Commette illecito penale, ex art. 570 c.p., comma 2, n. 2, il padre che viola l’obbligo di mantenimento non provvedendo a fronteggiare le minimali esigenze di vita del figlio minore in stato di bisogno

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Lo stato di bisogno del figlio minore e la mancanza dei mezzi di sussistenza, indispensabili per vivere, giustificano la condanna alla pena di mesi quattro di reclusione a carico del padre che viola gli obblighi di assistenza familiare, non contribuendo al mantenimento e non assicurando al soggetto passivo la sopravvivenza vitale (vitto e alloggio), unitamente al soddisfacimento di altre complementari esigenze di vita quotidiana (abbigliamento, istruzione, etc.).

Ciò posto, la Corte di Appello di Ancona con sentenza n. 3337/2013 definisce gli irrisori e saltuari pagamenti versati dal padre per il mantenimento del figlio minore del tutto inadeguati rispetto alle esigenze dello stesso, non rispettando quanto fissato dal Tribunale in sede di separazione. Circostanza provata dalla spontanea, puntuale e dettagliata testimonianza della madre, in qualità di persona offesa, della cui attendibilità non vi è ragione di dubitare, essendo le sue dichiarazioni risultate intrinsecamente coerenti, prive di contraddizioni e scevre di rancori, non incorrendo nella sanzione di inutilizzabilità, ai sensi dell’art. 191 c.p.p., non trattandosi di prove assunte in violazione di divieti posti dalla legge, bensì di prove assunte con modalità diverse da quelle prescritte. Assunzione ed utilizzazione eseguite, pertanto, in ossequio ai criteri di valutazione in materia enunciati dalla Suprema Corte, secondo la quale, come è noto, la testimonianza della persona offesa, pur se costituita parte civile, ben può porsi ad unico fondamento della pronuncia di colpevolezza, se dotata dei requisiti, come nel caso di specie, di linearità, coerenza e puntualità.

Violazione degli obblighi di assistenza familiare che costringeva la madre a sopperire alle difficoltà economiche con l’aiuto della famiglia di origine e di amici, stante lo stato di bisogno del figlio minore che, come è noto, va presunto, essendo costui, per l’età, privo di capacità lavorativa e di produrre reddito proprio, rappresentando la minore età “in re ipsa” una condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al mantenimento, assicurando tutti i mezzi di sussistenza (Cass. n. 20636/2007; Cass. n. 715/2004). Nozione, quest’ultima, richiamata dall’art. 570 c.p., comma 2, la quale chiarisce che devono, nella attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale, ritenersi compresi non più e non soltanto i mezzi di sussistenza per la sopravvivenza vitale (quali vitto e alloggio), ma anche gli strumenti che consentono un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (abbigliamento, libri di istruzione, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione). Mezzi di sussistenza, da apprezzarsi, sempre e comunque, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato.

Non è pertanto idonea ad escludere lo stato di bisogno neppure la circostanza che, nella specie, alla somministrazione dei mezzi di sussistenza abbiano provveduto la madre e i parenti e addirittura amici della stessa. Ciò perché, l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro o con l’intervento di altri congiunti, atteso che tale sostituzione non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo, del quale, viceversa, costituisce la prova (V. Cass. N. 27051 del 14.04.2008; Cass. N. 220713/2001; Cass. N. 204875/1996; Cass. N. 168857/1985). Ed invero, il reato non è escluso dal fatto che altri, coobbligati o obbligati in via subordinata o addirittura non obbligati affatto, si sostituiscano all’inerzia del soggetto obbligato alla somministrazione dei mezzi di sussistenza, purchè non risulti provato che le difficoltà economiche si siano tradotte in uno stato di vera e propria incolpevole indigenza economica, incorrendo nella totale e concreta impossibilità di adempiere, sia pure in parte, l’obbligazione (v. Cass. N. 1283/2000; Cass. n. 178252/1988). Condizione socio-economica che vale come scriminante soltanto se pertinente a tutto il periodo di tempo nel quale si siano reiterate le inadempienze (Cass. n. 7806/1998) e se non sia stata volontariamente determinata dall’obbligato (Cass. n. 171772/1985) e non sia scrivibile a colpa dello stesso (Cass. n. 230239/2004), consapevole delle necessità anche specifiche del minore.

Pertanto, il genitore obbligato è tenuto ad adoperarsi per adempiere la propria prestazione, con l’obbligo anche di procurarsi una occupazione per provvedere alle necessità del figlio minore.

Zecca Maria Grazia

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