Comunicabilità ai soggetti concorrenti nel reato delle circostanze aggravanti inerenti le condizioni o le qualità personali del colpevole: criteri di imputazione utilizzabili e problematica della necessaria o meno incidenza delle stesse sulla realizzazion

Tiziana Caboni 03/07/14
Scarica PDF Stampa

Le circostanze del reato sono tradizionalmente definite come gli elementi che stanno intorno o accedono ad un reato già perfetto nella sua struttura comportando una modificazione della cornice edittale della pena.

Si connotano dunque per il carattere dell’accessorietà, trattandosi di accidentalia delicti la cui assenza non fa venir meno il reato laddove esso sia completo nei suoi elementi costitutivi e la cui presenza non comporta la configurabilità di un reato diverso, e della efficacia di extraedittalità  in relazione alla funzione di determinazione legale della pena, in quanto comporta una variazione quantitativa e in alcuni casi qualitativa del trattamento sanzionatorio per effetto della modifica della gravità del reato in relazione al profilo oggettivo e a quello soggettivo.

Il legislatore ha elaborato, al fine di soddisfare esigenze di disciplina del fenomeno, una serie di criteri classificatori, il primo dei quali è rappresentato, come è dato evincere dalla lettura delle norme codicistiche in materia, dalla distinzione tra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, operante a seconda che la presenza del dato circostanziale comporti o meno un inasprimento della pena ordinaria prevista per il reato semplice.

Le circostanze aggravanti assolvono dunque nel nostro ordinamento alla funzione di adeguamento della pena in concreto da irrogare al prevenuto per la fattispecie criminosa commessa alla maggiore riprovevolezza che lo ha connotato in quanto ad esso accede un elemento circostanziale che lo rende meritevole di un giudizio di maggiore disvalore penale. Così, a titolo esemplificativo, il soggetto agente risponderà di un pena più severa rispetto a quella prevista per il reato base, qualora abbia commesso il fatto sussumibile nella fattispecie astratta adoperando sevizie o crudeltà verso le persone (circostanza aggravante comune di cui all’art. 61, n. 4, c.p.) o, con specifico riferimento al delitto di sequestro di persona previsto e punito dall’art. 605 c.p., abbia commesso il fatto in danno di un minore (circostanza aggravante speciale ex art. 605, comma 2, c.p.).

La circostanza aggravante, posto che lo stessa precisazione vale anche per quella attenuante, in quanto elemento che accede ad un reato già perfetto, deve essere tenuta distinta dagli elementi costitutivi del reato, i quali, data la loro natura di essentialia delicti, incidono sulla configurabilità o meno del reato a seconda che nel caso concreto ricorrano o siano assenti.

La particolare funzione di determinazione del trattamento sanzionatorio in senso peggiorativo rispetto alla pena ordinaria prevista per il reato base ha portato il legislatore del 1990 a intervenire in maniera significativa sul regime di imputazione delle circostanze aggravanti.

La formulazione originaria dell’art. 59 c.p. prevedeva che tutte le circostanze dovessero essere attribuite all’agente sulla base di un parametro oggettivo, rappresentato dalla loro materiale esistenza, a prescindere dal fatto che tale soggetto le avesse ignorate o ritenute inesistenti per errore.

Tale impostazione, sicuramente accoglibile per le circostanze che attenuano la pena, non era parsa meritevole di consensi in relazione a quelle aggravanti.

La norma, infatti, almeno nella parte in cui prevedeva il regime di imputazione obiettivo delle circostanze che in questa sede rilevano, aveva suscitato critiche nella dottrina più attenta che l’aveva qualificata come una chiara ipotesi di responsabilità oggettiva espressa, pertanto violativa del principio di colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2, Cost. così come interpretato dalla Consulta con le note sentenze del 1988.

La l. 19/1990, accogliendo i moniti dottrinali, ha radicalmente mutato il criterio di imputazione in riferimento alle circostanze aggravanti, espressamente stabilendo al comma 2 dell’art. 59 c.p. la valutazione delle stesse a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Ne deriva, dunque, l’accoglimento di un meccanismo di attribuzione all’agente del dato circostanziale solo in presenza di un coefficiente soggettivo individuato in tre parametri subiettivi tra loro alternativi, ovvero la conoscenza, l’ignoranza colposa e l’erronea rappresentazione dovuta a colpa.

La riforma non ha invece influito sulla disciplina dettata ab origine dal legislatore riguardo alle circostanze aggravanti putative: l’art. 59, comma 3, c.p. ne sancisce, infatti, l’irrilevanza, non essendo le stesse valutate contro l’agente.

La previsione si pone in piena coerenza con un diritto penale del fatto ispirato al principio di materialità, in forza del quale il fatto materiale rappresenta il primo e imprescindibile presupposto per un giudizio di disvalore penale.

