Climate change litigation, ovvero la nuova frontiera della tutela giurisdizionale: il processo come strumento per combattere i cambiamenti climatici

Redazione 12/02/20
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di Elena D’Alessandro*

* Università di Torino

Sommario

1. Introduzione

2. Il caso Lliuya c. RWE AG.

3. Il principio Pollution claims know no borders e le questioni processuali suscitate da tale regola

1. Introduzione

Nell’ultimo decennio l’opinione pubblica ha acquisito sempre maggiore consapevolezza delle conseguenze nefaste causate dai cambiamenti climatici; conseguenze che impattano sulla vita quotidiana dei cittadini, ad esempio di quelli che vivono nelle città – anche italiane – alle prese con il problema delle polveri sottili.

Per la medesima ragione, nello stesso arco di tempo, la lotta al cambiamento climatico si è fatta sempre più intensa. In molti Stati sono sorti numerosi climate change centers a carattere multidisciplinare[1] e sono stati elaborati nuovi strumenti di contrasto nei confronti dell’innalzamento della temperatura terrestre[2]. Tra questi nuovi strumenti, vi è la tutela giurisdizionale civile (o amministrativa, dove sussistente). Non a caso in molte università – ad esempio alla Columbia Law School, presso cui ha sede il prestigioso Sabin Center for Climate Change Law– sono stati introdotti corsi dedicati alla Climate Change Law and Policy.

Poiché i cambiamenti climatici mettono in pericolo la salute (si pensi al problema delle polveri sottili) ovvero le proprietà (si pensi agli incendi australiani) dei cittadini, nell’ultimo decennio vi è stato un fiorire di azioni giudiziarie[3] proposte da cittadini ovvero da associazioni senza scopo di lucro miranti a proteggere l’ambiente. Si tratta di azioni proposte:

1) In primis nei confronti dello Stato (c.d. suits against governments) affinché ponga in essere politiche finalizzate a combattere i cambiamenti climatici, evitando di mettere a repentaglio la salute e le proprietà dei propri cittadini Emblematica in tal senso è la vicenda che ha visto coinvolto il governo olandese, citato in giudizio dall’associazione non governativa Urgenda per non aver non aver perseguito politiche miranti alla riduzione delle emissioni di gas serra in linea con gli obiettivi internazionali ed avere così violato, rispetto alla posizione dei propri cittadini, gli artt. 2 (diritto alla vita) ed 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (di seguito: CEDU).

Le corti olandesi di primo e di secondo grado[4] hanno accolto la domanda con cui veniva chiesta tutela per la violazione di due diritti fondamentali garantiti dalla Cedu e, per l’effetto, hanno condannato il governo olandese a prendere le misure opportune per ridurre entro la fine del 2020 le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 25% rispetto al 1990. La decisione è stata confermata dalla Corte suprema olandese lo scorso 21 dicembre 2019[5].

A ciò si aggiunga che, negli ordinamenti, come la Germania, in cui è ammesso il giudizio diretto di costituzionalità (Verfassungsbeschwerde) vi è stato il tentativo di utilizzare tale strumento non già per far dichiarare la incostituzionalità di un atto legislativo in vigore ma, piuttosto, per reagire all’inerzia del parlamento tedesco. Alcuni cittadini tedeschi, coadiuvati da due locali associazioni non governative, hanno chiesto alla Corte costituzionale tedesca di ordinare al Parlamento di attivarsi e di predisporre gli atti legislativi necessari per la riduzione delle emissioni[6].

2) In secondo luogo, e più di recente, nei confronti delle imprese considerate autrici delle emissioni causanti il surriscaldamento globale (Corporate duties to the public). Trattasi per lo più di azioni risarcitorie extracontrattuali di matrice civilistica finalizzate a causare un esborso impegnativo per l’impresa autrice delle immissioni, nella speranza di indurla, in tal modo, a mutare le proprie politiche aziendali in riferimento alle emissioni.

In un procedimento salito alla ribalta delle cronache, instaurato innanzi al giudice tedesco, è stata invece invocata la norma che tutela il diritto di proprietà su beni mobili o immobili nei confronti di qualsiasi ingerenza da parte di un molestatore (§ 1004 BGB); norma, la cui operatività, a partire dagli anni’20, è stata estesa anche alle ingerenze causate in modo indiretto ossia quando l’autore dell’ingerenza abbia tenuto una condotta capace di suscitare lo scatenarsi di forze metereologiche[7]. Nella vicenda in esame l’ingerenza è costituita dalle immissioni nocive e avrebbe determinato (rectius: contribuito a determinare) l’innalzamento della temperatura terrestre con ciò ledendo il diritto di proprietà dell’istante.

All’analisi di quest’ultimo caso (Lliuya c. RWE AG), di matrice squisitamente civilistica, è dedicato il presente contributo.

[1] Ad esempio risale al 2008 l’istituzione del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment presso la London School of Economics and Political Science di Londra.

[2] La tematica de qua ha inoltre suscitato l’attenzione dei giuristi. A titolo esemplificativo v. Peel, Osofsky, Climate Change Litigation, Cambridge, 2015, spec. 4 e 221 ss.; Lin, Climate Change and the Courts, in Legal Studies, 2012, 35-57; Zhao, Lyu, Wang, Prospects for Climate Change Litigation in China, in Transnational Environmental Law, 2019, 349-37.

[3] Per maggiori indicazioni v. i climate change litigation databases predisposti dal Sabin Center for Climate Change Law, consultabili al seguente indirizzo: http://climatecasechart.com/1.

[4] Cfr. Tribunale distrettuale dell’Aja, sentenza 25 giugno 2015 e Corte d’appello de L’Aia, sezione civile, sentenza del 9 ottobre 2018 (Case n. 200.178.245/01).

[5] Https://thecorrespondent.com/194/thanks-to-this-landmark-court-ruling-climate-action-is-now-inseparable-from-human-rights/6431566570-33b59a50.

[6] Si fa riferimento alla Verfassungsbeschwerde proposta in data 23 novembre 2018 da alcuni cittadini tedeschi e da due associazioni non governative tedesche operanti per la difesa dell’ambiente (Solarenergie-Förderverein Deutschland e.V. e Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland e.V). Aggiornamenti sull’andamento della controversia possono leggersi all’indirizzo https://klimaklage.com/news/.

[7] Per i doverosi riferimenti, in lingua italiana v. Stolls, La rilevanza normativa della comparazione in un sistema privatistico codificato, in Annuario di diritto tedesco, 2004, 19 ss., spec. 38.

2. Il caso Lliuya c. RWE AG.

Saul Lliuya è un contadino peruviano proprietario di un immobile adibito a civile abitazione nella città di Huaraz (Perù). Egli, con l’aiuto della associazione tedesca Germanwatch, ha deciso di instaurare un giudizio civile ad Essen (Germania), ai sensi del § 1004 BGB (codice civile tedesco), avverso l’azienda REW (avente sede legale proprio ad Essen), colosso tedesco dell’energia. L’azione è finalizzata a far dichiarare che quest’ultima società, che non ha ancora rinunciato all’impiego del carbone, è responsabile – proporzionalmente al livello di emissioni prodotte (share of global greenhouse gas emissions) – per il surriscaldamento globale e conseguentemente per aver messo in pericolo la sua proprietà. Nel corso del giudizio Saul LLiuya ha anche avanzato richiesta di condanna di RWE al pagamento – pro quota, i.e. in proporzione al livello di emissioni prodotte – della somma necessaria per costruire delle fortificazioni atte a proteggere la cittadina e l’immobile di proprietà del sig. LLiuya dai rischi dello scioglimento dei ghiacciai.

Il sig. Lliuya sostiene che, a causa del surriscaldamento terrestre causato da immissioni nocive nell’atmosfera e del conseguente scioglimento dei ghiacciai, il lago glaciale Palcacocha, situato nella cordigliera delle Ande, nelle immediate vicinanze della città di Huaraz, è a rischio straripamento. A sostegno della propria pretesa menziona nella domanda giudiziale uno studio da cui risulta che il volume di metri cubi di acqua presenti nel lago è passato da 579000 negli anni’70 a 17.325.206 nel 2009. Per proteggere le abitazioni della città di Huaraz da tale pericolo è stato necessario costruire delle fortificazioni, dal cui costo egli chiede di essere parzialmente tenuto indenne da REW, considerata autrice di una parte delle immissioni nocive.

In primo grado il Landgericht di Essen[8] ha rigettato la domanda per due ordini di ragioni.

In primo luogo perché la domanda è stata considerata indeterminata, non avendo l’istante quantificato lo share of global greenhouse gas emissions di REW. L’istante – nell’atto introduttivo del giudizio – aveva quantificato il valore della causa in 21000 euro (ritenendo ciò evidentemente sufficiente a rendere determinata la domanda) ma aveva al contempo chiesto al Landgericht di determinare la share of global greenhouse gas emissions di REW, nei limiti di tale valore, ai sensi del § 287 ZPO, ossia secondo il suo prudente apprezzamento.

Il Landgericht ha considerato la domanda indeterminata perché, essendo stata la domanda originaria di mero accertamento e non anche di condanna, il sig. Llluya avrebbe dovuto specificare in quale percentuale, a suo dire, il convenuto avrebbe dovuto rispondere, potendo la quantificazione del valore della causa avere un ruolo soltanto a fronte di una domanda di condanna e non anche di mero accertamento.

In secondo luogo, il giudice ha ritenuto carente il nesso di causalità tra il comportamento del colosso tedesco e il danno patito dal sig. Lliuya a causa degli esborsi resisi necessari per le fortificazioni.

Il sig. Lluya, soccombente, ha appellato la decisione.

Il giudizio d’appello è ancora pendente davanti alla Corte d’appello (Oberladensgericht) di Hamm. Tuttavia il giudice d’appello, con provvedimento del 30 novembre 2017[9], diversamente da quanto ritenuto in primo grado, ha dichiarato che l’azione soddisfa i requisiti di ammissibilità (Zulässigkeit) e concludenza (Schlüssigkeit) disponendo il passaggio alla fase istruttoria del processo di gravame.

[8] Landgericht Essen, sentenza 15 dicembre 2016, 2 O 285/15, leggibile in originale tedesco o inglese ai seguenti link:
1) https://germanwatch.org/sites/germanwatch.org/files/static/19023.pdf.
2) https://germanwatch.org/sites/germanwatch.org/files/announcement/20823.pdf.

[9] Leggibile per esteso al seguente link: https://germanwatch.org/sites/germanwatch.org/files/static/20732.pdf

3. Il principio Pollution claims know no borders e le questioni processuali suscitate da tale regola

Nel caso Lliuya v. REW, per il tramite una norma finalizzata a tutelare il diritto di proprietà, si tenta di orientare il comportamento di un colosso dell’energia, inducendolo a mutare strategia aziendale, riducendo il numero delle emissioni[10] (c.d. polluter pays principle). Vi è però da attendere la decisione dell’Oberlandesgericht di Hamm per vedere se siffatto strumento di lotta ai cambiamenti climatici avrà successo in appello.

Certo è che la vicenda è interessante per il modo in cui la domanda giudiziale è stata prospettata: si afferma che REW è responsabile – in virtù di una condotta tenuta in Germania – per danni cagionati in Perù: lasciando da parte la delicata questione civilistica concernente la sussistenza o meno del nesso di causalità tra condotta ed evento, e concentrandosi sul solo profilo della giurisdizione, viene da dire che “pollution claims know no borders”.

Nel caso di specie, tuttavia, la giurisdizione del giudice tedesco si fonda agevolmente sull’art. 4 del Regolamento n. 1215 del 2012, essendo la società convenuta domiciliata in Germania e, come chiarito dalla Corte di giustizia, irrilevante essendo la nazionalità o il domicilio dell’attore ai fini dell’applicazione del Regolamento[11]. Quando si applica la norma sul foro generale, come noto, è altresì irrilevante la circostanza per cui il danno si sia verificato in altro ordinamento, nel caso di specie un ordinamento di uno Stato terzo.

Semmai a suscitare problemi – per il processualcivilista – è la norma che parte istante considera applicabile al merito della controversia: infatti il sig. Lliuya sostiene che il § 1004 BGB protegge il diritto di proprietà anche quando il bene (nel caso di specie un immobile) si trovi fuori del territorio tedesco, essendo per la sua applicazione sufficiente che la condotta del molestatore sia posta in essere in Germania. In base a questa lettura, tuttavia, la norma del BGB a tutela del diritto di proprietà finirebbe per avere una valenza extraterritoriale, ossia finirebbe per tutelare il diritto di proprietà su beni immobili situati in Perù; valenza extraterritoriale che non sarebbe neppure supportata dalla volontà di entrambe le parti (i.e. da un previo accordo delle parti sulla legge applicabile alla controversia).

Spetterà al giudice, in applicazione del principio iura novit curia, decidere questa interessante questione, valutando l’attendibilità di una siffatta ricostruzione ovvero applicando la legge sostanziale peruviana, ossia la legge dello Stato in cui l’immobile si trova, qualora non condivida l’opinione dell’istante.

[10] Amplius Lehmann, Eichel, Zuständigkeit und anzuwendendes Recht für transnationale Klagen wegen klimawandelbedingter Individualschäden, in RabelsZ, 2019, 77 ss., spec. 80 ss.

[11] Corte di giustizia, sentenza 13 luglio 2000, causa C-412/98, Group Josi.

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