Circolare CSM sulle incompatibilità parentali ex artt. 18-19 O.G.

Redazione 25/12/03
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1) – 3627/IC/2002 – Delibera del Comitato di Presidenza a seguito della quale si trasmette la richiesta del dott. Wladimiro DE NUNZIO ed altri componenti di apertura di una pratica al fine di valutare l’opportunita’ della modifica delle circolari che regolano l’applicazione degli artt. 18 e 19 O.G..

La Prima Commissione Referente, all’unanimità, propone l’adozione della seguente delibera:
RELAZIONE SULLA CIRCOLARE IN MATERIA DI INCOMPATIBILITA’ DI SEDE
Premessa
La materia delle incompatibilità di sede dei magistrati per ragioni parentali è disciplinata da specifiche norme dell’ordinamento giudiziario (art. 18 e 19) ed il Consiglio Superiore della Magistratura ha enunciato i criteri di valutazione delle fattispecie con circolare n. 8160 del 9 settembre 1982, e successive modifiche, relativamente alle parentele tra magistrati e con circolare n. 6750 del 19 luglio 1985 relativamente alle parentele tra magistrato ed esercente la
professione forense.
L’ultimo censimento delle situazioni rilevanti è stato disposto con delibera 18.12.1996.
Il Consiglio ritiene sia maturo il momento per intervenire con una nuova circolare, apparendo necessario aggiornare i criteri alla luce della evoluzione nel frattempo verificatasi sia con riferimento alla composizione della magistratura- con una presenza femminile sempre più elevata- ed alle modifiche strutturali degli uffici giudiziari – abolizione delle Preture, sistemi di organizzazione degli uffici, nuove figure professionali-, sia con riferimento alle nuove caratteristiche di esercizio della professione forense nella quale, oltre che un’analoga maggiore presenza delle donne, sono intervenute rilevanti novità riguardanti, da un lato, l’abolizione di qualsivoglia limite territoriale al suo esercizio e dall’altro la progressiva affermazione di nuove forme di svolgimento dell’attività legale mediante la costituzione di grandi studi professionali aventi uffici in varie sedi e mediante la formazione di società tra professionisti.
La mutata realtà ha, quindi, imposto, anche alla luce della esperienza sotto la vigenza delle precedenti circolari e della giurisprudenza amministrativa, una migliore definizione dei criteri di applicazione delle disposizioni degli artt. 18 e 19 al fine di individuare parametri ragionati riferiti agli elementi caratterizzanti gli uffici giudiziari che consentano di dare certezza ed uniformità di valutazione alle singole situazioni e fornire agli stessi magistrati elementi di valutazione in occasione delle scelte di sede.
La circolare è diretta, non solo ai magistrati che versino in situazioni di potenziale incompatibilità, ma anche ai dirigenti degli uffici ai quali compete una costante ed attenta funzione di controllo sul rispetto della disciplina e, quindi, di tutela della “immagine” di imparziale e corretto funzionamento dell’ufficio.
Si è ritenuto anche di intervenire con riferimento a situazioni analoghe non previste dal legislatore, quali il rapporto di coniugio e quello di stabile convivenza, in relazione alle quali è apparso necessario precisarne la potenziale rilevanza ai fini della generale disciplina delle incompatibilità prevista dall’art. 2 L.G. nonché i criteri di valutazione.
Alla emanazione della circolare si accompagna un censimento generale delle situazioni rilevanti ai fini della incompatibilità.
Questo censimento avverrà non più con sistema cartaceo ma attraverso l’utilizzo di due moduli appositi presenti nel sito intranet del Consiglio Superiore della Magistratura: uno per
situazioni rilevanti ex art. 18 ed assimilabili e l’altro per situazioni rilevanti ex art. 19 ed assimilabili, ai quali si può accedere dalla sezione relativa ai “dati personali” del magistrato (nel caso sia il magistrato stesso ad inserire la dichiarazione) e l’altro accessibile attraverso i “servizi riservati agli uffici giudiziari – > Valeri@” (nel caso sia l’ufficio ad inserire la dichiarazione) mediante appositi pulsanti.
La compilazione di tali moduli andrà effettuata secondo le istruzioni allegate alla presente circolare.
La realizzazione di un sistema informatico e l’esecuzione di un censimento generale consentiranno una verifica finalmente complessiva delle situazioni di incompatibilità (in precedenza il metodo seguito non consentiva un controllo dell’adempimento dell’obbligo di denuncia) e di creare una base di dati stabili che potrà essere costantemente aggiornata per intervenute modificazioni delle situazioni dichiarate o in occasione di periodici altri censimenti.

L’incompatibilità di magistrati con parenti esercenti la professione forense (Art. 18 O.G.)

Questa forma di incompatibilità interessa, secondo il disposto dell’art. 18 O.G., i magistrati giudicanti o requirenti delle Corti di Appello o dei Tribunali i quali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle cui sedi risultino parenti fino al secondo grado o affini in primo grado iscritti negli albi professionali di avvocato o comunque ad uffici giudiziari avanti ai quali tali parenti o affini esercitino abitualmente la professione di avvocato.
La finalità della norma. La norma mira a preservare l’immagine di corretto ed imparziale esercizio della funzione giurisdizionale da parte del singolo magistrato e, piu’ in generale, del
suo ufficio di appartenenza in quanto, indipendentemente dalla effettiva imparzialità del giudizio, il rapporto di parentela con esercente la professione forense rischia di determinare di per sé un appannamento della immagine di corretto esercizio della funzione.
La norma tutela, inoltre, la “par condicio” tra esercenti la professione forense poiché la presenza di un parente magistrato nella sede ove opera il professionista può essere circostanza che induce al sospetto che la scelta del privato nella assistenza giudiziale sia stata determinata da tale circostanza. Ne consegue una possibile alterazione dei criteri di competenza e professionalità che normalmente presiedono a tale opzione ed una lesione della immagine della stessa funzione giudiziaria condizionata dalla compresenza di parenti con ruoli diversi nell’ambito della stessa sede giudiziaria.
Limite soggettivo: la norma interessa i magistrati ordinari operanti presso uffici giudiziari di merito mentre non interessa, per testuale disposizione normativa, magistrati che svolgono funzioni di legittimità presso la Corte di Cassazione: non si profila incompatibilità tra il magistrato che svolge funzioni di legittimità presso la Corte ed il parente avvocato iscritto all’albo dei difensori patrocinanti in Cassazione.
Presupposto è, ovviamente, l’esercizio di attività giurisdizionale da parte del magistrato: non
vengono di conseguenza in rilievo situazioni concernenti magistrati che, per varie ragioni, essendo fuori ruolo, non svolgono la funzione giudiziaria.
Relativamente ai “parenti” occorre che questi siano iscritti all’albo degli esercenti la professione di avvocato ovvero nell’elenco speciale annesso all’albo (art.3 RDL 27 novembre 1933 n. 1578).
Riguardo ai praticanti avvocati va confermato l’orientamento, espresso nella circolare n.6750 del 19 luglio 1985, secondo il quale il tenore letterale della norma non consente di comprendere nella relativa disciplina questa figura. Peraltro, deve considerarsi come anche il
praticantato, che consente una limitata attività di patrocinio, possa determinare nella sede ove operi un magistrato parente un appannamento dell’immagine di regolare e corretto esercizio della funzione: tale situazione verrà quindi considerata nella trattazione relativa ai “casi analoghi”.
Relativamente ai gradi di parentela richiamati dalla norma si ha riferimento alla disposizione
del codice civile (art.76) e dunque sono parenti in linea retta di primo grado il genitore ed il figlio e di secondo grado il nonno ed il nipote; sono parenti in linea collaterale di secondo grado i fratelli/sorelle; sono affini in primo grado i genitori del coniuge.
Nozione di ufficio giudiziario e della relativa sede: la disposizione dell’art. 18 presuppone una nozione di ufficio giudiziario che comprende il complesso della struttura organizzativa prevista dall’ordinamento giudiziario per lo svolgimento di una determinata funzione e ciò in quanto è avanti a tale articolazione che un avvocato può esercitare la professione in modo stabile.
Pertanto, uffici giudiziari sono: la Corte di Appello, il Tribunale Ordinario, l’ufficio di Sorveglianza, il Tribunale di Sorveglianza, il Tribunale per i Minorenni, la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, la Procura Generale presso la Corte di Appello.
La sede dell’ufficio giudiziario è la località topografica ove l’ufficio ha ubicata la sua struttura
centrale.
Criteri di applicazione della norma.
L’art.18 O.G. prevede nella sua formulazione due ipotesi di incompatibilità: l’una c.d. “formale” e l’altra c.d. “sostanziale”. La prima riguarda i parenti esercenti la professione forense iscritti all’albo degli avvocati della sede giudiziaria ove esercita il magistrato e quindi
appare come un’incompatibilità “testuale” (nel senso che è sufficiente l’esistenza di queste condizioni perché la incompatibilità operi), la seconda riguarda l’abituale esercizio della attività di avvocato avanti all’ufficio giudiziario ove esercita il magistrato (il che implica una valutazione fattuale e discrezionale sulla esistenza dei presupposti).
Questa disposizione deve essere intesa come specificazione della generale incompatibilità di
sede per lesione al prestigio prevista dall’art. 2 r.d.lgs 31 maggio 1946 n. 511 e la giurisprudenza amministrativa (segnatamente la sentenza del Consiglio di Stato n. 62 del 1985) ha affermato, con riferimento alla c.d “incompatibilità testuale”, che anche il trasferimento attuato in applicazione di questa disposizione si configura come “atto discrezionale” la cui legittimità è sempre condizionata all’accertamento “in concreto” del pregiudizio o del pericolo per l’interesse alla trasparenza e credibilità della funzione giudiziaria. Il Consiglio, con la circolare del 1985, ha seguito questa linea interpretativa: ha ritenuto che la sola iscrizione del congiunto nell’albo professionale della sede ove si trova l’ufficio giudiziario di merito cui appartiene il magistrato non è sufficiente a provocare il trasferimento di ufficio potendo questo essere disposto soltanto quando risulti in concreto una lesione dei valori tutelati desumibili da una serie di elementi, quali le dimensioni dell’ufficio, della sede, la posizione del magistrato nell’ufficio, il ramo di attività espletata dal
professionista, la natura di essa, il volume di attività etc. etc.
La norma, poi, dava per presupposto che alla iscrizione all’albo della sede conseguisse di fatto uno stabile esercizio della professione avanti a quell’ufficio giudiziario mentre nella realtà non solo alla iscrizione poteva non conseguire l’effettivo esercizio di attività, ma la riforma della professione forense ha eliminato barriere territoriali e, in aggiunta, si sono affermate nuove forme di esercizio della professione.
Di fatto i criteri di valutazione afferenti la ipotesi prevista dalla prima parte si sono sovrapposti a quelli propri della fattispecie di cui alla seconda parte ed appare opportuno, per chiarezza, darne una disciplina unitaria con la convinzione che una reale tutela dei valori posti a fondamento della norma non possa prescindere da una valutazione concreta delle singole situazioni che tenga conto dei numerosi fattori che possono avere rilevanza. Si è considerato come una rigida e generalizzata applicazione della norma avrebbe potuto incidere pesantemente su situazioni personali anche quando di fatto non sussisteva concretezza di una situazione di pericolo.
L’esigenza di una chiara definizione delle finalità della norma e dei criteri di applicazione deriva anche dalla necessità di evitare che, nella individuazione degli elementi utili ai fini del controllo di concretezza della situazione denunciata, si dia rilievo più alla verifica di mancanza di inconvenienti per l’attività dell’ufficio che alla considerazione della lesione della immagine dell’imparziale esercizio della funzione. Sotto questo profilo va posto in risalto come la norma non tenda ad impedire il verificarsi di situazioni di incompatibilità nel processo, tutelate da specifiche norme procedimentali, ma, bensì, a precludere che il contestuale esercizio di funzione giurisdizionale e di attività legale nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario da parte di parenti determini di per sé, al di là di comportamenti specifici, dubbi sull’imparziale esercizio della giurisdizione da parte del magistrato e sospetti di un vantaggio per il professionista derivante dall’avere un prossimo congiunto che esercita funzioni giurisdizionali presso lo stesso ufficio.
Da tale considerazione discende la necessità di individuare i “criteri guida” di applicazione della norma che tengano conto di alcuni dati essenziali evidenziati anche dalla sentenza del Consiglio di Stato già sopra citata.
> Primo elemento da considerare è quello relativo alla rilevanza dell’esercizio della professione di avvocato avanti all’ufficio al quale appartiene il magistrato. Sotto questo profilo l’iscrizione all’albo professionale del circondario ove opera il magistrato costituisce elemento indicativo della sussistenza di questo presupposto giacchè, di regola, avvenendo l’iscrizione all’albo relativo al luogo di residenza o domicilio è conseguente ritenere che in quella sede avvenga l’esercizio della attività professionale. Tale rilievo, peraltro, non può essere inteso in senso esaustivo potendo sussistere situazioni difformi.
In realtà, infatti, il dato generale che rileva ai fini della valutazione dei presupposti di configurabilità della incompatibilità è quello dell’abituale esercizio della professione avanti l’ufficio giudiziario.
Per abituale esercizio della professione deve intendersi quella attività che viene svolta in modo costante e quindi non occasionale. Per essere ritenuta tale, l’attività deve avere una sua consistenza sia sotto il profilo qualitativo sia sotto quello quantitativo: a questo fine sarebbe certamente utile disporre di elementi che consentano di rapportare la complessiva attività dell’avvocato a quella da lui svolta nell’ufficio e quest’ultima rapportata al complesso del lavoro espletato dall’ufficio stesso. Ciò non significa che per essere ritenuta abituale l’attività avanti all’ufficio debba avere carattere di prevalenza rispetto alle attività del professionista presso altri uffici giudiziari. In altri termini, la situazione in oggetto si realizza non solo quando il prossimo congiunto avvocato abbia avanti all’ufficio al quale appartiene il magistrato il proprio “centro di interessi”, ma anche quando ivi svolga con una certa continuità una minore “porzione” della propria professione.