Particolarmente interessante nella tematica delle circostanze aggravanti è la questione della loro comunicabilità ai concorrenti nel reato.

Ricorre il concorso di persone nel reato quando più persone pongono in essere insieme uno stesso fatto di reato: gli artt. 110 e ss. c.p. dettano la disciplina relativa alla realizzazione in forma plurisoggettiva di un reato astrattamente monosoggettivo, essendo quest’ultima la tipica configurazione delle fattispecie di parte speciale, come tali  non suscettibili, singolarmente considerate, di applicazione in caso di esecuzione frazionata del reato da parte di più agenti.

Pertanto, secondo la teoria maggioritaria elaborata dalla dottrina e nota come tesi della fattispecie plurisoggettiva eventuale, è proprio dalla sinergia tra la disposizione integratrice di cui all’art. 110 c.p. e la singola previsione incriminatrice di parte speciale che il nostro ordinamento consente il passaggio dalla fattispecie monosoggettiva alla punibilità dei concorrenti.

Tra le norme coniate dal legislatore per disciplinare l’istituto del concorso di persone nel reato con riferimento al tema delle circostanze, oltre agli artt. 112 e 114 c.p., rispettivamente volte all’elencazione delle circostanze aggravanti e di quelle attenuanti, l’art. 118 c.p. fornisce all’interprete un preciso criterio di valutazione delle stesse, in ragione della particolare ipotesi che il fatto materiale di reato è stato commesso attraverso il contributo causale, materiale o morale, sorretto da un atteggiamento psicologico di dolo o di colpa, prestato da una pluralità di soggetti agenti.

La norma in esame ha profondamente risentito della citata novella intervenuta nel 1990. La vecchia formulazione, infatti, distingueva espressamente la valutazione da compiere in tema di comunicabilità a seconda della natura oggettiva o soggettiva della circostanza che di volta in volta veniva in rilievo, e per tale ragione veniva letta in combinato disposto con l’art. 70 c.p., la cui esistenza trovava la sua ragione giustificatrice proprio nella previsione contenuta nel testo dell’art. 118 c.p.

Ai sensi del citato art. 70 c.p., si intendono per circostanze oggettive quelle che riguardano la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo e ogni altra modalità dell’azione, la gravità del danno e del pericolo, nonché le condizioni o le qualità personali dell’offeso. Diversamente, si parla la circostanze soggettive in riferimento a  quelle circostanze che concernono l’intensità del dolo o il grado della colpa, le condizioni e le qualità personali del colpevole o, ancora, quelle che siano inerenti alla persona del reo, specificatamente individuate nella imputabilità e nella recidiva.

Ciò posto, il previgente testo dell’art. 118 c.p. stabiliva che le circostanze oggettive, aggravanti o attenuanti, dovevano essere valutate a carico o a favore dei concorrenti anche se non conosciute da tutti. Quanto alle circostanze soggettive non inerenti alla persona del colpevole e aggravanti la pena per taluno dei soggetti che avessero concorso nella realizzazione del reato, anche in caso di ignoranza da parte dei concorrenti dovevano essere valutate a loro carico qualora fossero servite ad agevolare l’esecuzione del reato. In via residuale, il legislatore precisava che qualsiasi altra circostanza, fosse essa aggravante o attenuante, doveva essere valutata unicamente relativamente alla persona a cui si riferiva.

Una tale disciplina imponeva, come si è detto, a fini interpretativi una lettura della norma alla luce dell’art. 70 c.p., e più esattamente l’art. 118, comma 2, c.p. doveva necessariamente essere letto in combinato disposto all’art. 70, comma 2, c.p. in tal modo consentendo l’individuazione di quelle che potevano definirsi come circostanze soggettive ma non inerenti alla persona del colpevole, ovvero come quelle relative alle condizioni e alla qualità personali del colpevole.

A seguito della riforma, l’art. 118 c.p. si limita a statuire che le circostanze aggravanti o attenuati relative ai motivi a delinquere, all’intensità del dolo, al grado della colpa e quelle che sono inerenti alla persona del colpevole devono essere valutate solo riguardo alla persona a cui si riferiscono e come tali non sono suscettibili di comunicazione agli altri concorrenti. Tale formulazione porterebbe ad affermare che tutte le altre circostanze soggettive, le quali, guardando al citato art. 70, comma 2, c.p., andrebbero individuate in quelle concernenti le condizioni e le qualità del colpevole, sarebbero estensibili a tutti coloro abbiano contribuito alla realizzazione dell’illecito concorsuale con conseguente rinvio implicito all’art. 59 c.p. quanto i criteri di imputazione.

