Compatibilità UE sui contratti agricoli a termine: rinvio pregiudiziale alla CGUE

Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), su alcuni profili interpretativi sui contratti agricoli a termine.

Redazione 10/06/25
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La Corte di Cassazione, nel disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), ha evidenziato alcuni profili interpretativi di rilievo costituzionale ed eurounitario. In particolare, viene posta la questione se la disciplina italiana — che esclude esplicitamente i contratti a termine agricoli dall’ambito di applicazione del D.Lgs. 368/2001 — sia compatibile con la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE. Tale clausola impone agli Stati membri l’introduzione di misure efficaci per prevenire e contrastare l’abuso nella reiterazione dei contratti a tempo determinato. Per approfondimenti sul nuovo diritto del lavoro, abbiamo organizzato il corso di formazione Corso avanzato di diritto del lavoro -Il lavoro che cambia: gestire conflitti, contratti e trasformazioni.

Corte di Cassazione -sez. L- ordinanza interlocutoria n. 12572 del 12-05-2025

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Indice

1. I nodi interpretativi sollevati dalla Cassazione


L’interrogativo che la Corte pone è se tale obbligo possa essere assolto unicamente mediante la contrattazione collettiva, in assenza di una disciplina normativa imperativa, e se le garanzie previste nei contratti collettivi siano idonee a realizzare una tutela effettiva, come richiesto dal diritto europeo. In gioco vi è l’equilibrio tra il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati nel regolare settori peculiari come quello agricolo e il principio generale di protezione del lavoratore contro forme contrattuali precarie e potenzialmente abusive.

2. Il rinvio pregiudiziale: le domande alla Corte di Giustizia


Con l’ordinanza interlocutoria n. 12572 del 2025, la Sezione Lavoro della Cassazione ha formulato due quesiti interpretativi alla CGUE. Il primo riguarda la compatibilità tra la clausola 5 dell’accordo quadro e una normativa nazionale che esclude i rapporti agricoli a termine dalla disciplina generale in materia di lavoro a tempo determinato. Il secondo quesito chiede se possa ritenersi sufficiente, ai fini della prevenzione degli abusi, una disposizione collettiva che consente la trasformazione del contratto in rapporto stabile solo dopo 180 giornate effettive di lavoro nell’arco di 12 mesi, e previa richiesta del lavoratore da esercitarsi entro sei mesi.
Si tratta di interrogativi centrali per comprendere se la normativa italiana si ponga in contrasto con l’impianto europeo o se, viceversa, la specificità del settore agricolo legittimi un regime derogatorio fondato sulla sola contrattazione collettiva.

3. Il caso concreto e l’iter processuale


La vicenda trae origine dal ricorso di due lavoratori agricoli che, nell’arco di diversi anni, avevano sottoscritto rispettivamente 15 e 17 contratti a termine con la medesima azienda agricola, svolgendo mansioni identiche e continuative (potatura, vendemmia, manutenzione del verde). I ricorrenti chiedevano il riconoscimento di un rapporto a tempo indeterminato, sostenendo che l’uso ripetuto dei contratti a termine costituiva un abuso.
Il Tribunale ha respinto la domanda e la Corte d’appello ha confermato la decisione. I giudici hanno ritenuto sufficiente la disciplina prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria, che contempla un meccanismo di stabilizzazione fondato su requisiti minimi di durata e l’iniziativa unilaterale del lavoratore. Tale disciplina, secondo i giudici di merito, risponderebbe già agli obblighi di tutela previsti dal diritto europeo.

Per approfondire, consigliamo l’articolo: Rinvio pregiudiziale alla CGUE sui contratti a termine in agricoltura

4. Il contesto normativo e le ragioni del ricorso


Il D.Lgs. 368/2001 — che ha dato attuazione alla direttiva 1999/70/CE — esclude espressamente i contratti agricoli a termine dal proprio ambito applicativo (art. 10, co. 2). Di conseguenza, i rapporti di lavoro agricolo a tempo determinato restano soggetti unicamente alla disciplina speciale e alla contrattazione collettiva.
I lavoratori hanno impugnato la decisione d’appello dinanzi alla Cassazione, sostenendo che tale esclusione viola gli obblighi derivanti dalla clausola 5 dell’accordo quadro europeo. La previsione contenuta nel contratto collettivo — che consente la stabilizzazione solo dopo determinate soglie temporali e su iniziativa del lavoratore — sarebbe inadeguata e non sufficiente a garantire una tutela effettiva, specialmente in un settore in cui il ricorso al lavoro a termine è strutturalmente diffuso.

5. Conclusioni e prospettive


La questione sottoposta alla CGUE è destinata a produrre effetti rilevanti sull’intero assetto normativo dei rapporti di lavoro agricolo in Italia. La decisione attesa dalla Corte di Lussemburgo potrà incidere sia sui rapporti preesistenti sia sulla possibilità di introdurre modifiche legislative volte a rafforzare le tutele contro l’abuso del contratto a termine.
In un contesto settoriale segnato da alta stagionalità e precarietà, il bilanciamento tra esigenze di flessibilità e garanzie sostanziali per i lavoratori si configura come una delle sfide principali del diritto del lavoro contemporaneo. L’esito del rinvio pregiudiziale offrirà indicazioni cruciali anche per il futuro della contrattazione collettiva come strumento di protezione in settori a forte rischio di elusione delle tutele.

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