> Secondo elemento da considerare è quello relativo alla dimensione dell’ufficio giudiziario avanti al quale svolge le sue funzioni il magistrato.
Al riguardo si osserva che il rischio di lesione dei valori di imparziale esercizio della funzione e di “par condicio” tra esercenti la professione forense è, in linea generale, inversamente proporzionale alla dimensione dell’ufficio e della relativa sede. Appare, infatti, evidente che in sedi di modeste dimensioni la situazione in esame viene percepita con maggiore immediatezza ed intensità mentre in sedi più grandi il grado di percezione è inferiore, se non nullo. Inoltre, nei centri di ridotte dimensioni gli studi professionali esercitano, generalmente, attività in tutti i settori (civile, penale, amministrativo, lavoro etc. etc.) mentre nelle grandi città si sono affermate e diffuse forme di esercizio delle attività professionali improntate alla specializzazione.
Un parametro di riferimento che appare avere carattere oggettivo ed adeguato – anche per quanto si dirà al punto successivo – è quello della struttura organizzativa tabellare dell’ufficio che ne riflette le relative dimensioni e quelle della stessa sede.
> Terzo elemento da considerare è quello relativo alla materia trattata dal magistrato e dal parente avvocato. Tanto maggiore è il pericolo di lesione dei valori tutelati dalla norma quanto più si verifichi una identità di materia trattata da entrambi avanti allo stesso ufficio: rilevano in questo senso la distinzione tra settore civile, lavoro, previdenza e penale ovvero, particolarmente nell’ambito del primo, attività in settori specialistici. Anche a questo fine appare adeguato l’utilizzo, nel delineare i criteri, del parametro della organizzazione dell’ufficio quale è rappresentata dalle tabelle approvate.
> Ulteriori elementi di valutazione discendono da alcune specifiche situazioni costituite dalla natura specialistica delle funzioni dell’ufficio giudiziario ovvero dalla posizione rivestita dal magistrato all’interno dell’ufficio. Sotto il primo profilo, quando cioè il complesso dell’ufficio giudiziario tratti funzionalmente una materia specialistica, viene in rilievo quanto considerato al punto che precede. Sotto il secondo profilo si osserva che quanto maggiore è la rilevanza della posizione del magistrato nella struttura direttiva dell’ufficio tanto maggiore è il rischio di incidenza della stessa sulla lesione dei valori tutelati dalla norma con la conseguenza che vanno adottati criteri più restrittivi.
In relazione alle diverse tipologie e dimensioni di uffici l’applicazione degli elementi sopra
indicati porta alla definizione dei criteri che seguono.

Tribunali Ordinari

Si possono prospettare tre situazioni.
> Una prima fascia riguarda quei Tribunali nei quali l’assetto organizzativo prevede la esistenza di una sezione unica promiscua. Infatti, in questo caso, per il magistrato vi è la oggettiva impossibilità di svolgere una attività in un settore tabellarmente definito, con ciò originandosi una condizione di incompatibilità con la trattazione generalmente promiscua delle varie materie da parte del professionista.
Tale situazione non ammette la compresenza del magistrato con il prossimo congiunto che eserciti la professione forense. Tuttavia dovranno essere valutate, al fine di escludere la incompatibilità, quelle organizzazioni tabellari del lavoro della sezione promiscua che prevedano per i magistrati l’attribuzione di competenze esclusivamente limitate o al settore penale o al settore civile. A tal fine dovranno altresì essere valutati tutti gli altri criteri di cui alla presente circolare ivi compreso quello relativo alla materia trattata dal professionista.
> Una seconda fascia riguarda le sedi giudiziarie nelle quali l’assetto organizzativo consente una distinzione tra attività nel settore civile, nel settore lavoro e nel settore penale.
In questi casi, che si riscontrano in sedi di medie dimensioni, la incompatibilità può quindi essere esclusa se il professionista tratta materia di settore diverso rispetto a quello nel quale opera, per organizzazione tabellare, il magistrato, purché l’attività stessa venga svolta da entrambi in via esclusiva nel settore di rispettiva pertinenza. Analogo criterio può essere adottato anche nel caso in cui, nell’ambito del settore civile, il magistrato sia destinato in via esclusiva alla trattazione delle controversie di lavoro ed il parente avvocato operi nel settore civile con esclusione della materia lavoristica (ovviamente il medesime criterio dovrà essere seguito anche nella ipotesi inversa).
> Una terza fascia riguarda quelle sedi giudiziarie (generalmente di grandi dimensioni) nelle
quali il programma organizzativo prevede non solo una distinzione di attività tra il settore civile, lavoro e quello penale ma, nell’ambito di tali settori (e segnatamente nel settore civile), delle sezioni che trattano esclusivamente materia specialistica (famiglia, esecuzione, fallimentare, societario, proprietà industriale ed intellettuale etc. etc). Si può quindi ritenere che non sussista l’incompatibilità ove il magistrato operi in sezione specialistica ed il parente non tratti detta materia ovvero nel caso opposto in cui il parente tratti la materia specialistica (in relazione alla quale esista presso la sede giudiziaria una sezione prevista tabellarmente) ed il magistrato operi in una sezione che tratta materie diverse.
> Un aspetto particolare proprio della struttura organizzativa di alcuni Tribunali è quello relativo alla collocazione del magistrato in sezione distaccata. L’orientamento del Consiglio, nella vigenza delle Preture mandamentali, è stato quello di ritenere compatibile l’esercizio di funzioni di Pretore con l’attività forense svolta da prossimo congiunto iscritto all’albo presso il Tribunale nel cui circondario rientrava il mandamento (vedasi punto 4.2 della circolare 6750). A seguito della abolizione delle Preture le relative strutture sono divenute, generalmente, sezioni distaccate del Tribunale e quindi l’ufficio di appartenenza del magistrato destinato a sezione distaccata è il Tribunale. Posto che nel caso di specie si è in presenza di una articolazione del Tribunale ubicata in località diversa dalla sede si rileva che il rischio di lesione dei valori tutelati dalla norma appare di molto attenuato ove il magistrato operi in via esclusiva in sezione distaccata (senza svolgere una parziale attività presso la sede
centrale) ed il prossimo congiunto non svolga alcuna attività presso la sezione distaccata: in questi casi la incompatibilità può essere esclusa. Analogamente può valutarsi il caso inverso in cui sia il parente ad esercitare attività in via esclusiva presso la sezione distaccata ed il magistrato operi esclusivamente presso la sede centrale. Nell’ipotesi in cui venga svolta da parte del magistrato assegnato a sezione distaccata attività anche presso la sede centrale verranno in rilievo, ai fini della valutazione, i criteri generali ed in particolare la diversa natura della materia trattata dal magistrato e dal legale nonché le dimensioni della sede e della sezione distaccata.
Corti di Appello. Per i magistrati che svolgono funzioni giurisdizionali in Corte di Appello va precisato, nel rispetto del tenore letterale della norma, che la nozione di “ufficio giudiziario” è riferita alla stessa Corte: pertanto occorre aver riferimento alla attività defensionale svolta dal parente avvocato avanti alla Corte stessa. Peraltro, le funzioni di giudice di secondo grado proprie della Corte comporta, ai fini della definizione di “abituale esercizio della professione” avanti alla stessa, di considerare come utile parametro l’ufficio di
merito di primo grado avanti al quale il legale svolge la sua abituale attività professionale.
Viene dunque in rilievo, in questa prospettiva, l’esercizio presso ufficio di merito di primo grado compreso nel distretto come uno degli elementi di valutazione ai fini della abitualità di esercizio avanti alla Corte. Questo dato dovrà poi essere integrato da elementi di giudizio sulla intensità dell’esercizio della attività professionale avanti a questo ufficio.
Posto quanto sopra in ordine ai parametri di valutazione, si osserva che la struttura organizzativa della maggior parte delle Corti di Appello prevede la distinzione in una o più sezioni che trattano distintamente la materia civile, lavoro e penale: non si ravvisano quindi situazioni di incompatibilità ove il magistrato eserciti esclusivamente in un settore ed il congiunto eserciti esclusivamente in settore diverso ovvero, nell’ambito dello stesso settore, venga trattata esclusivamente materia specialistica.
Nel caso in cui vi sia identità di materie verrà valutato il dato relativo alle dimensioni del singolo ufficio ed alla intensità dell’attività del professionista.
In relazione ad alcune Corti di piccole dimensioni, il cui programma organizzativo non preveda la distinzione in due sezioni ma bensì una sezione unica promiscua, avrà particolare
rilievo il dato relativo alla intensità della attività avanti all’ufficio da parte del parente legale e, pertanto, prescindendo dalla materia trattata, l’incompatibilità potrà essere esclusa in caso di attività insignificante avanti all’ufficio.
Va infine precisato che non si può dare rilievo ad eventuali impegni del professionista volti a
limitare la propria attività avanti al solo Tribunale con conseguente rinuncia a coltivare gli appelli. Deve rilevarsi che l’assistenza al cliente comprende, secondo l’ordinario contenuto del mandato defensionale, anche l’eventuale giudizio di secondo grado e non sembra realistico (anche nell’interesse del cliente) che il difensore rinunci, a priori, alla fase della impugnazione. Tali dichiarazioni potrebbero, poi, anche sottendere il ricorso a sistemi che tendano a non far comparire formalmente il reale difensore.
Per completezza, si osserva che sono previste dall’ordinamento alcune sezioni distaccate di Corte di Appello: in questo caso varranno i criteri esposti per le sezioni distaccate di Tribunale.
Tribunale per i Minorenni. Questo ufficio giudiziario ha ambito territoriale di competenza corrispondente a quello della Corte di Appello: valgono, quindi, le considerazioni sopra svolte in relazione alla nozione di ufficio al quale fare riferimento ed al rilievo, ai fini valutativi, delle situazioni riguardanti prossimi congiunti i quali svolgano “abitualmente” la propria attività professionale presso l’ufficio giudiziario di merito avente sede nell’ambito del
distretto.
Nel caso di specie acquista rilievo determinante, il concetto della specialità della materia funzionalmente trattata nel senso che per escludere o ritenere sussistente la incompatibilità va
fatto riferimento all’“abituale” esercizio della professione avanti al Tribunale per i Minorenni
al quale appartiene il prossimo congiunto magistrato.
Tribunale di Sorveglianza. Questo ufficio giudiziario ha competenza territoriale corrispondente a quella della Corte di Appello ed è strutturato con la sede del Tribunale coincidente con quella della Corte e Uffici di Sorveglianza che hanno competenza sul circondario del Tribunale capoluogo di Provincia.
Trattandosi di situazioni con rilevanti aspetti di analogia alla situazione già esaminata per la Corte di Appello, ai casi di potenziale incompatibilità si applicheranno i criteri in precedenza indicati riguardo a quell’ufficio e cioè andrà valutata la “abitualità” dell’esercizio della attività legale avanti al Tribunale di Sorveglianza o all’Ufficio di Sorveglianza.
Poiché le funzioni di questo ufficio riguardano esclusivamente il settore penale la incompatibilità non va ritenuta ove risulti che il parente svolge attività professionale esclusivamente nel settore civile. Nel caso di esercizio di attività penale in ambito distrettuale da parte del legale avrà particolare rilievo la quantità delle procedure curate avanti all’ufficio.
Uffici di Procura. Per i magistrati che svolgono funzioni di PM presso il Tribunale Ordinario il problema si può porre con riferimento al parente o affine che esercita “abitualmente” la professione legale avanti all’ufficio di Procura o al corrispondente ufficio giudicante.
L’attività del PM si esplica, di regola, nel settore penale, ma comprende anche l’esercizio di funzioni in determinate procedure civili.
Negli uffici di Procura istituiti presso Tribunali strutturati con sezione unica promiscua possono ritenersi sussistenti i presupposti dell’incompatibilità se alla ristretta dimensione della sede (e quindi con una più immediata percezione esterna della situazione) si accompagna da parte del professionista l’esercizio di attività nel solo settore penale o comunque in tutte le materie.
Per le sedi nelle quali la struttura organizzativa del Tribunale prevede la distinzione in diversi settori la incompatibilità non va ritenuta sussistente se il legale opera esclusivamente nel settore civile e se non si verifichino rilevanti interferenze con eventuali funzioni del PM nelle procedure civilistiche.
Diverso criterio si deve adottare nel caso in cui il professionista operi nel settore penale. In questo caso la identità della materia trattata determina di per sé l’incompatibilità e neppure la collocazione del PM in un settore specialistico del suo ufficio esclude possibili interferenze essendo lo stesso chiamato a svolgere attività che interessano altre materie (turni, partecipazione ad udienze GIP o dibattimentali e sostituzioni). Di conseguenza solo l’esercizio da parte del parente avvocato di attività rigorosamente delimitata ad un settore specialistico che non presenti interferenze con l’attività del PM, anch’essa rigorosamente specialistica, può essere considerata al fine di escludere la incompatibilità.
In ogni caso non può attribuirsi rilievo a dichiarazione del legale con la quale si impegna a non trattare la materia del settore in cui opera il parente PM.
In relazione all’ufficio di Procura presso il Tribunale per i Minorenni si richiamano i criteri inerenti la specialità della materia trattata da quest’ultimo ufficio.
In relazione ai magistrati che prestano servizio alla Procura Generale presso la Corte di Appello i criteri di valutazione dell’incompatibilità sono mutuabili da quelli indicati per la Corte e quindi con riferimento alla intensità defensionale davanti a quell’ufficio ed alla relativa organizzazione tabellare.
Dirigenti degli Uffici. La posizione rivestita dai capi degli uffici attribuisce ad essi un ruolo di preminenza che incide già di per sé sul grado di considerazione di cui godono all’esterno, indipendentemente dal concreto settore nel quale svolgono la propria attività giudiziaria: la loro figura ed il correlativo riflesso esterno contribuiscono non poco all’immagine di imparziale esercizio della giurisdizione da parte dell’ufficio diretto.
Di regola, quindi, i magistrati preposti ad uffici giudiziari di merito non debbono avere parenti che esercitano la professione forense presso l’ufficio stesso. Solo per le sedi di grandi dimensioni possono essere considerate situazioni particolari, da apprezzare caso per caso (es.
parente che svolga attività del tutto marginale).
In relazione ai magistrati preposti ad uffici requirenti, attesa la materia penalistica trattata, la
incompatibilità può essere esclusa nel caso in cui, avuto anche riguardo alle dimensioni dell’ufficio, il parente svolga esclusiva attività nel settore civile o del lavoro.
Per il Presidente della Corte di Appello ed il Procuratore Generale, vale inoltre quanto previsto dalla presente circolare con riferimento ai magistrati addetti alla Corte di Appello ed alla relativa Procura Generale circa la necessità di valutare se vi sia da parte del parente o affine esercizio di attività professionale presso un ufficio di primo grado compreso nel distretto.
Magistrati inseriti in tabella infradistrettuale. La sede di abituale esercizio della funzione per questo magistrato resta quella dell’ufficio di appartenenza e quindi si applicano gli ordinari criteri. La sua destinazione a svolgere funzioni di supplenza presso altro ufficio “collegato” potrebbe comportare il temporaneo esercizio di funzioni presso l’ufficio avanti al quale un prossimo congiunto esercita con continuità la sua attività professionale. Tale situazione, per la sua temporaneità, non comporta, tendenzialmente, situazioni di incompatibilità: dovrà, comunque, essere cura dei capi di Corte o dei Procuratori Generali verificare, preventivamente all’inserimento nella tabella o, in ogni caso, al momento della destinazione, la assenza di situazioni che renderebbero inopportuna la destinazione stessa.
Nei casi di “coassegnazione” il magistrato conserva la sua sede presso l’ufficio di appartenenza ma viene stabilmente destinato a svolgere funzioni giurisdizionali presso altro ufficio. Con riferimento alla sede di appartenenza si applicano, come si è visto, le norme generali mentre con riferimento alla sede in coassegnazione può configurarsi una forma di incompatibilità rilevante ai sensi dell’art. 18 O.G. e dovrà essere cura dei Capi degli Uffici competenti evitare preventivamente (anche a seguito di segnalazione del magistrato interessato) che possano verificarsi situazioni che rendano inopportuna la destinazione del magistrato, destinazione comunque suscettibile di revoca ove la presenza del parente esercente la professione forense venga acquisita successivamente alla designazione.
Magistrati distrettuali. Il loro ufficio di appartenenza è la Corte di Appello o la Procura Generale a seconda che svolgano funzioni giudicanti o requirenti (art. 4 L. 48/2001) e possono essere destinati in supplenza presso uffici giudiziari del distretto. In mancanza di situazioni che giustifichino una supplenza possono essere applicati sempre in ambito distrettuale e quindi, ove ciò non sia necessario, destinati a svolgere incarichi di collaborazione presso i Consigli Giudiziari.
La natura temporanea delle funzioni svolte presso diversi uffici del distretto, ivi compresa la sede di appartenenza, porta a ritenere di regola (e salvo situazioni particolari) non configurabile una condizione di incompatibilità con parenti esercenti la professione forense presso un qualsiasi ufficio del distretto. Dovrà essere cura del capo dell’ufficio evitare (attraverso un previo accertamento) che la destinazione in supplenza o applicazione avvenga presso un ufficio nel quale possano sussistere situazioni che rendano inopportuna la destinazione stessa.

Modi e forme di esercizio della professione forense

Si è visto che la disciplina sulle incompatibilità si applica anche per gli avvocati iscritti nell’elenco speciale annesso all’albo (art. 3 RDL 27 novembre 1933 n. 1578): in virtù di tale iscrizione infatti gli stessi possono esercitare la professione forense limitatamente agli affari ed alle cause dell’ente da cui dipendono. Anche per questa categoria possono quindi profilarsi situazioni concrete di incompatibilità nel caso di esercizio della professione avanti all’ ufficio ove presta servizio il parente magistrato. Dei peculiari connotati del concreto esercizio della professione si dovrà in ogni caso tener conto in applicazione dei criteri che si sono enunciati.
Nella valutazione inerente l’attività professionale del parente del magistrato esercente la professione forense può acquistare rilievo la forma di esercizio della attività stessa.
Accanto alla tradizionale forma dello studio individuale si sono venute affermando forme di esercizio della professione che presentano aspetti di interesse non solo al fine di individuare la posizione del prossimo congiunto all’interno dello studio con riferimento alla materia trattata, ma anche per valutare gli effetti che sulla incompatibilità può riverberare l’esercizio del mandato defensionale avanti all’ufficio del magistrato da parte di altri soggetti appartenenti al medesimo studio.
Non pare avere rilievo, ai fini in esame, l’esercizio della attività professionale ricorrendo alla “società di mezzi” con la quale si è stipulato contratto per la fruizione dei servizi offerti dalla società al professionista. In questo caso l’attività del professionista avanti all’ufficio giudiziario viene svolta in modo individuale, né pare possano verificarsi interferenze negative con altri legali fruenti della stessa società.
Con maggiore attenzione dovranno invece essere valutate quelle forme di collaborazione di fatto tra professionisti caratterizzate da un accordo in base al quale due o più legali fruiscono delle stesse strutture organizzative al fine di ridurre i costi ed incrementare i guadagni. In questi casi, invero, la “comunanza” della attività professionale degli avvocati acquista un rilievo soprattutto quando si realizzi anche una forma collaborativa nella reciproca attività professionale. In questi casi gli interessati dovranno fornire elementi utili che consentano di valutare l’incidenza di tale situazione sul complessivo rapporto tra l’avvocato ed il parente magistrato.
L’attività professionale può essere svolta anche presso uno studio dei cui profitti non si è partecipi, ricevendosi dal titolare compensi variamente determinati. Tale circostanza non scrimina in ordine alla applicazione dei criteri generali di cui si è detto in precedenza.
Attentamente valutata dovrà essere, anche, la situazione riguardante la incompatibilità con riferimento alla attività del titolare dello studio, nel senso che non appare sufficiente un mero impegno del parente avvocato a non esercitare avanti al magistrato.
Diverso è il caso di esercizio della professione nell’ambito di società tra professionisti ( D.lgs
96/2001). Gli avvocati soci esercitano in comune la professione ed il mandato viene conferito alla società secondo quanto previsto dall’art. 24 del citato decreto legislativo il quale prevede
che l’incarico stesso possa essere adempiuto da ciascun socio. La società è iscritta in una sezione speciale dell’albo del Consiglio dell’Ordine nella circoscrizione in cui è posta la sede
legale – mentre il socio avvocato può essere iscritto anche ad un diverso Consiglio dell’Ordine – e può avere sedi secondarie in altri luoghi.
Se la società opera in tutti i settori dell’attività giudiziaria può profilarsi incompatibilità non solo per il professionista socio, che non potrà esercitare stabilmente avanti ad un ufficio nel quale opera il magistrato suo parente, ma anche nei confronti degli altri soci e ciò indipendentemente dalla materia personalmente trattata da quest’ultimo all’interno della società. Nel caso, poi, che la società si occupi esclusivamente di materia specialistica in settore diverso da quello ove opera il magistrato, la valutazione della situazione di incompatibilità avverrà tenendo conto dei criteri generali già enunciati con riferimento alla organizzazione tabellare dell’ufficio.
Nell’ipotesi in cui, pur in presenza di attività della società avanti all’ufficio giudiziario ove operi un magistrato parente del socio, risulti che quest’ultimo presta la sua attività professionale in luogo diverso, presso sede secondaria della società, la incompatibilità può essere, in generale, esclusa.
Analoghi criteri si applicheranno con riferimento alla partecipazione del congiunto del magistrato ad associazione tra professionisti.
Occorre poi precisare che si ritiene possa incidere sulle situazioni di incompatibilità sopra delineate la circostanza che, all’interno di un ufficio legale organizzato con le forme sopra esaminate, il prossimo congiunto non svolga attività materiale di rappresentanza in giudizio, ma unicamente attività di studio e di redazione atti.
Situazioni analoghe a quelle previste dall’art. 18 O.G.
Il rapporto di coniugio.
I vincoli famigliari considerati nell’art. 18 O.G. non contemplano il rapporto di coniugio tra il magistrato e l’esercente la professione legale. Come è ben noto la ragione della omessa previsione è da individuarsi nel fatto che all’epoca della emanazione della disciplina dell’ordinamento giudiziario le donne non erano ammesse al concorso in magistratura ed era molto limitato l’esercizio da parte loro della professione forense. Il superamento di quei limiti e la positiva evoluzione del ruolo della donna nella società ed in particolare, per quanto interessa, nel campo della magistratura ed in quello dell’esercizio della professione legale, ha reso effettivo il problema della sussistenza di una violazione del prestigio della funzione di magistrato e di violazione della regola della “par condicio” tra persone esercenti la professione forense anche in relazione al coniugio.
Esclusa la possibilità di interpretazione analogica, attesa la natura eccezionale del disposto dell’art. 18 O.G. che impone limitazioni alla facoltà di elezione della sede da parte del magistrato e costituisce deroga al principio costituzionale della inamovibilità, si ritiene che simili situazioni debbano trovare collocazione nel disposto dell’art. 2 L.G. il quale, nel disciplinare il trasferimento ad altra sede dei magistrati nei casi di cui agli artt. art. 16, 18, 19 O.G. (che sono situazioni di incompatibilità ambientale “specifiche”), prevede, in via generale, la stessa procedura anche “quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’Ordine Giudiziario”.
Non sembra possa contestarsi il fatto che l’esercizio della professione forense in modo abituale avanti all’ufficio nel quale il coniuge svolge le funzioni di magistrato determini violazione di quegli stessi valori che, si è visto, essere alla base del disposto dell’art. 18 O.G. e la cui compromissione causa lesione del prestigio dell’Ordine Giudiziario. D’altro canto, l’art. 2 L.G. adempie proprio, nel complesso delle molteplici e difformi situazioni che la generica formulazione riconduce al suo ambito applicativo, alla funzione di tutela della istituzione giudiziaria dalle conseguenze negative derivanti da situazioni, anche incolpevoli, concernenti i magistrati.
Posta, dunque, la astratta riconducibilità della situazione di coniugio in esame alla ipotesi di cui all’art. 2 L.G. occorre, anche in questo caso, precisare che la incompatibilità deve esistere in concreto con riferimento alla potenzialità lesiva del prestigio della funzione giudiziaria derivante dal contemporaneo esercizio presso lo stesso ufficio di funzioni giudiziarie e legali da parte di coniugi. Al riguardo, idonei criteri di valutazione appaiono quelli già sopra delineati a proposito delle incompatibilità ex art. 18 O.G.
Appare, poi, opportuno considerare il problema della rilevanza, ai fini della incompatibilità, delle vicende che possono verificarsi nel rapporto coniugale.
Mentre possono ritenersi incidenti sulla esclusione dei presupposti della incompatibilità la separazione legale ed, a maggior ragione, il divorzio in quanto sono istituti legali che sanciscono il venir meno della comunione, non altrettanto sembra possa ritenersi in ordine alla separazione di fatto e ciò in quanto (cfr. parere ufficio studi 90/90) si è osservato che deve ritenersi “prevalente la opportunità di salvaguardare il dato formale rispetto ai terzi che potrebbero non avere una chiara conoscenza delle vicende familiari”. Devono, infine, farsi salvi i casi in cui risulti che anche l’apparenza sia venuta meno e ciò in quanto tale circostanza incide, sostanzialmente, sulla reale sussistenza della “lesività” del vincolo matrimoniale ai fini in esame.
La stabile convivenza
Anche la situazione personale del magistrato e dell’esercente la professione forense che scelgono di convivere assume necessariamente rilevanza ai fini della incompatibilità ambientale ex art. 2 L.G. per le stesse ragioni esposte al punto che precede. Invero, pur in presenza di differenze tra il coniugio e la convivenza sotto il profilo della rilevanza giuridica e degli effetti conseguenti, tuttavia la convivenza determina, all’esterno, una immagine sostanzialmente sovrapponibile a quella del rapporto di coniugio con evidenti riflessi in termini di incompatibilità. Ne consegue che anche a tale situazione si dovranno applicare i criteri sopra enunciati.
La situazione di fatto in esame presenta, peraltro, difficoltà “definitorie” essendosi osservato (cfr. parere dell’ufficio studi n. 96/96) che assumono rilievo “l’elemento soggettivo concretantesi nel reciproco trattamento analogo a quello coniugale, l’elemento oggettivo, estrinsecantesi oltre che nella notorietà anche nella stabilità del rapporto e l’identificazione del criterio minimo di stabilità indispensabile per riconoscerle rilievo”.
Al riguardo si ritiene che incomba al magistrato l’onere di dichiarare la condizione di convivenza allorché la stessa, sia per come viene affettivamente vissuta sia per la situazione di fatto conseguente, abbia assunto i caratteri della stabilità.
Rapporti di parentela diversi da quelli previsti dall’art. 18. O.G.
I rapporti di parentela tra magistrato ed esercente la professione forense di grado diverso da quello definito dall’art.18 O.G. non rilevano, di per sé, ai fini della incompatibilità e, quindi, non debbono essere oggetto di dichiarazione.
