interessante pronuncia, ha riconosciuto la meritevolezza di tutela anche risarcitoria a diritti quali quello al rispetto della vita privata e familiare; beni, questi, protetti non solo costituzionalmente e dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, bensì, tutelati quali diritti inviolabili della persona anche dall’art. 7 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (c.d. carta di Nizza), che, come è noto, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha assunto la forza di trattato costituente diritto primario dell’Unione (Trib. Milano, sent. 3 settembre 2012, in Foro Italiano, 2012, I, col. 2850);

[19] In merito anche ai motivi di sospensione delle procedure esecutive fondate su contratti di mutuo contenenti la previsione di interessi usurari, sia consentito il rinvio al mio “L’usura nel contenzioso bancario”, Maggioli, 2014, pg. 110 e seguenti.

AR redazione

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