Come intendere gli “altri casi” a cui fa riferimento l’art. 195, co. 4, c.p.p.

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Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Messina, in riforma di una sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, assolveva un imputato dal reato ascrittogli di evasione perché non punibile ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. per la particolare tenuità del fatto.
In particolare, per quello che rileva in questa sede, i giudici di seconde cure, fermo restando che ritenevano pienamente utilizzabile la testimonianza resa da un milite in merito alla comunicazione telefonica con cui l’imputato lo avvisava di essersi allontanato dall’abitazione, non trovando applicazione il divieto di testimonianza indiretta previsto dall’art. 62 cod. pen., purtuttavia, come appena visto, assolvevano comunque l’imputato, in ragione della ridotta intensità del dolo e della durata minima dell’allontanamento, per tenuità del fatto in applicazione dell’art. 131-bis cod. pen..
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato, articolando un unico motivo con cui si deduceva vizio della motivazione e violazione di legge per avere la Corte di Appello utilizzato ai fini della decisione la deposizione di un teste avente ad oggetto le dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’imputato senza la garanzia dell’assistenza del difensore ed in violazione dell’art. 350 cod. proc. pen., potendo le dichiarazioni spontanee essere utilizzate solo in sede di cognizione cautelare e non in sede dibattimentale, e considerato che al momento dell’intervento dei carabinieri il ricorrente era stato trovato all’interno della sua abitazione.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

Il ricorso era stimato infondato.
Nel dettaglio, gli Ermellini giungevano a siffatta conclusione, ritenendo come la Corte territoriale avesse fatto buon governo di quel principio consolidato secondo cui, in tema di divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 195 cod. proc. pen., nel prevedere “altri casi” per i quali la prova è ammessa secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta, si riferisce alle ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003), essendo stato infatti affermato, con riguardo alle dichiarazioni assunte da persona che ha poi assunto la veste di imputato, che è legittima, perché riconducibile agli “altri casi” di cui all’art. 195, comma quarto, cod. proc. pen., la testimonianza indiretta dell’ufficiale o agente di polizia giudiziaria sulle dichiarazioni di contenuto narrativo ricevute dall’imputato al di fuori del procedimento, ovvero prima del formale inizio delle indagini, con la conseguenza che le stesse sono liberamente valutabili dal giudice di merito, assumendo la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (Sez. 1, n. 15760 del 20/01/2017).
Ad avviso del Supremo Consesso, invece, il riferimento all’applicazione dell’art. 63, comma 1, cod. proc. pen., invocata dal ricorrente, che sancisce l’inutilizzabilità contro chi le ha rese delle dichiarazioni autoindizianti assunte da persona non sottoposta ad indagini – quando ancora non sussistano elementi per ritenere la medesima indagabile – era da ritenersi non pertinente al caso in esame, non trattandosi di dichiarazioni rese davanti alla polizia giudiziaria, ma di una comunicazione telefonica priva di correlazione con una attività di indagine che rileva unicamente alla stregua di un fatto storico suscettibile di testimonianza da parte dell’agente che ha ad essa assistito e partecipato al di fuori di un contesto procedimentale, qual è quello invece regolato dalla disposizione dell’art. 63 cit. che disciplina gli avvisi e le garanzie formali che l’agente o l’ufficiale di polizia giudiziaria deve assicurare nell’espletamento dell’attività istruttoria allorché il dichiarante muti la propria veste processuale da quella di terzo estraneo a quella di soggetto indiziato di reità, così come, per le stesse considerazioni, neppure appariva essere pertinente al caso in esame il richiamo all’art. 350, comma 7, cod. proc. pen. che regola l’utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta ad indagini e che, presupponendo lo svolgimento di atti di indagine, non riguarda i fatti di cui gli operanti siano venuti a conoscenza al di fuori di un contesto procedimentale.

3. Conclusioni

Fermo restando che, come è noto, l’art. 195, co. 4, cod. proc. pen. prevede, da un lato, che gli “ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettere a) e b)” cod. proc. pen. (primo periodo), dall’altro, che negli “altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo” (secondo periodo), la decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito in cosa consistono siffatti “casi”.
Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un consolidato orientamento nomofilattico, con particolar riguardo a quanto postulato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 36747 del 28/05/2003, che la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 195 cod. proc. pen., nel prevedere “altri casi” per i quali la prova è ammessa secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta, si riferisce alle ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimentale di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare in cosa consistono, per l’appunto, questi casi.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

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Emanuela Pezone

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