Tali situazioni possono assumere rilevo ai sensi dell’art. 2 L.G. ove risultino situazioni specifiche che dimostrino, per il comportamento del magistrato o dell’avvocato ovvero per la dimensione della sede e per gli intralci al buon funzionamento del servizio, una lesione della immagine della funzione giudiziaria svolta.
Analogamente deve ritenersi con riguardo a quelle situazioni, quali il rapporto tra affini, che pur non determinando una situazione giuridicamente rilevante, purtuttavia, sono percepite all’esterno come relazioni parentali.
Rapporti di parentela, coniugio, stabile convivenza di magistrati con praticanti avvocati. Secondo la disciplina dettata dall’art. 8 RDL 27 novembre 1933 n. 1578 (come modificato dalla legge 479/99) i praticanti avvocati, dopo un anno dall’iscrizione nel registro speciale tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso il Tribunale nel cui distretto hanno la residenza, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare attività professionale anche dinanzi al Tribunale in composizione monocratica nei limiti di cui all’art. 7 della legge citata.
Come si è già rilevato anche per tale categoria è, in astratto, ipotizzabile una situazione rilevante ai fini della generale incompatibilità di sede ex art. 2 L.G. Infatti, va considerato che, per un verso, i praticanti avvocati sono abilitati al patrocinio per la durata di sei anni con riferimento a determinate materie nel settore civile e penale, per altro verso, essi svolgono il praticantato presso uno o più studi di avvocati. Appare evidente che, ove presso un ufficio del luogo di svolgimento di attività del praticante presti servizio un magistrato che sia suo parente o coniuge o convivente, la situazione che si realizza può determinare lesione dell’immagine di imparziale e corretto esercizio della funzione giudiziaria.
La rilevanza di queste situazioni dovrà, quindi, essere valutata caso per caso tenendo conto di una pluralità di elementi di giudizio: le dimensioni della sede, la posizione ricoperta dal magistrato nell’ufficio, la collocazione tabellare del magistrato, la materia trattata dal praticante avvocato e dallo studio professionale presso il quale avviene il praticantato nonché, relativamente a quest’ultimo, la frequenza di attività avanti all’ufficio al quale appartiene il magistrato.
Gruppi familiari.
Questa dizione viene usata per definire la situazione che può verificarsi presso alcune sedi giudiziarie nelle quali si realizza la compresenza di una molteplicità di familiari, alcuni dei quali magistrati ed altri avvocati.
La incompatibilità va, ovviamente, valutata e risolta considerando i singoli rapporti bilaterali. La rilevanza del “gruppo familiare”, pur in presenza di situazioni bilaterali non rivelatrici di incompatibilità, può venire invece in rilievo ai fini di cui all’art. 2 L.G. qualora, con riferimento alla dimensione della sede e/o ad altre specifiche circostanze di fatto emerse, risulti che la compresenza di parenti determini una lesione della immagine di imparziale esercizio della funzione.
La incompatibilità tra magistrati ( art.19 O.G.)
La disposizione dell’art. 19 O.G. primo comma interessa i magistrati aventi tra di loro vincoli di parentela o di affinità fino al terzo grado ed afferma la regola generale secondo la quale gli stessi “non possono far parte della stessa corte o dello stesso tribunale o dello stesso ufficio giudiziario”.
Ambito soggettivo: la disposizione ha riferimento ai soli magistrati ordinari ivi compresi, a differenza del disposto dell’art. 18 O.G., anche i magistrati che svolgono funzioni di legittimità presso la Corte di Cassazione. Cio’ si desume dalla stessa dizione letterale della norma che non contiene un riferimento alle sole Corti di Appello ( come nell’art. 18 O.G.) mentre l’ultimo comma dell’art. 19 usa la locuzione “nelle Corti” che non può che essere riferita anche alla Corte di Cassazione.
La disciplina non riguarda, dunque, i rapporti parentali con magistrati onorari ed implica, per la stessa sua finalità, che i magistrati ordinari svolgano effettivamente funzioni giurisdizionali: quindi non interessa coloro i quali si trovino fuori ruolo per qualsiasi causa. Coloro che si trovino in questa condizione non hanno l’onere della dichiarazione, ma debbono provvedervi al momento della ripresa della attività giurisdizionale presso la sede di
destinazione.
Il rapporto di parentela contemplato è poi più ampio rispetto a quello di cui all’art. 18 O.G. e si estende, in linea retta, anche ai “pronipoti” rispetto all’avo e, in linea collaterale, al rapporto nipote/zio. Per quanto riguarda il rapporto di affinità interessa le relazioni coi fratelli/sorelle del coniuge nonché gli zii del coniuge.
Definizione degli uffici ai quali appartengono i magistrati
La norma ha riferimento ai magistrati ordinari che svolgono funzioni giurisdizionali presso la stessa Corte, Tribunale o ufficio giudiziario. Il termine Corte si riferisce, come si è sopra osservato, sia alla Corte di Cassazione che alla Corte di Appello mentre il termine Tribunale si riferisce, per comune accezione dell’Ordinamento Giudiziario, al Tribunale Ordinario.
Il termine “ufficio giudiziario”, contemplato dalla norma dopo la locuzione “Corte” e “Tribunale”, sembra avere la funzione di previsione “residuale” che riguarda quindi gli uffici giudiziari non espressamente elencati e quindi le Procure presso i Tribunali Ordinari, le Procure Generali presso le Corti di Appello, la Procura Generale presso la Corte di Cassazione nonchè le altre strutture autonome costituenti i Tribunali per i Minorenni, il correlativo ufficio requirente, i Tribunali di Sorveglianza e gli Uffici di Sorveglianza. Sembra, infatti, doversi escludere che l’uso del termine “ufficio giudiziario” possa intendersi riferito a singole articolazioni di una struttura giudiziaria (sezione o altro). Lo esclude non solo la nozione di ufficio giudiziario ricavabile dall’Ordinamento Giudiziario, ma anche il semplice tenore della disposizione che pone “l’ufficio giudiziario” subito dopo la elencazione della “Corte” e del “Tribunale”, ossia di due strutture articolate. D’altro canto sarebbe illogico se, dopo aver escluso la compatibilità della compresenza di parenti nella stessa “Corte” o “Tribunale”, se ne prevedesse la esclusione con riferimento a singole componenti della stessa struttura e, nel contempo, non prevedendo la incompatibilità per altre strutture autonome quali gli uffici di Procura presso il Tribunale Ordinario e presso la Corte di Appello, ovvero i
Tribunali di Sorveglianza o i Tribunali per i Minorenni.
La disposizione generale in esame è, quindi, nel senso della incompatibilità per i magistrati legati da rapporto di parentela nei gradi indicati che appartengano allo stesso ufficio giudiziario: costoro non possono far parte dello stesso Tribunale, della stessa Corte di Appello o di Cassazione, della stessa Procura, della stessa Procura Generale, dello stesso Tribunale di Sorveglianza e dello stesso Tribunale per i Minorenni.
Disposizione derogatoria e divieto tassativo: il secondo comma dell’art. 19 O.G. prevede che la disposizione di cui al comma precedente “non si applica” quando, a giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura, possa in concreto escludersi “qualsiasi intralcio al regolare andamento del servizio”, avuto riguardo al numero dei componenti il collegio o l’ufficio giudiziario. Il terzo comma dispone, poi, che “non possono far parte come giudici dello stesso collegio giudicante nelle Corti e nei Tribunali Ordinari i parenti e gli affini sino al quarto
grado”.
I valori tutelati dalla norma.
Il principio generale enunciato dal primo comma dell’art. 19 O.G. colloca la disposizione, al pari del disposto dell’art. 18 O.G., quale specificazione delle situazioni di incompatibilità per ragioni ambientali tutelato dall’art. 2 L.G. ed è anch’esso finalizzato alla tutela della immagine di imparziale esercizio della giurisdizione. In particolare, viene in rilievo, nel caso
di specie, la lesione che può derivare dalla sola apparenza di reciproci condizionamenti nell’esercizio della funzione connessa alla compresenza di parenti presso lo stesso ufficio
giudiziario.
Rispetto all’ipotesi contemplata dall’art.18 O.G. vi è, nel caso in esame, una potenzialità lesiva dell’interesse che ha aspetti diversi e di minore intensità: l’esercizio da parte dei magistrati della stessa funzione presso lo stesso ufficio oltre, evidentemente, a non avere alcun riflesso sul libero esercizio della attività forense, non implica necessariamente la partecipazione con ruoli diversi alla stessa attività giudiziaria ed è quindi la sola comune attività presso l’ufficio che può determinare una immagine di mero reciproco condizionamento. Va, infatti, precisato che non rientrano in questa disposizione ( ma semmai in quella generale di cui all’art. 2, come si vedrà in seguito) i casi di magistrati appartenenti ad uffici diversi ma “intersecantisi” nelle rispettive funzioni.
In questo generale contesto va, poi, considerata l’ipotesi derogatoria: la legge attribuisce al Consiglio il potere di non applicare la norma sulla incompatibilità quando verifichi che dalla compresenza di magistrati parenti, per le dimensioni dell’ufficio stesso ( o del collegio), non derivino intralci al regolare andamento del servizio. Non sembra che dal regime derogatorio possa dedursi che la funzione della norma nel suo complesso sia quella di tutelare il regolare
funzionamento dell’ufficio unicamente nella sua attività “materiale” (difficoltà operative conseguenti alla compresenza): il secondo comma tende a consentire di adeguare il rigore del principio alle diverse e molteplici situazioni concrete attribuendo, per un verso, al Consiglio l’esame di tutte le situazioni rilevanti e l’esercizio del potere derogatorio ed indicando, per altro verso, i limiti sino ai quali è consentito esercitarlo.
Criteri di applicazione della norma
Si è, dunque, visto come il sistema delineato dall’art. 19 O.G. tenda essenzialmente a garantire la credibilità della funzione giudiziaria unitamente ad un regolare svolgimento della attività dell’ufficio. Occorre quindi delineare criteri di massima da adottare nella valutazione delle situazioni, ai fini della applicazione del sistema derogatorio fermo restando, anche in questo caso, che si dovranno, comunque, considerare gli aspetti concreti che ogni singola situazione presenta.
Certamente non ci si può affidare, per risolvere il problema, alle norme che disciplinano la astensione giacchè queste sono disposizioni che tendono a preservare la libertà di condizionamento del magistrato nel singolo procedimento allorché, occasionalmente, si verifichi una situazione rilevante mentre la disposizione in esame ha finalità piu’ampie e diverse tendendo a preservare l’immagine dell’ufficio e della funzione svolta: d’altro canto proprio la pluralità di situazioni di astensione determinerebbe una di quelle anomalie funzionali dell’ufficio ostative alla compresenza.
Lo stesso disposto dell’art. 19 comma secondo O.G. fornisce il parametro valutativo del numero dei componenti dell’ufficio: ciò coerentemente col logico principio ( già utilizzato a proposito dell’art.18) secondo il quale il rischio di lesione dei valori tutelati ( al cui realizzarsi contribuisce anche concretamente la conseguente disfunzione dell’ufficio) è direttamente rapportabile alle dimensioni dello stesso. Infatti, in sedi di piccole/medie dimensioni è più immediata la percezione esterna di tali situazioni, tanto più che non è, di regola, possibile, in tali contesti, contemperare la compresenza di più magistrati tra loro legati da vincoli parentali
col regolare funzionamento del servizio.
Considerando le diverse tipologie di uffici giudiziari si possono esprimere quindi i seguenti
criteri :
Uffici Giudicanti : gli aspetti di disfunzionalità e di lesione della immagine appaiono più concretamente ravvisabili in uffici di piccole dimensioni che risentono, in modo più immediato, degli aspetti negativi della compresenza di magistrati. Ciò appare avvenire in Tribunali o Corti organizzate con sezioni uniche promiscue in relazione ai quali la deroga potrà essere concessa solo se, senza rilevanti variazioni tabellari, sia possibile assicurare stabilmente l’attività dei magistrati parenti in distinte materie, senza intralci per gli altri servizi dell’ufficio, ivi compresa la composizione dei collegi ed il rispetto di criteri di equa e razionale distribuzione del lavoro.
In Tribunali o Corti di piu’ ampie dimensioni, organizzati con due o piu’ sezioni, la deroga potrà essere concessa se la collocazione dei magistrati avviene in sezioni diverse o comunque in sezione con organico numericamente consistente il quale consente lo svolgimento delle rispettive attività senza inconvenienti e nel rispetto del disposto dell’ultima parte dell’art.19 O.G.
La deroga non potrà essere concessa ove i magistrati operino, nell’ambito dello stesso ufficio, in settori funzionalmente intersecantisi (es. funzioni di GIP e di giudice del dibattimento penale sia esso monocratico o collegiale) a meno che, per le dimensioni dell’ufficio, sia possibile escludere stabilmente e senza rilevanti intralci, con idoneo accorgimento organizzativo, il sistematico verificarsi di simile evenienza.
Di regola la attività presso sezione distaccata non confligge con la attività del parente magistrato presso la sede centrale anche se entrambi si occupano della stessa materia.
Con riferimento ai Tribunali per i Minorenni e di Sorveglianza non rileva, in questa sede, la specificità della materia trattata ed il regime derogatorio sarà regolato secondo i criteri generali più sopra enunciati. Con riferimento alla Corte di Cassazione si può osservare, attese le funzioni di legittimità e le sue conseguenti caratteristiche funzionali, che si può ammettere la compresenza col solo limite della diversità dei collegi nel rispetto del disposto dell’ultima parte dell’art. 19 O.G.