Con riferimento alle circostanze aggravanti inerenti alle condizioni o alle qualità personali del colpevole, la loro configurabilità e comunicabilità ad ogni singolo concorrente, diverso da quello a cui il dato circostanziale si riferisce direttamente, sarebbe pertanto subordinata alla necessaria sussistenza in capo a ciascuno di essi di uno dei tre parametri soggettivi precedentemente indicati. In altri termini, affinché un’aggravante di tal guisa sia attribuibile al compartecipe è necessario che egli l’abbia conosciuta, nel senso di averne potuto comprendere il contenuto anche sotto forma di consapevolezza implicita, o che l’abbia ignorata per colpa o ancora che a seguito di un’erronea rappresentazione dovuta a colpa abbia risolto il dubbio sull’esistenza o meno della circostanza in senso negativo.

In realtà, proprio a seguito della riforma, autorevole dottrina ha dubitato della possibilità di operare una interpretazione dell’espressione di cui all’art. 118 c.p., “ circostanze inerenti alla persona del colpevole”, sulla base della disposizione limitatrice prevista dall’art. 70, comma 2, c.p., in quanto norma anacronistica e come tale riferibile solo alla vecchia formulazione del citato articolo in tema di comunicabilità delle circostanze.

Un primo orientamento, in particolare, ha sostenuto che diversamente opinando si giungerebbe a soluzioni assolutamente ingiustificate, dovendo piuttosto interpretare l’art. 118 c.p. secondo una nuova e autonoma chiave di lettura: più esattamente, nella categoria di circostanze inerenti alla persona del colpevole andrebbero ricondotte tutte le ipotesi circostanziali inidonee a riflettersi sul fatto addebitato collettivamente a più persone, in quanto fondate su elementi strettamente connessi alla persona di un singolo concorrente.

Altra parte della dottrina ha inoltre precisato che, stante la suddetta impossibilità di trovare una giustificazione ad una estensione indiscriminata delle menzionate circostanze soggettive e l’assurdità dell’estensione del recesso ma non della desistenza, ha sottolineato la necessità di un intervento di “ortopedia interpretativa”, volto a intendere l’espressione dell’art. 118 c.p. come clausola di chiusura comprensiva di tutte le circostanze strettamente soggettive, diverse da quelle concernenti i motivi, l’intensità del dolo o il grado della colpa, che non siano servite ad agevolare la commissione del reato e che quindi non abbiano subito alcuna oggettivizzazione.

Infine, una terza corrente di pensiero dottrinale ha sottolineato come dall’interpretazione letterale del combinato disposto degli artt. 70 e 118 c.p. deriverebbe una chiara vanificazione della ratio giustificatrice della disciplina prevista dall’art. 112 c.p., giacchè, invece di osservare la differenziazione del trattamento sanzionatorio pensata dal legislatore in ragione del diverso contributo esplicato alla realizzazione dell’illecito concorsuale, deriverebbe un’applicazione indifferenziata delle circostanze aggravanti a tutti  i concorrenti.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di dover condividere le perplessità relative ad una anacronistica interpretazione adducendo a sostegno di una tale opzione ermeneutica in primo luogo il dato letterale offerto dai lavori preparatori alla l. 19/1990, dai quali emergerebbe l’intenzione del legislatore non di ampliare le ipotesi di comunicabilità delle circostanze ai concorrenti nel reato ma quella di delineare esattamente il sistema di imputazione delle circostanze attraverso il superamento della distinzione tra circostanze oggettive e circostanze soggettive.

A tale dato si aggiungerebbe inoltre la necessità per l’interprete di verificare la conformità di ogni disposizione ai parametri costituzionali nelle diverse e possibili interpretazioni che della stessa possano essere elaborate, con preferenza per quelle che appaiano costituzionalmente adeguate. Requisito quest’ultimo che la Corte di Cassazione ha ritenuto difettare qualora si estenda nei confronti di un concorrente una circostanza aggravante strettamente interente alla persona di un suo compartecipe che non abbia agevolato la commissione del reato, in particolare per violazione degli artt. 3, 13 e 27, comma 3, Cost.

Per tale ragione, i giudici di legittimità sono giunti ad affermare che in caso di concorso di persone nel reato ai soggetti concorrenti possono essere estese solo le circostanze soggettive relative alle condizioni e alle qualità personali del colpevole le quali abbiano inciso in qualsiasi modo sulla realizzazione dell’illecito concorsuale. Qualora poi, le circostanze a venire in rilievo siano circostanze aggravanti, esse devono necessariamente ai fini delle comunicabilità aver agevolato l’esecuzione del reato da parte degli altri concorrenti e a condizione che questi ultimi ne siano stati consapevoli.

Tale soluzione ha il pregio di consentire che l’estensione delle circostanze in esame sia comunque collegabile alla sfera soggettiva del concorrenti cui esse non si riferiscono, dal momento che egli può essersi rappresentato e aver voluto l’agire concorsuale in piena consapevolezza del fatto che la circostanza riferibile ad uno solo dei concorrenti abbia agevolato la realizzazione del reato concorsuale a beneficio di tutti gli agenti.

Tiziana Caboni

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento