Come deve essere inteso l’inciso contenuto nell’art. 307 c.p.p., comma 1, che consente l’adozione di misure sostitutive “solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare”

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 (Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 307, c. 1)

Il fatto 

Il Tribunale del Riesame di Bologna aveva rigettato l’appello avverso l’ordinanza del G.I.P. che, alla scadenza del termine cautelare di fase della già disposta misura degli arresti domiciliari, applicava la misura coercitiva dell’obbligo di dimora nei confronti di una persona indagata per i reati di associazione a delinquere (416 cod. pen.) quale promotore e organizzatore, e per reati – scopo di natura fiscale e bancarotta.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione 

Proponeva ricorso per Cassazione l’indagato, con il ministero del difensore, il quale adduceva i seguenti due motivi: 1) violazione degli artt. 178 lett. b), 179 , 299 co. 1, 307 cod. proc. pen. Espone che, in vista della scadenza del termine di fase dell’originario titolo cautelare, il G.I.P. del Tribunale di Bologna aveva chiesto al P.M. procedente di pronunciarsi in ordine alla eventuale applicazione di misure non custodiali, a cui era seguita la richiesta dell’Organo dell’Accusa di applicazione della misura dell’obbligo di dimora; orbene, secondo la difesa, la richiesta del P.M. doveva intendersi formulata ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen. mentre il provvedimento applicativo del G.I.P. era stato emesso ai sensi dell’art. 307 cod. proc. pen. donde la violazione del principio della domanda cautelare e la carenza motivazionale in ordine alle esigenze cautelari posto che erroneamente il Tribunale del Riesame aveva giudicato ininfluente la denunciata difformità tra richiesta del P.M. e provvedimento del G.I.P., senza considerare la diversità degli istituti in rilievo; 2) vizio della motivazione in quanto mancante in relazione al profilo cautelare posto che se, anche a volere ritenere che la misura in corso era stata disposta ai sensi dell’art. 307 cod. proc. pen., il G.I.P. era gravato da specifico onere motivazionale in ordine alla sussistenza delle esigenze da tutelare, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero richiamo a quanto accertato in sede di applicazione della prima ordinanza in quanto la modifica normativa dell’art. 307 cod. proc. pen., di cui alla legge n. 4/2001, richiede tuttavia la verifica, non della mera permanenza, ma della sussistenza delle esigenze cautelari secondo l’interpretazione accolta anche nella giurisprudenza di legittimità (sent. 6245/2018).

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto non fondato, e quindi, era rigettato, poiché il ricorrente riproponeva i medesimi motivi già prospettati dinanzi al Tribunale del Riesame che, a sua volta, aveva fornito adeguata replica a entrambe le doglianze.

Invero, quanto al primo aspetto, gli Ermellini osservavano come il Tribunale distrettuale avesse spiegato che la richiesta di modifica del titolo cautelare era stata ritualmente formulata dal P.M., ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen., così ritenendo rispettato il principio della domanda cautelare del P.M., previsto dall’art. 291 cod. proc. pen., la cui mancanza integra una nullità di ordine generale ex art. 178, comma primo, lett. b), cod. proc. pen., [principio, peraltro, valevole in ogni fase del procedimento e, quindi, anche con riferimento alle misure cautelari applicabili ai sensi dell’art. 307 primo comma cod. proc. pen. in caso di scarcerazione per decorrenza termini (Sez. 6, n. 49144 del 06/11/2003; conf. Sez. 6, n. 29593 del 04/07/2011)].

La valutazione del Tribunale distrettuale appariva dunque, per la Corte, conforme al contenuto della istanza cautelare apposta dal P.M. in calce al provvedimento del G.I.P. dal momento che in esso si faceva riferimento alla “permanenza, seppure attenuata delle esigenze cautelari” mentre il petitum aveva ad oggetto, specificamente, la “modifica” della attuale misura con quella dell’obbligo di dimora”, che veniva indicata come ” l’unica adeguata a neutralizzare il permanente rischio di reiterazione” rilevandosi al contempo come tali espressioni fossero tutte oggettivamente compatibili con la ratio e la natura dell’istituto delineato dall’art. 299 cit. e, conseguentemente, sempre per il Supremo Consesso, il Tribunale cautelare aveva qualificato anche il provvedimento del G.I.P. – a prescindere dai solo formali riferimenti in questo contenuti all’art. 307 cod. proc. pen.- come emesso ” in sostituzione degli arresti domiciliari ” “per non essere accadute novità che consentano di ritenere eliso il pericolo di reiterazione del reato indicato nell’ordinanza genetica”, come adottato ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen..