Uffici Requirenti. Anche per questi uffici deve considerarsi, come elemento che consente la deroga, quello relativo alla consistenza dell’organico. Occorre al riguardo considerare che l’espletamento di attività requirente da parte di parenti presso lo stesso ufficio è circostanza che non appare di per sé lesiva della immagine di imparziale esercizio della funzione purchè ciò avvenga senza alcuna reciproca interferenza nel lavoro e purchè le problematiche connesse al rapporto parentale non incidano sulla stessa funzionalità dell’ufficio. Tale evenienza può verificarsi in uffici di Procura (presso il Tribunale Ordinario o presso la Corte di Appello) di piccole dimensioni nei quali, al di là della dimensione della sede, la consistenza dell’organico non consente di far fronte all’ordinaria attività e di sopperire alle situazioni di supplenza, turni, ferie, astensioni etc. senza che si verifichino inconvenienti derivanti dalla presenza dei parenti.
Dirigenti degli Uffici. La funzione dirigenziale svolta dal magistrato porta ad escludere la possibilità di presenza nello stesso ufficio di un congiunto anche se vi sia distinzione nella rispettiva attività giurisdizionale. In questo caso infatti assume rilievo la diversa posizione all’interno dell’ufficio ed il fatto che uno dei magistrati è soggetto alle scelte organizzative dell’altro con conseguente sospetto di scelte operate non nell’interesse della funzionalità del servizio e dell’uguale trattamento per tutti gli appartenenti all’ufficio stesso.
L’incompatibilità potrà essere verificata anche con riferimento al rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado intercorrente tra il Presidente del Tribunale del capoluogo di distretto ed i Giudici addetti al locale Tribunale per i minorenni o tra il Presidente della Corte di Appello o il Procuratore Generale presso la Corte medesima ed un magistrato addetto rispettivamente ad un Tribunale o ad una Procura della Repubblica del distretto (ivi compresa la Procura presso il Tribunale per i Minorenni), in ragione del pericolo di interferenze sul corretto esercizio da parte dei predetti magistrati dirigenti del potere di sorveglianza, a norma delle disposizioni degli artt. 14 e 16 R.D.L.vo 31 maggio 1946 n. 511.
Situazioni analoghe a quelle previste dall’art. 19 O.G.
Il rapporto di coniugio
Al pari dell’art. 18 anche l’art. 19 dell’O.G. non contempla, per le ragioni che già si sono esposte in precedenza, il rapporto di coniugio tra magistrati quale causa di incompatibilità. Sussiste, anche in questo caso, l’evidente esigenza di tutela dei valori di cui si è detto sopra. Ove la presenza dei coniugi presso lo stesso ufficio – per le funzioni da loro esercitate – determini anche solo una apparenza di compromissione della immagine di imparziale esercizio della giurisdizione ed inconvenienti nell’ordinato svolgimento dell’attività dell’ufficio potrà ipotizzarsi, per rimuovere tale situazione, il ricorso alla procedura ex art. 2 L.G. I criteri di valutazione delle situazioni, ferma restando la verifica concreta, sono quelli già esposti relativamente alla disciplina di cui all’art. 19 O.G.
Il rapporto di stabile convivenza.
Si è già rilevato come la stabile convivenza determini, di fatto, una situazione sovrapponibile a quella del coniugio e quindi va richiamato quanto esposto al punto che precede. Anche in questo caso dovranno essere i magistrati interessati a dover segnalare la condizione di convivenza allorché la stessa, sia per come viene affettivamente vissuta sia per la situazione di fatto conseguente, abbia assunto i caratteri della stabilità. In ogni caso i dirigenti degli uffici dovranno vigilare affinché di tali situazioni venga reso edotto il Consiglio.
Magistrati legati da vincolo di parentela, affinità, coniugio o stabile convivenza che prestano servizio in uffici diversi della stessa sede giudiziaria.
Si è visto come la disciplina di cui all’art. 19 O.G. riguardi i magistrati legati da rapporto di parentela che svolgono la propria attività nell’ambito dello stesso ufficio giudiziario. Si è anche visto quali siano le regole che si applicano ai casi di coniugio e convivenza in situazioni analoghe. Diverso è il caso di appartenenza di magistrati ad uffici diversi della stessa sede giudiziaria. Se, di regola, tale situazione non ha alcun rilievo ai fini della incompatibilità, può verificarsi che i magistrati che si trovino nei rapporti sopra descritti appartengano ad uffici tra i quali sussiste una relazione funzionale: funzioni di PM rispetto a funzioni di Giudice (GIP, o giudice penale monocratico o collegiale), funzioni giudicanti di primo grado rispetto a funzioni giudicanti di secondo grado.
Nella disciplina processuale si rinvengono specifiche norme che escludono la possibilità che coniugi o parenti o affini sino al secondo grado si occupino dello stesso procedimento (vedi art. 35 c.p.p “Nello stesso procedimento non possono esercitare funzioni, anche separate o diverse, giudici che sono tra loro coniugi, parenti o affini fino al secondo grado”).
Si deve poi considerare che la esigenza di sistematico ricorso alla astensione determina una disfunzione rilevante del servizio ed a ciò deve aggiungersi che, indipendentemente dalla incompatibilità relativa al singolo procedimento, tale situazione può determinare all’esterno una immagine di “giustizia domestica” ancor più marcata di quella derivante dalla contemporanea presenza di magistrati parenti nello stesso ufficio.
Anche in questo caso la situazione può essere rilevante ai fini della incompatibilità ex art. 2 L.G. La relativa valutazione può essere effettuata, in concreto, utilizzando il criterio delle dimensioni degli uffici: qualora la struttura organizzativa degli stessi, date le modeste dimensioni, non consenta di escludere stabili interferenze, si verificherà una più immediata percezione esterna e quindi una più intensa compromissione dei valori tutelati.
Va precisato infine, con riguardo al grado di parentela o affinità che deve intercorrere tra i magistrati ai fini della rilevanza della ipotesi sopra descritta, che manca, nel caso di specie, un riferimento normativo ed il rapporto di parentela o di affinità è molto ampio. Trattandosi di ipotesi ex art. 2 L.G. si ritiene che il grado di parentela o affinità (nonché quello di coniugio o
di stabile convivenza) sia uno degli elementi da valutare insieme agli altri concretamente indicativi della lesione dei valori tutelati ed al riguardo quindi la indicazione del rapporto parentale di cui all’ art .19 O.G. può essere un utile riferimento.
Magistrati ordinari legati da rapporto di coniugio, stabile convivenza, parentela o affinità con
giudici onorari.
Il rango costituzionale del principio di inamovibilità del magistrato ordinario, solo eccezionalmente derogabile nei casi espressamente previsti dall’ordinamento e solo quando non sia diversamente ovviabile se non con il trasferimento, fa sì che non sia configurabile per lo stesso un caso di incompatibilità rilevante ex art. 2 L.G. in ragione di rapporto di parentela, coniugio o stabile convivenza con magistrato onorario.
Rilevazione delle incompatibilità
Le situazioni da dichiarare.
> Con riferimento alle situazioni rilevanti ex art. 18 RD n.12/1941 e situazioni analoghe descritte al titolo IV del capo I della circolare devono essere oggetto di dichiarazione da parte del magistrato i rapporti di parentela o affinità nei gradi indicati dalla legge nonché i rapporti di coniugio o stabile convivenza con esercenti la professione forense (ivi compresi gli iscritti all’albo dei praticanti avvocati ed all’elenco speciale ex art. 3 RD 27 novembre 1933 n. 1578) quale che sia l’ufficio avanti al quale gli stessi abitualmente esercitano.
> Con riferimento alle situazioni rilevanti ex art. 19 RD n. 12/1941 e situazioni analoghe descritte al titolo IV del capo II dovranno essere oggetto di segnalazione solo le situazioni nelle quali i magistrati parenti o affini nei gradi indicati ovvero coniugi o stabili conviventi esercitano le funzioni nello stesso ufficio giudiziario nonché in uffici giudiziari della stessa sede allorché sussistano le connessioni funzionali di cui all’art.35 della circolare.
> I magistrati potranno anche segnalare altre situazioni diverse da quelle sopra specificate (di alcune è cenno anche nella presente relazione) ove ritengano di sottoporre le stesse a valutazione del Consiglio.
Momento temporale nel quale la dichiarazione deve essere resa.
Si è già precisato che l’onere della dichiarazione compete ai magistrati ordinari che esercitano funzioni giurisdizionali.
Si possono distinguere tre diverse situazioni che ingenerano l’obbligo:
> Quando il magistrato indica una sede nella quale chiede di svolgere la sua attività. Ciò si verifica per l’ uditore al momento della indicazione della sede di preferenza nell’ambito della procedura di prima assegnazione; per il magistrato in servizio al momento della presentazione di domanda di tramutamento, per qualsivoglia sede o ufficio, o conferimento incarico semidirettivo o direttivo; per il magistrato fuori ruolo al momento dell’ apertura della procedura per il rientro in servizio; per i magistrati per i quali occorre procedere
d’ufficio alla rassegnazione di una sede nel momento in cui viene invitato ad indicare l’ordine
di preferenza.
In questi casi le norme regolamentari impongono l’obbligo di dichiarare se nella sede richiesta vi siano situazioni potenzialmente rilevanti ai fini della incompatibilità (la circolare n. 15098 del 30.11.1993 e succ. integraz. – Disposizioni in tema di tramutamenti e di assegnazione per conferimento di funzioni recita al paragrafo V n. 9 “Gli interessati sono Tenuti, con la domanda e, comunque, non oltre la data della delibera di plenum, a segnalare qualunque situazione, anche sopravvenuta, di potenziale incompatibilità, ai sensi degli artt. 18 e 19 dell’Ordinamento Giudiziario, rispetto all’ufficio richiesto”. Ed il n. 10 prevede che “ L’inosservanza di tale onere va segnalato ai titolari dell’azione disciplinare”.)
Le dichiarazioni di cui sopra saranno esaminate dalla commissione competente a disporre la destinazione sulla base degli elementi forniti dall’interessato e delle eventuali informazioni assunte. Tale valutazione peraltro non definisce la posizione e l’eventuale accoglimento della domanda non comporta una valutazione di esclusione della incompatibilità ma costituisce solo una delibazione preliminare circa la non macroscopica evidenza della stessa alla luce della situazione rappresentata e quindi non pregiudica la successiva valutazione in concreto dopo la destinazione tabellare. Il magistrato quindi, al momento della presa di possesso nell’ufficio ( ed in particolare nel momento in cui viene definita la sua collocazione tabellare), deve rendere la formale dichiarazione che verrà valutata dalla commissione consiliare competente per le incompatibilità.
> Quando nella sede ove il magistrato presta servizio sopravvenga una situazione rilevante ai fini della incompatibilità ovvero intervengano modifiche delle situazioni già segnalate. In questi casi la dichiarazione va resa entro sessanta giorni dal verificarsi dell’evento.
> Quando il Consiglio ritenga di disporre censimento generale sulle situazioni di incompatibilità. In questo caso la dichiarazione dovrà essere resa da tutti i magistrati in servizio anche per situazioni negative nel termine indicato nella relativa delibera. La compilazione della dichiarazione ed il suo inoltro comporta per il magistrato attestazione di veridicità delle informazioni fornite e della situazione dichiarata. La omessa compilazione della dichiarazione nel momento nel quale è richiesta ( come sopra specificato) integra condotta di rilievo disciplinare.
Modalità di redazione della dichiarazione
La situazione del magistrato ai fini della incompatibilità sarà visualizzabile e modificabile dalla sezione relativa ai “dati personali” (da parte del magistrato) o dalla sezione relativa ai “servizi riservati agli uffici giudiziari -> Valeri@” (nel caso sia l’ufficio ad accedere ai dati) presente sul sito intranet del CSM.
La dichiarazione dovrà essere effettuata sul modulo informatico – fermo restando l’onere di dichiarazione (con le forme previste dalle relative domande) in occasione delle domande per assegnazione di sede, trasferimento, tramutamento o conferimento incarichi direttivi – nei casi di cui all’art. 45 lett. e) ed f) e 46 della Circolare. In particolare quindi: nel momento della presa di possesso nell’ ufficio e di destinazione tabellare in esito alle procedure di assegnazione o trasferimento richiamate dalla lettera a) alla lettera d) dell’art. 45 della circolare; nel momento in cui si debba segnalare una nuova situazione rilevante sopravvenuta ovvero mutamenti di quella denunciata; nel momento in cui si debba rispondere a censimento generale bandito dal CSM.
Doveri dei Dirigenti degli uffici e relative attività degli stessi e del Consiglio Giudiziario in tema di situazioni di incompatibilità –
I dirigenti degli uffici hanno un generale obbligo di vigilanza sulle situazioni di incompatibilità interessanti gli uffici stessi ed hanno il correlativo obbligo di segnalazione al CSM di ogni situazione potenzialmente rilevante.
Si rammenta inoltre che, secondo la vigente circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari 2002 – 2003 al punto 48, “L’assegnazione dei magistrati va effettuata avendo riguardo alle incompatibilità disciplinate dagli artt. 18 e 19 O.G. e precisando, conseguentemente, i settori nei quali è necessario non destinarli”.
A seguito della dichiarazione su modulo informatico, il capo dell’ufficio, attraverso la sezione “servizi riservati agli uffici giudiziari -> Valeri@”, selezionerà il pulsante relativo alle “dichiarazioni di incompatibilità” e visualizzerà l’elenco di tutti i magistrati appartenenti all’ufficio con le seguenti informazioni a lato:
1. data di inserimento dichiarazione art. 18
2. presenza di incompatibilità (si/no)
3. data presa visione del capo dell’ufficio
4. relazione del capo dell’ufficio
5. * data presa visione del Consiglio Giudiziario
6. * relazione del Consiglio Giudiziario
7. data di inserimento dichiarazione art. 19
8. presenza di incompatibilità (si/no)
9. data presa visione del capo dell’ufficio
10. relazione del capo dell’ufficio
11. * data presa visione del Consiglio Giudiziario
12. * relazione del Consiglio Giudiziario
Le voci contrassegnate con asterisco (*) saranno visibili solo al Consiglio Giudiziario.
