Configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di provvedimento dell’Autorità

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La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 43306 del 25 ottobre 2023) ha chiarito gli aspetti della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria fonte di obblighi, nello specifico, obblighi nascenti da sentenza costitutiva emessa, ex art. 2932 c.c., dal giudice civile, non ancora divenuta irrevocabile.

Per approfondimenti si consiglia: Dibattimento nel processo penale dopo la Riforma Cartabia

Indice

Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 43306 del 25/10/2023

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1. I fatti

La pronuncia della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dalla parte civile nel procedimento nei confronti dell’imputata accusata (e poi assolta sia in Tribunale che in Corte di appello) del reato di cui all’art. 388 cod. pen.
L’imputata, destinataria della sentenza civile con cui, ai sensi dell’art. 2932 c.c., si ordinava di trasferire un determinato immobile in favore della parte civile, non avrebbe proceduto in tal senso e avrebbe, invece, trasferito l’immobile ad altra persona, in tal modo eludendo il provvedimento.
Nello specifico, è stato accertato in punto di fatto che il Tribunale civile di Catania aveva rigettato la domanda proposta dall’imputata (convenuta in sede civile, ndr) avente ad oggetto la risoluzione del contratto preliminare di vendita immobiliare per l’inadempimento della promissaria acquirente. Con la stessa sentenza, il Tribunale, in accoglimento della domanda riconvenzionale della parte civile, aveva trasferito, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., l’immobile in questione alla stessa, condizionando tuttavia l’effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo nel termine di 15 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Avverso la sentenza in questione, l’imputata aveva proposto appello e la stessa, nel corso di giudizio di impugnazione, aveva prima stipulato un contratto preliminare di vendita dell’immobile in questione con una terza persona e poi alienato l’immobile alla figlia di questa.
Il ricorso della parte civile, in relazione al procedimento penale, infine, si articolava in due motivi. Con il primo si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in quanto, secondo la parte civile, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di merito, vi sarebbe la prova che la vendita dell’immobile alla terza persona da parte dell’imputata fosse preordinatamente simulata e fraudolenta e ciò sarebbe confermato dal fatto che la compratrice avrebbe a sua volta ritrasferito il bene al padre dell’imputata: un comportamento finalizzato a non trasferire l’immobile e a conservarlo nella propria sfera giuridica.
Secondo la Corte di appello “l’insussistenza del reato deriverebbe dalla condizione sospensiva indicata nella sentenza civile, che imponeva il pagamento del residuo prezzo da parte del promissario acquirente entro quindici giorni dal passaggio in giudicato della sentenza e che avrebbe precluso il prodursi dell’effetto traslativo in applicazione dell’art. 1357 cod. civ., e, dall’altra, a quella del Tribunale relativa alla omessa trascrizione della domanda avente ad oggetto il trasferimento dell’immobile“.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione, in quanto la Corte non avrebbe fornito risposte alle doglianze contenute nell’atto di appello.

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2. Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento: l’analisi della Cassazione

Per decidere sulla questione sottopostale, la Corte di Cassazione ha dovuto analizzare anche gli atti e i provvedimenti del processo civile da cui è scaturita la disputa tra le parti.
Arrivati a questo punto, la Corte, rammenta che la condotta prevista dall’art. 388, comma 1, cod. pen. è strutturata in modo complesso: essa richiede un presupposto, costituito dalla esistenza di un obbligo accertato con un provvedimento giurisdizionale, ed un’azione, costituita dal compimento di atti simulati o fraudolenti e dall’inottemperanza alla ingiunzione di eseguire il provvedimento.
Continua la Corte, chiarendo che il presupposto del reato in questione è stato riformato nel 2009, codificandolo come esistenza di qualsiasi provvedimento dell’autorità giudiziaria fonte di obblighi recidendo in tal modo ogni dubbio sulla natura del provvedimento idoneo ad integrare la fattispecie: deve, dunque, trattarsi di un provvedimento da cui scaturiscono obblighi.
Ricordando consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite civili riguardo alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., la Corte osserva che “in ragione della peculiarità dell’azione personale e non reale prevista dalla norma in questione e della sua correlata sentenza, questa ha natura costitutiva e spiega la sua efficacia solo con decorrenza “ex nunc” al momento del suo passaggio in giudicato, con conseguente necessità della sussistenza delle condizioni dell’azione al momento dell’intervento della pronuncia.
Ne consegue, hanno aggiunto le Sezioni Unite, che quando detta sentenza abbia subordinato l’effetto traslativo al pagamento del residuo prezzo, l’obbligo di pagamento in capo al promissario acquirente non diventa attuale prima dell’irretrattabilità della pronuncia giudiziale, essendo tale pagamento la prestazione corrispettiva destinata ad attuare il sanallagma contrattuale
“.
La Suprema Corte conclude la sua osservazione chiarendo che “le sentenza emesse ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. non possono dunque conoscere un’efficacia esecutiva anticipata rispetto al momento della formazione del giudicato perché l’effetto traslativo della compravendita è condizionato dall’irretrattabilità della pronuncia con la quale viene determinato l’effetto sostitutivo del contratto definitivo non stipulato“.
Nel caso di specie, ad avviso della Cassazione, dalla sentenza costitutiva emessa dal Tribunale ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. non derivava nessun obbligo civile attuale ed esecutivo, rispetto al quale l’imputata era in quel momento tenuto ad adempiere, né quanto al trasferimento dell’immobile e neppure quanto al pagamento del prezzo: l’imputata continuava ad essere proprietaria di quell’immobile e il reato contestato non è dunque configurabile.
La Corte di Cassazione ha peraltro spiegato che è la trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell’obbligo di trasferire la proprietà di un bene immobile che rende inopponibili al promissario acquirente le alienazioni a terzi effettuate dal promittente rivenditore in epoca successiva e che rende anche “possibile il trasferimento del bene in favore del promissario che, altrimenti, nel suddetto caso di successiva alienazione dell’immobile, secondo i principi generali non potrebbe più avere luogo“.

3. La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, dunque, dopo una dettagliata analisi della situazione sul piano civilistico, quale presupposto della commissione del reato di cui all’art. 388 cod. pen., ha sancito che la condotta posta in essere dall’imputata “potrà al più costituire un inadempimento contrattuale con conseguente obbligo risarcitorio, ma non integra, per le ragioni indicate, la fattispecie di reato contestata da cui far discendere un danno criminale“.
Pertanto, la Corte ha rigettato il ricorso della parte civile con relativa condanna al pagamento delle spese processuali.

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Riccardo Polito

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