Orbene, quanto appena esposto comportava, per la Suprema Corte, che non fosse neppure  ravvisabile il vizio argomentativo denunciato con il secondo motivo di ricorso avendo il Tribunale distrettuale fornito una congrua motivazione in ordine al profilo cautelare richiamando il contenuto dell’ordinanza del G.I.P. e le ragioni ivi indicate circa la ritenuta persistenza del pericolo di reiterazione affermando al contempo che, per quanto detto pericolo potesse ritenersi attenuato dalla lunga detenzione domiciliare, era ancora ravvisabile la necessità di un fermo controllo non sussistendo le condizioni perché la corretta esecuzione delle prescrizioni connesse alla detenzione domiciliare e ai frequenti spostamenti effettuati, su autorizzazione dell’A.G., poteva fornire una idonea garanzia della cessazione della pericolosità.

Oltre a ciò, veniva inoltre fatto presente come la Cassazione avesse già avuto modo di affermare che, in tema di applicazione di altre misure cautelari nei confronti dell’indagato scarcerato per decorrenza dei termini, l’inciso contenuto nell’art. 307 c.p.p., comma 1, che consente l’adozione di misure sostitutive “solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare”, va interpretato nel senso di ricomprendere tanto l’ipotesi di permanenza delle originarie esigenze tanto quella di sopravvenienza di nuove esigenze, intervenute alla stessa data della scarcerazione o in epoca successiva (Sez. 6^, 10/04/2002, n. 20897; Conf. Sez. 6, n. 26458 del 12/03/2014; Sez. 3^, 11/07/2013, n. 42359; Sez. 3 n. 16053 del 26/02/2019).

Se, infatti, l’art. 307 c.p.p., comma 1, prima delle modifiche apportate con il D.L. n. 341 del 2000, convertito nelle L. n. 4 del 2001, faceva riferimento alla “permanenza” delle ragioni giustificative della custodia cautelare, tuttavia la diversa formulazione, sostituendo il concetto di “permanenza” con quello più generico di “sussistenza”, deve comunque essere interpretato in senso estensivo, come riferito all’accertamento di una situazione di fatto che imponga, al pari di quella iniziale, una tutela cautelare, sia pure assicurabile, stante la scadenza del termine della custodia, solo mediante misure attenuate, e questo sia nell’ipotesi della persistenza, all’atto della scarcerazione, delle medesime esigenze originarie, sia in quella della sopravvenienza di esigenze diverse, intervenute alla stessa data di tale provvedimento ovvero in epoca anche successiva fermo restando che, in ogni caso, l’ipotesi della persistenza delle ragioni non può essere intesa nel senso rigoroso cui fa riferimento il ricorrente, secondo cui devono sussistere le “medesime e identiche esigenze” che avevano determinato la custodia.

Le osservazioni formulate dai giudici di piazza Cavour, difatti, a loro stesso avviso, rendevano priva di pregio la tesi, sostenuta dalla difesa del ricorrente, secondo cui l’art. 307 c.p.p., comma 1, richiederebbe la completa identità del quadro cautelare pregresso interamente e complessivamente inteso rispetto allo scenario cautelare ravvisabile al momento della scadenza dei termini di fase.

Conclusioni

La decisione in esame desta interesse essendo ivi chiarito quale significato deve darsi alle parole “solo se sussistano le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare” in relazione a quanto previsto dall’art. 307, c. 1, c.p.p. che, come è noto, subordina alla sussistenza di tali “ragioni” la possibilità per il giudice di disporre, nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini, le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi precedenti conformi, si afferma che l’inciso contenuto nell’art. 307 c.p.p., comma 1, che consente l’adozione di misure sostitutive “solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare”, va interpretato nel senso di ricomprendere tanto l’ipotesi di permanenza delle originarie esigenze tanto quella di sopravvenienza di nuove esigenze, intervenute alla stessa data della scarcerazione o in epoca successiva; in altri termini, la sussistenza di tali ragioni deve essere intesa nel senso che essa deve comunque essere interpretata in senso estensiva, come riferita all’accertamento di una situazione di fatto che imponga, al pari di quella iniziale, una tutela cautelare, sia pure assicurabile, stante la scadenza del termine della custodia, solo mediante misure attenuate, e questo sia nell’ipotesi della persistenza, all’atto della scarcerazione, delle medesime esigenze originarie, sia in quella della sopravvenienza di esigenze diverse, intervenute alla stessa data di tale provvedimento ovvero in epoca anche successiva.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se quanto previsto dall’art. 307, c. 1, c.p.p. sia stato correttamente applicato o meno.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa decisione, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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