La procedura che il capo dell’ufficio (o il Consiglio Giudiziario) dovrà seguire è la seguente:
Nel caso in cui il magistrato non dichiari alcuna incompatibilità (voci 2,8) ed il capo dell’ufficio non abbia osservazioni da comunicare, quest’ultimo dovrà pigiare sul pulsante presente nel campo ‘presa visione’ (voci 3,9); in tal modo attesterà la presa visione del documento e verrà impostata in automatico la data in cui è stata eseguita l’operazione. La dichiarazione verrà acquisita automaticamente dal CSM per le valutazioni del caso.
Se la dichiarazione è positiva, relativamente a situazione rilevante ex art 18 O.G. o situazioni analoghe, il capo dell’Ufficio verifica se l’attività dell’avvocato legato da vincolo parentale al magistrato sia dichiarata come interessante la stessa sede giudiziaria. In caso negativo provvederà come al punto che precede. In caso affermativo provvederà come al punto che segue.
Se la dichiarazione riguarda presenze di magistrati parenti presso lo stesso ufficio o presso uffici della stessa sede coi connotati di cui all’art. 42 della Circolare ovvero rapporti con esercenti la professione legale nei termini di cui al punto che precede, il Capo dell’ Ufficio Giudiziario deve inserire nello spazio a ciò riservato una sua relazione con indicazione di specifici elementi di fatto a lui noti ed utili per la valutazione. Ove necessario provvederà a dare conto di risultanze di controlli interni da lui disposti (es. certificazioni di cancellerie).
Egli dovrà anche indicare se abbia dovuto ricorrere ad accorgimenti organizzativi, in deroga a quelli ordinari, per impedire il verificarsi di situazioni di incompatibilità. Il capo dell’ufficio dovrà selezionare il collegamento relativo alla relazione (voci 4,10) e successivamente individuare, nel proprio computer, la relazione da abbinare al magistrato.”
Le dette operazioni dovranno essere svolte dal dirigente dell’ ufficio entro giorni sessanta decorrenti dal momento della presentazione della dichiarazione.
A seguito di tali operazioni il Consiglio Giudiziario sarà abilitato a visualizzare la relazione inserita dal capo dell’ufficio (voci 4,10) ed ad inserire una propria relazione (voci 6,12).
Il Consiglio Giudiziario dovrà formulare, entro giorni novanta dall’inserimento della relazione da parte del capo dell’ufficio, un parere sulle situazioni dichiarate.”
La sua valutazione avverrà sulla base degli elementi suddetti e potrà unicamente richiedere chiarimenti al magistrato ( o ai magistrati) interessati ed al capo dell’ufficio.
Attività della Commissione e deliberazioni del Consiglio sulle situazioni di incompatibilità di
sede
A seguito della acquisizione della dichiarazione unitamente alla relazione del dirigente ed al parere del Consiglio Giudiziario la competente Commissione del CSM svolge una preliminare delibazione della situazione dichiarata ed all’esito può proporre al plenum la immediata archiviazione.
In caso contrario può:
> Disporre accertamenti: informazioni al Consiglio dell’Ordine (nel caso di procedura riguardante rapporti di parentela con avvocati), informazioni ai capi degli Uffici, acquisizione
di documentazione, audizioni;
> Introdurre una interlocuzione preliminare col magistrato interessato o col capo dell’ufficio:
questa interlocuzione può essere scritta od orale ed ha lo scopo di acquisire più precisi elementi favorendo, col contatto diretto, non solo una migliore conoscenza delle situazioni ma anche, ove possibile, la soluzione delle questioni senza rendere necessario il ricorso all’atto formale della apertura della procedura.
Svolta questa attività, ove non ritenga di proporre la archiviazione, la Commissione delibera l’apertura della procedura, spedendo avviso al magistrato contenente l’indicazione degli
elementi che si ritengono idonei a profilare una concreta situazione di incompatibilità (o a non concedere la deroga ex art. 19 O.G.) con l’ avvertimento che potrà essere sentito con l’eventuale assistenza di altro magistrato e fissa la data della audizione;
In esito alla audizione la Commissione, ove non ritenga di svolgere ulteriori accertamenti, darà avviso del deposito degli atti al magistrato ed all’eventuale assistente nominato, con facoltà di ottenere copia di atti e presentare controdeduzioni scritte entro un termine non superiore a giorni 20 decorrenti dalla data di ricezione dell’avviso di deposito;
Scaduto il termine la Commissione formula la sua proposta All’assemblea Plenaria e, se la stessa è di trasferimento d’ufficio, viene dato avviso al magistrato della data fissata per la seduta del Consiglio con facoltà di essere sentito o di inviare memoria scritta.
Nel caso la procedura riguardi magistrati con riferimento a situazioni rilevanti ex art. 19 O.G. ed analoghe ed alcuno di essi abbia presentato preventiva domanda di trasferimento, la procedura riguarderà colui che per ultimo ha raggiunto la sede o l’ufficio o, in caso di presa di possesso in pari data, il magistrato con minore anzianità di ruolo: nel caso di coniugi o stabili conviventi si avrà anche riferimento alle esigenze del nucleo famigliare. Il Consiglio adotta la sua motivata delibera.
Sospensione della procedura di trasferimento.
La procedura di trasferimento può essere sospesa:
> se il magistrato interessato, a seguito della apertura della procedura, ha chiesto il trasferimento ad altra sede o ad altro ufficio. In questo caso la Commissione competente può sospendere la procedura sino alla decisione sulla domanda e proporre la archiviazione al momento della deliberazione dell’Assemblea Plenaria sul trasferimento. In caso contrario la procedura riprenderà il suo corso;
> se il prossimo congiunto esercente la professione forense ha comunicato la volontà di trasferire presso altra sede giudiziaria la sua principale attività professionale. Questo dato non è di per sé sufficiente a far venir meno la situazione di incompatibilità, essendo necessario che risulti in modo certo che di fatto sono venuti meno i presupposti di cui alla prima ed alla seconda parte dell’art. 18 O.G.. La Commissione potrà svolgere accertamenti sul punto e, ove ritenga il venir meno della incompatibilità, chiederà l’archiviazione. Il capo dell’ufficio provvederà ad eseguire verifiche sulla permanenza della situazione di fatto che ha determinato il venir meno della incompatibilità e, ove risulti che la stessa non è conforme a quanto ritenuto o comunque modificata senza che il magistrato l’abbia segnalata, assumerà le conseguenti determinazioni e comunicherà il fatto al CSM ed ai titolari della azione disciplinare.

Capo I
L’incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità
con esercenti la professione forense.
Titolo I
Regole generali di applicazione delle disposizioni dell’art. 18 R. D. n. 12/1941.
1. (Ufficio giudiziario). Per ufficio giudiziario si intende il complesso della struttura organizzativa, prevista dall’ordinamento, per lo svolgimento di una determinata funzione.
Sono pertanto ufficio giudiziario, ai fini di cui all’art. 18 R.D. n. 12/1941, : la Corte di Appello, il Tribunale Ordinario, l’Ufficio di Sorveglianza, il Tribunale di Sorveglianza, il Tribunale per i Minorenni, la Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, la Procura Generale presso la Corte di Appello.
2. (Sede dell’ufficio). La sede dell’ufficio giudiziario si individua nella località ove l’ufficio, seppure articolato in sezione distaccate, ha la struttura centrale.
3. (Ambito soggettivo di applicazione). La disposizione sulla incompatibilità di sede per rapporti di parentela ed affinità con professionisti esercenti l’attività forense si applica ai magistrati ordinari operanti presso gli uffici giudiziari di merito; il tenore letterale della disposizione ne esclude l’applicabilità ai magistrati che svolgono le loro funzioni presso la Corte di Cassazione.
4. (Attualità dell’esercizio delle funzioni giudiziarie). Non si ha incompatibilità di sede se il magistrato non esercita funzioni giudiziarie, perché collocato fuori ruolo, per qualsivoglia causa.
5. (Rapporto di parentela e di affinità). Ai fini dell’incompatibilità, il rapporto di parentela tra professionista e magistrato rileva sino al secondo grado, mentre il rapporto di affinità tra i predetti rileva solo per il primo grado.
Altri rapporti di parentela e di affinità possono rilevare secondo la disposizione dell’art. 2, co. 2°, R. D. L.vo 31 maggio 1946, n. 511, sempre che risultino specifiche situazioni da cui desumere, per fatti ascrivibili al magistrato o al professionista ovvero per la dimensione della sede giudiziaria in relazione specifica ai criteri di accertamento dei punti 6 e segg. della presente circolare, che si possano verificare intralci al buon funzionamento del servizio, con conseguente compromissione dell’interesse alla credibilità della funzione giudiziaria.

Titolo II
Accertamento della situazione di incompatibilità.
6. (Rilevanza delle situazioni di incompatibilità). La situazione di incompatibilità prevista dalla prima parte della disposizione dell’art. 18 R. D. n. 12/1941, relativa quindi al fatto dell’iscrizione del parente o affine nell’albo professionale della sede ove si trova l’ufficio giudiziario di appartenenza del magistrato, assume concreta rilevanza nel caso in cui sussista una lesione all’immagine di corretto ed imparziale esercizio della funzione giurisdizionale da parte del magistrato e, in generale, dell’ufficio di appartenenza.
7. (Criteri di accertamento delle situazioni di incompatibilità). Per l’accertamento in concreto dell’incompatibilità di sede si ha riguardo:
a) alla rilevanza della professione forense svolta dal congiunto avanti all’ufficio di appartenenza del magistrato nei termini precisati nei successivi artt. 8 e 9;
b) alla dimensione del predetto ufficio, ed in particolare alla organizzazione tabellare;
c) alla materia trattata sia dal magistrato che dal professionista, rilevando la distinzione dei settori del diritto civile, del diritto penale e del diritto del lavoro e della previdenza, ed ancora, all’interno dei predetti e specie del settore del diritto civile, dei settori di ulteriore specializzazione come risulta, per il magistrato, dalla organizzazione tabellare;
d) al ruolo ricoperto dal magistrato all’interno dell’ufficio;
e) alla funzione specialistica dell’ ufficio giudiziario.
8. (Abitualità dell’esercizio della professione). Si ha esercizio abituale della professione non solo quando il parente o affine avvocato abbia avanti all’ufficio di appartenenza del magistrato il proprio centro di interessi, ma anche quando ivi svolga con una certa continuità una minore porzione della professione.
9. (Forme di organizzazione della professione forense ). L’applicazione dei criteri di rilevazione in concreto dell’incompatibilità di sede deve tener conto di eventuali forme di esercizio non individuale della professione forense da parte del parente o affine. Può avere rilievo il fatto – qualora il professionista eserciti in collaborazione con altri fruendo in comune delle medesime strutture organizzative – che si realizzi una forma collaborativa nella reciproca attività professionale.
Può aver rilievo, inoltre, lo svolgimento, da parte del congiunto del magistrato, di attività professionale presso uno studio, senza averne la titolarità.
Potrà avere rilievo anche la circostanza che, all’interno di uno studio professionale organizzato, il parente o affine del magistrato partecipi alla attività attraverso lo studio e la redazione degli atti.
In tutti questi casi l’impegno del congiunto del magistrato, qualunque ruolo rivesta all’interno dello studio, a non esercitare nel settore di attività del magistrato non basta a far ritenere esclusa la incompatibilità.
10. (Società e associazione di professionisti). Se la società di professionisti o l’associazione tra professionisti opera avanti all’ufficio al quale appartiene il magistrato parente di un socio o associato e nei medesimi settori del magistrato, si potrà determinare la incompatibilità indipendentemente dalle materie trattate dal professionista parente.
Nel caso in cui la società di professionisti o l’associazione tra professionisti si occupi esclusivamente di materia specialistica in settore diverso da quello di attività del magistrato, la situazione di incompatibilità può essere esclusa tenendo conto dei criteri generali.
Non sussiste, di regola, incompatibilità se il professionista in rapporto di parentela o affinità col magistrato eserciti presso una sede secondaria della società di professionisti ovvero presso una struttura decentrata rispetto alla sede principale ubicata nel luogo ove ha sede l’ufficio giudiziario di appartenenza del magistrato.
11. (Professionista iscritto in elenchi speciali). Situazioni di incompatibilità in concreto possono determinarsi in caso di rapporto di parentela o affinità, nei gradi indicati al punto 5, con professionista iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo (art. 3 RDL 27 novembre 1933, n. 1578), sebbene questi sia abilitato all’esercizio della professione limitatamente agli affari ed alle cause dell’ente di appartenenza. In tali ipotesi occorre aver riguardo alla peculiarità dell’attività professionale svolta, in applicazione dei criteri generali.
Titolo III
Casi di incompatibilità
12). (Tribunali ordinari di ridotte dimensioni). Nei Tribunali ordinari organizzati in un’unica sezione promiscua l’impossibilità di tener distinti i settori di attività dei magistrati, unitamente alle ridotte dimensioni della sede, determina la situazione di incompatibilità rilevante per il trasferimento d’ufficio. Potranno, peraltro, essere valutate, al fine di escludere la incompatibilità e congiuntamente agli altri criteri, organizzazioni tabellari del lavoro della sezione promiscua che prevedano per i magistrati l’attribuzione di competenze esclusivamente limitate o al settore penale o al settore civile.
13. (Tribunali ordinari di medie dimensioni). Nei Tribunali ordinari organizzati sulla distinzione tra attività nel settore civile, nel settore lavoro e nel settore penale, l’incompatibilità è esclusa se il professionista tratta materia di settore diverso rispetto a quello nel quale opera, per organizzazione tabellare, il magistrato, e sempre che non vi sia possibilità di interferenza tra le attività da entrambi svolte.
14. (Tribunali ordinari di grandi dimensioni). Nei Tribunali ordinari organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività, civile, lavoro e penale, e quindi con sezioni deputate alla trattazione esclusiva di materia specialistica (famiglia, esecuzione, fallimentare, societario, proprietà industriale ed intellettuale, etc. etc.), non sussiste incompatibilità ove il magistrato operi, seppure all’interno del medesimo settore, in sezione specialistica ed il professionista congiunto o affine non tratti detta materia oppure quest’ultimo tratti la materia specialistica, affidata per organizzazione tabellare ad una sezione, ed il magistrato operi in una sezione a cui sono affidate materie diverse, seppure all’interno del medesimo settore.
15 (Il magistrato in sezione distaccata). Non si ha incompatibilità di sede se il magistrato opera in via esclusiva in sezione distaccata ed il parente o l’affine non svolge presso la predetta sezione alcuna attività, oppure se è quest’ultimo ad operare in via esclusiva presso la sezione distaccata ed il magistrato esercita esclusivamente presso la sede centrale. Nel caso in cui il magistrato assegnato alla sezione distaccata svolga attività anche presso la sede centrale, occorre fare riferimento, per accertare la sussistenza di eventuali situazioni di incompatibilità, ai criteri generali di cui all’art.7 ed, in particolare, alla natura della materia trattata dal magistrato ed alle dimensioni della sede centrale del Tribunale o della sezione distaccata.
16. (Corti di Appello). Nelle Corti di Appello organizzate con una o più sezioni deputate alla trattazione distinta della materia civile, del lavoro, penale, non sussiste incompatibilità ove il magistrato eserciti esclusivamente in un settore (civile, penale, lavoro) ed il parente o l’affine eserciti esclusivamente in un settore diverso, oppure se, nell’ambito dello stesso settore, il magistrato sia addetto per previsione tabellare, in via esclusiva, alla trattazione di materia specialistica diversa da quella di cui si occupa stabilmente il professionista. Nel caso di identità di materia verrà valutato al fine di escludere la incompatibilità il dato relativo alle dimensioni del singolo ufficio ed alla intensità dell’attività del professionista avanti all’ufficio. Nelle Corti di Appello di piccole dimensioni, organizzate con un’unica sezione promiscua, occorre fare riferimento al dato relativo alla intensità della attività professionale avanti alla Corte da parte del parente o affine professionista, sicché, prescindendo dalla materia trattata, l’incompatibilità può essere esclusa in caso di attività quantitativamente assai modesta.
Per l’accertamento della eventuale situazione di incompatibilità di sede di un magistrato della Corte di Appello occorre valutare anche se vi sia esercizio, e quindi con quale intensità, da parte del parente o affine di attività professionale presso un ufficio di merito di primo grado compreso nel distretto. In ogni caso non può darsi rilievo, per escludere la situazione di incompatibilità, ad eventuali impegni del professionista volti a limitare la propria attività avanti al solo Tribunale, con conseguente rinuncia all’assistenza ed alla rappresentanza in grado di appello.
17. (Uffici di Procura). La situazione di incompatibilità del magistrato addetto alla Procura della Repubblica presso un Tribunale ordinario può derivare dal fatto che il parente o affine eserciti con abitualità la professione avanti al predetto Ufficio e/o avanti al corrispondente ufficio giudicante nel settore penale. Negli uffici di Procura istituiti presso Tribunali strutturati con unica sezione promiscua si verifica l’incompatibilità se alla ristretta dimensione degli uffici si accompagna, da parte del professionista, l’esercizio di attività nel solo settore penale o comunque in tutte le materie. Negli Uffici di Procura istituiti presso Tribunali organizzati con la distinzione in più settori di attività, l’incompatibilità di sede è esclusa se il professionista opera esclusivamente nel settore civile e se non si verificano rilevanti interferenze di attività in ragione delle funzioni assegnate al pubblico ministero nelle procedure civili.
Se il parente o affine opera nel settore penale, l’identità della materia trattata dal magistrato determina la situazione di incompatibilità, a meno che il parente non svolga l’attività professionale con rigorosa limitazione ad un settore specialistico e sia da escludere il pericolo di interferenze con l’attività del magistrato. In ogni caso non può darsi rilievo, per escludere la situazione di incompatibilità, ad eventuali impegni del professionista a non trattare la materia del settore in cui opera il parente o affine magistrato.
18. (Uffici di Procura Generale). I criteri di valutazione dell’incompatibilità di sede di un magistrato della Procura Generale presso la Corte di Appello sono mutuabili da quelli indicati al punto 16 per i magistrati della Corte di Appello, e si sostanziano, in particolare, nel criterio della rilevanza dell’attività di difesa davanti a quell’ufficio e nel criterio della valutazione della relativa organizzazione tabellare.
19. (Tribunali per i minorenni e relativi Uffici di Procura). Nella valutazione delle situazioni di eventuale incompatibilità di un magistrato addetto al Tribunale per i minorenni o al relativo Ufficio di Procura ha rilievo il profilo di specialità della materia funzionalmente trattata, sicché occorre verificare se vi sia, da parte del parente o affine, abituale esercizio della professione avanti al Tribunale per i minorenni o al relativo Ufficio di Procura.
20. (Tribunali di sorveglianza). Per l’accertamento della eventuale situazione di incompatibilità di sede di un magistrato del Tribunale di sorveglianza occorre valutare se vi sia esercizio, e quindi con quale intensità, da parte del parente o affine di attività professionale presso un ufficio di sorveglianza compreso nell’ambito territoriale di competenza del Tribunale predetto. Non sussiste incompatibilità se il parente o affine svolge attività professionale esclusivamente nel settore civile o del lavoro. Nel caso in cui eserciti nel settore penale in ambito distrettuale, occorre aver riguardo al dato quantitativo delle procedure curate avanti all’ Ufficio o al Tribunale di sorveglianza.
21. (Dirigenti degli uffici giudiziari). I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti di merito sono sempre in situazione di incompatibilità di sede se un parente o affine esercita la professione forense presso l’Ufficio da loro diretto. Solo per gli uffici giudicanti di grandi dimensioni possono essere prese in considerazione situazioni particolari, da valutare caso per caso sulla base del criterio dell’intensità e del settore di intervento del professionista parente o affine, ai fini dell’esclusione della situazione di incompatibilità. Per i magistrati preposti ad uffici requirenti di merito può essere esclusa la situazione di incompatibilità di sede se, anche in riguardo alle dimensioni dell’ufficio, il parente o affine svolge attività esclusivamente nel settore civile o del lavoro. Per il Presidente della Corte di Appello ed il Procuratore Generale vale, inoltre, quanto disposto ai punti 16 e 18 della presente circolare con riguardo ai magistrati addetti alla Corte di Appello ed alla relativa Procura Generale, circa la necessità di valutare se vi sia da parte del parente o affine esercizio di attività professionale presso un ufficio di primo grado compreso nel distretto.
22. (Il magistrato inserito in tabella infradistrettuale). Le verifiche di eventuali situazioni di incompatibilità di sede vanno riferite all’ufficio di appartenenza del magistrato, che sia inserito in tabelle infradistrettuali. La destinazione in supplenza presso un ufficio collegato infradistrettualmente non comporta, di regola, situazioni di incompatibilità se davanti a quell’ufficio esercita attività professionale il parente o l’affine del magistrato supplente. La coassegnazione ad altro ufficio infradistrettuale può comportare la sussistenza di situazioni di incompatibilità in riferimento all’ufficio collegato che beneficia della coassegnazione, risolvibili comunque con la revoca del provvedimento tabellare di coassegnazione.
23. (Il magistrato distrettuale). È esclusa, salvo particolari situazioni da valutarsi in concreto, l’incompatibilità di sede per il magistrato distrettuale.
TITOLO IV
Incompatibilità: casi analoghi
24. (Rapporto di parentela o affinità con il praticante avvocato). In caso di parentela o di affinità con un praticante avvocato ammesso all’esercizio dell’attività professionale, l’eventuale compromissione dell’interesse pubblico alla credibilità della funzione giudiziaria, da accertarsi in concreto, deve essere valutata secondo il paradigma della disposizione di cui all’art. 2, co. 2°, R. D.L.vo 31 maggio 1946, n. 511, tenendo conto di una pluralità di criteri, così individuati:
a) dimensioni dell’ufficio;
b) posizione rivestita dal magistrato e sua collocazione tabellare all’interno dell’ufficio;
c) materia trattata dal praticante avvocato e dallo studio professionale presso il quale lo stesso svolge la pratica professionale;
d) frequenza di attività professionale svolta dal praticante avvocato avanti all’ufficio di appartenenza del magistrato.
25. (Rapporto di coniugio o di stabile convivenza con avvocati o praticanti avvocati ammessi all’esercizio della professione). L’esercizio della professione forense in modo abituale avanti all’ufficio nel quale il coniuge, o il convivente more uxorio, svolge le funzioni di magistrato può determinare una situazione di incompatibilità per l’impossibilità di amministrare giustizia in quella sede col necessario prestigio, secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 2, co. 2°, R. D. L.vo 31 maggio 1946, n. 511. Nella valutazione di siffatte situazioni si ha, di regola, riguardo ai criteri generali indicati nel titolo II di questo Capo I. Tale incompatibilità non sussiste, di regola, in caso di divorzio e di separazione legale; essa non viene meno, però, in caso di sola separazione di fatto dei coniugi, salvo eccezioni da valutare in concreto.

CAPO II
L’incompatibilità di sede per rapporti di parentela o
affinità con magistrati della stessa sede.
Titolo I
Regole generali di applicazione delle disposizioni dell’art. 19 R. D. n.
12/1941.
26. (Ufficio giudiziario). Per ufficio giudiziario si intende il complesso della struttura organizzativa, prevista dall’ordinamento per lo svolgimento di una determinata funzione. Ai fini dell’applicazione della disposizione dell’art. 19 R. D. n. 12/1941 sono ufficio giudiziario, oltre alla Corte di Cassazione, alla Corte di Appello, al Tribunale Ordinario, al Tribunale di Sorveglianza ed al Tribunale per i Minorenni, gli uffici giudiziari qui elencati: Procura Generale presso la Corte di Cassazione, Ufficio di Sorveglianza, Procura Generale presso la Corte di Appello, Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
27. (Ambito soggettivo di applicazione). Le disposizioni sulla incompatibilità di sede per rapporti di parentela ed affinità con magistrati dello stesso ufficio si applicano anche ai magistrati che svolgono le loro funzioni presso la Corte di Cassazione
28. (Rapporto di parentela o affinità). I magistrati in rapporto di parentela o affinità tra loro sino al terzo grado non possono, di regola, fare parte dello stesso ufficio giudiziario, come individuato al punto n. 26 della presente circolare. In ogni caso non possono fare parte come giudici dello stesso collegio giudicante nelle Corti e nei Tribunali ordinari i parenti e gli affini entro il quarto grado.
29. (Attualità dell’esercizio delle funzioni giudiziarie). Non si ha incompatibilità di sede se i magistrati in rapporto di parentela o affinità non esercitano funzioni giudiziarie, perché collocati fuori ruolo, per qualsivoglia causa.
30. (Rapporti con magistrati onorari). Nessun rilievo, ai fini dell’incompatibilità di sede, ha il rapporto di parentela o affinità, o di coniugio o stabile convivenza, con un magistrato onorario.
Titolo II
Accertamento della situazione di incompatibilità
31. (Accertamento delle situazioni di incompatibilità). Il Consiglio Superiore della Magistratura, pur in caso di compresenza nello stesso ufficio di magistrati in rapporto reciproco di parentela ed affinità entro il terzo grado, può in concreto escludere la sussistenza della incompatibilità di sede ove accerti che non vi sia pregiudizio della credibilità della funzione e non si abbiano intralci al regolare andamento del servizio.
32. (Criteri di accertamento delle situazioni di incompatibilità). Per l’accertamento in concreto dell’incompatibilità si ha riguardo al numero dei componenti dell’ufficio giudiziario e quindi alla dimensione dello stesso, in specifica relazione all’organizzazione tabellare. La valutazione in concreto, ai fini della deroga all’applicazione della disposizione di cui al primo comma dell’art. 19 R. D. n. 12/1941, tiene conto del fatto che le situazioni di incompatibilità determinate da rapporti tra magistrati esprimono una minore potenzialità lesiva dell’interesse alla credibilità della funzione giudiziaria, qualificata dal regolare svolgimento dell’attività dell’ufficio, rispetto alle situazioni di incompatibilità di sede determinate da rapporti con esercenti la professione forense.
Titolo III
Deroghe alle situazioni di incompatibilità.
33. (Uffici giudicanti di modeste dimensioni). Nei Tribunali e nelle Corti organizzati con sezioni uniche promiscue l’incompatibilità può essere esclusa solo se si accerti che, senza rilevanti variazioni tabellari, è possibile assicurare che i magistrati interessati svolgano stabilmente l’attività in distinte materie, senza intralci per gli altri servizi dell’ufficio, ivi compresa la composizione dei collegi ed il rispetto di equa e razionale distribuzione del lavoro.
34. (Uffici giudicanti di ampie dimensioni). Nei Tribunali e nelle Corti organizzati con due o più sezioni l’incompatibilità può essere esclusa se i magistrati interessati sono collocati in sezioni diverse tra loro o se nella stessa sezione purché questa abbia un organico numericamente consistente, che consente lo svolgimento delle attività giudiziarie senza intralci organizzativi e nel rispetto del divieto della compresenza dei magistrati interessati nello stesso collegio.
35. (Interferenze funzionali tra settori diversi dello stesso ufficio) L’incompatibilità non può essere esclusa se i magistrati in reciproco rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado operano, all’interno dello stesso ufficio, in settori pure distinti ma funzionalmente intersecantisi, salvo che, per le dimensioni dell’ufficio, sia possibile evitare, con idonei accorgimenti, rilevanti intralci che scongiurino il verificarsi sistematico di interferenze tra le attività dei magistrati interessati.
36. (Il magistrato in sezione distaccata). Non dà luogo, di regola, a situazione di incompatibilità il rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado tra magistrati dello stesso ufficio, di cui uno operi nella sede centrale e l’altro nella sede distaccata, pur se impegnati nella stessa materia.
37. (Tribunali per i minorenni e Tribunali di sorveglianza). La specificità della materia trattata dai magistrati addetti ai Tribunali per i minorenni ed ai Tribunali di sorveglianza non ha rilevanza per escludere la sussistenza di situazioni di incompatibilità per rapporti reciproci di parentela o affinità entro il terzo grado. L’esclusione della incompatibilità, per accertamento in concreto, è regolata dalle regole generali fissate al punto n. 33. della presente circolare.
38. (Corte di Cassazione). I magistrati addetti alla Corte di Cassazione possono fare parte della stessa sezione, purché si rispetti il divieto di compresenza nei medesimi collegi giudicanti.
39. (Uffici inquirenti / requirenti). Avuto riguardo alla dimensione dell’ufficio, può escludersi la situazione di incompatibilità se i magistrati in reciproco rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado operino senza alcuna reciproca interferenza e senza che si abbia alcuna incidenza negativa sulla funzionalità dell’ufficio.
40. (Dirigenti degli uffici) In ogni caso sussiste la situazione di incompatibilità se il magistrato dirigente dell’ufficio è in rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado con un magistrato addetto al medesimo ufficio. L’incompatibilità potrà essere verificata anche con riferimento al rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado intercorrente tra il Presidente del Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale Tribunale per i minorenni o tra il Presidente della Corte di Appello o il Procuratore Generale presso la Corte medesima ed un magistrato addetto rispettivamente ad un Tribunale o ad una Procura della Repubblica del distretto ivi compresa la Procura presso il Tribunale per i minorenni, in ragione del pericolo di interferenze sul corretto esercizio da parte dei predetti magistrati dirigenti del potere di sorveglianza, a norma delle disposizioni degli artt. 14 e 16 R.D.L.vo 31 maggio 1946 n. 511.
Titolo IV
Incompatibilità: casi analoghi
41. (Rapporto di coniugio o di stabile convivenza). Il rapporto di coniugio ed il rapporto di stabile convivenza tra magistrati dello stesso ufficio possono determinare una situazione di incompatibilità per l’impossibilità di amministrare giustizia in quella sede col necessario prestigio, secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 2, co. 2°, R. D. L.vo 31 maggio 1946, n. 511. Nella valutazione di siffatte situazioni si ha, di regola, riguardo ai criteri generali indicati nel titolo II di questo Capo II.
42. (Uffici diversi della stessa sede giudiziaria). Se i magistrati, che sono in rapporto di reciproca parentela o affinità o in rapporto di coniugio o ancora di stabile convivenza, prestano servizio presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria interessati da relazioni funzionali (ad es. Pubblico Ministero e giudice per le indagini preliminari o giudice penale sia monocratico che collegiale, giudice di primo grado e giudice in grado di appello) può determinarsi una situazione di incompatibilità per l’impossibilità di amministrare giustizia in quella sede col necessario prestigio, secondo quanto previsto dalla disposizione di cui all’art. 2, co. 2°, R. D. L.vo 31 maggio 1946, n. 511. In tali ipotesi occorre aver riguardo, per l’accertamento in concreto della situazione di incompatibilità, al criterio delle dimensioni degli uffici, per verificare se la loro struttura organizzativa consenta o meno di evitare stabili interferenze di attività tra i magistrati interessati. Occorre inoltre valutare il grado del rapporto di parentela o affinità tra i magistrati.
Capo III
Rilevazione delle incompatibilità.
Titolo I
Comunicazione delle situazioni di possibile rilevanza ex artt. 18 e 19 R.
D. n. 12/1941.
43. (Rapporti con professionisti. Obbligo di dichiarazione). Il magistrato, che
si trova in una delle situazioni di possibile rilevanza ai fini del trasferimento d’ufficio,
secondo le previsioni di incompatibilità di sede ex art. 18 R. D. n. 12/1941, o in una delle situazioni descritte al titolo IV del capo I della presente circolare come casi analoghi alla incompatibilità di sede per rapporti con professionisti, deve darne comunicazione al Consiglio Superiore della Magistratura. L’onere di comunicazione sorge per il solo fatto dell’esistenza dei rapporti di parentela, affinità, coniugio o stabile convivenza con un professionista, anche praticante avvocato o avvocato iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo, quale che sia l’ufficio giudiziario avanti al quale costoro abitualmente svolgano la professione. In ogni caso il magistrato ha facoltà di comunicazione di situazioni da lui ritenute assimilabili a quelle disciplinate dalla presente circolare, per sottoporle alle valutazioni del Consiglio Superiore della Magistratura.
44. (Rapporti tra magistrati. Obbligo di dichiarazione). Il magistrato, che si trova in una delle situazioni di possibile rilevanza ai fini del trasferimento d’ufficio, secondo le previsioni di incompatibilità di sede ex art. 19 R. D. n. 12/1941, o in una delle situazioni descritte al titolo IV del Capo II della presente circolare come casi analoghi alla incompatibilità di sede per rapporti tra magistrati, deve darne comunicazione al Consiglio Superiore della Magistratura. Oggetto dell’onere di comunicazione sono soltanto le situazioni nelle quali i magistrati parenti o affini, ovvero coniugi o stabili conviventi, facciano parte dello stesso ufficio o di diversi uffici giudiziari della stessa sede. In tale ultimo caso occorre evidenziare, con la comunicazione, se sussistano le condizioni di interferenza funzionale tra i diversi uffici, secondo la previsione di cui al punto n. 35 della presente circolare. In ogni caso il magistrato ha facoltà di comunicazione di situazioni da lui ritenute assimilabili a quelle disciplinate dalla presente circolare, per sottoporle alle valutazioni del Consiglio Superiore della Magistratura.
45. (Momenti temporali dell’obbligo di dichiarazione). Il magistrato è tenuto a rendere le dichiarazioni di cui ai punti nn. 43. e 44. della presente circolare:
a) da uditore giudiziario, al momento in cui indica la sede di preferenza nell’ambito della procedura di prima assegnazione;
b) da magistrato in servizio presso gli uffici giudiziari, al momento in cui presenta una domanda di tramutamento, per qualsivoglia sede o ufficio, o di conferimento di incarico semidirettivo o direttivo;
c) da magistrato fuori ruolo al momento in cui è invitato alle indicazioni di preferenza per una delle sedi disponibili nell’ambito della procedura eventualmente officiosa di ricollocazione in ruolo;
d) in ogni altro caso in cui occorre procedere d’ufficio alla riassegnazione di una sede ed il magistrato interessato è invitato ad indicare l’ordine di preferenza tra le sedi disponibili;
e) nel termine di sessanta giorni dalla verificazione dell’evento da segnalare, in caso di sopravvenienza di una situazione rilevante nella sede giudiziaria in cui opera, oppure in caso in cui intervengano modifiche a quanto già comunicato;
f) ogniqualvolta il Consiglio Superiore della Magistratura disponga un censimento generale delle possibili situazioni di incompatibilità. In tale ultimo caso, la dichiarazione deve essere resa da tutti i magistrati in servizio anche per situazioni negative, nel termine indicato dalla delibera relativa al censimento. La dichiarazione di cui al comma precedente deve essere redatta sul modulo informatico, per essere inviata, attraverso la rete INTRANET, al sito del Consiglio Superiore della Magistratura (www.cosmag.it), utilizzando l’accesso personale del magistrato oppure per mezzo della segreteria che utilizzerà il programma informatico Valeri@, secondo le istruzioni contenute nella relazione illustrativa della presente circolare.
46. (Dichiarazione successiva all’assunzione delle funzioni nella sede e/o ufficio di destinazione). Dopo la presa di possesso nell’ufficio di destinazione, in esito alle procedure di assegnazione o trasferimento richiamate dalla lettera a) alla lettera d) del punto n. 45. della presente circolare, il magistrato (anche se abbia indicato la situazione al momento dell’avvio della procedura di trasferimento) ha l’obbligo di rendere una formale dichiarazione circa le situazioni di possibile rilevanza ai fini delle incompatibilità di sede per rapporti con professionisti o magistrati, da inviarsi tempestivamente, e comunque all’atto dell’inserimento nell’organizzazione tabellare dell’ufficio, al Consiglio Superiore della Magistratura. La dichiarazione di cui al comma precedente deve essere redatta sul modulo informatico, per essere inviata, attraverso la rete INTRANET, al sito del Consiglio Superiore della Magistratura (www.cosmag.it), utilizzando l’accesso personale del magistrato oppure per mezzo della segreteria che utilizzerà il programma informatico Valeri@, secondo le istruzioni contenute nella relazione illustrativa della presente circolare.
47. (Dovere di verità). Il magistrato ha l’obbligo di dichiarare il vero nelle comunicazioni circa le situazioni di possibile rilevanza ai fini dell’incompatibilità di sede per rapporti con professionisti o per rapporti con altri magistrati.
48. (Inadempimento all’obbligo di dichiarazione). L’inadempimento all’obbligo di invio tempestivo, nei momenti temporali indicati ai punti nn. 45 e 46 della presente circolare, della dichiarazione circa le situazioni di possibile rilevanza ai fini dell’incompatibilità di sede per rapporti con professionisti o per rapporti con altri magistrati, costituisce comportamento di rilevanza disciplinare .
49. (Doveri dei dirigenti degli uffici giudiziari). Il dirigente dell’ufficio giudiziario, nell’ambito del generale potere di sorveglianza, ha l’obbligo di dare tempestiva comunicazione al Consiglio Superiore della Magistratura di ogni situazione di possibile rilevanza ai fini dell’incompatibilità di sede per rapporti con professionisti o con magistrati, che riguardi un magistrato o più magistrati dell’ufficio. Il dirigente dell’ufficio giudiziario, in occasione dell’invio da parte dei magistrati delle comunicazioni di cui ai punti nn. 45 e 46, provvede ai seguenti adempimenti, utilizzando, secondo le istruzioni contenute nella relazione illustrativa della presentecircolare, il programma informatico Valeri@ per l’inoltro:
a) nel caso in cui il magistrato dichiari l’insussistenza di situazioni di incompatibilità, attesta la presa visione della dichiarazione, sempre che non abbia da formulare osservazioni in merito;
b) nel caso in cui il magistrato indichi situazioni rilevanti ai fini del giudizio di incompatibilità per rapporto con professionisti, verifica se l’attività dichiarata dal professionista interessi la sede giudiziaria in cui opera il magistrato. Se la sede giudiziaria è diversa, attesta la presa visione della dichiarazione, sempre che non abbia da formulare osservazioni in merito. Se invece la sede è la stessa, il dirigente dell’ufficio predispone una relazione con indicazione di specifici elementi di fatto a sua conoscenza, che siano utili alla valutazione, dando altresì comunicazione dei risultati di eventuali controlli interni, a tal fine disposti. La relazione specifica altresì se si sia fatto ricorso, per ovviare alla situazione di incompatibilità, ad accorgimenti organizzativi in deroga a quelli ordinari;
c) nel caso in cui il magistrato indichi situazioni rilevanti ai fini del giudizio di incompatibilità per rapporto con magistrati dello stesso ufficio o di uffici giudiziari diversi ma della stessa sede, secondo la previsione di cui al punto n. 42 della presente circolare, il dirigente dell’ufficio predispone una relazione con indicazione di specifici elementi di fatto a sua conoscenza, che siano utili alla valutazione, dando altresì comunicazione dei risultati di eventuali controlli interni, a tal fine disposti. La relazione specifica altresì se sia fatto ricorso, per ovviare alla situazione di incompatibilità, ad accorgimenti organizzativi in deroga a quelli ordinari. Le dette operazioni dovranno essere svolte dal dirigente dell’ufficio entro sessanta giorni dal momento della presentazione della dichiarazione.
50. (Adempimenti del Consiglio Giudiziario). Entro novanta giorni dall’invio della relazione del dirigente dell’ufficio mediante il programma informatico Valeri@, il Consiglio Giudiziario esprime un parere sulle situazioni dichiarate, potendo a tal fine chiedere ulteriori chiarimenti al magistrato o ai magistrati interessati ed al dirigente dell’ufficio a cui costoro appartengono.
Titolo II
Delibazione delle comunicazioni sulle situazioni di incompatibilità di
sede.
51. (Valutazione incidentale delle comunicazioni sulle situazioni di possibile rilevanza ai fini delle incompatibilità). La Commissione consiliare preposta alla fase istruttoria per l’assegnazione della nuova sede prende in esame le dichiarazioni, rese nelle ipotesi di cui dalla lettera a) alla lettera d) del punto n. 45 della presente circolare, ai soli fini delle decisioni sulla sede e/o l’ufficio di nuova assegnazione, provvedendo, se del caso, ad assumere ulteriori informazioni sul contenuto delle comunicazioni, ma senza che si producano effetti, preclusivi o vincolanti, sulle valutazioni da effettuarsi in concreto da parte del Consiglio Superiore della Magistratura dopo la destinazione tabellare del magistrato, una volta che sia stata disposta l’assegnazione della sede e/o dell’ufficio.
52. (Procedimento consiliare. Adempimenti della Commissione referente). Ricevuta la dichiarazione del magistrato, unitamente alla relazione del dirigente dell’ufficio ed al parere del Consiglio Giudiziario, la Commissione consiliare preposta alla fase istruttoria per le decisioni sulle situazioni di incompatibilità ex artt. 18 e 19 R. D. n. 12/1941, se non ritiene di proporre immediatamente l’archiviazione, dispone accertamenti, potendo richiedere informazioni al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, se la presunta incompatibilità abbia causa in rapporti con professionisti, e al dirigente dell’ufficio. La Commissione può inoltre acquisire documentazione e disporre audizioni dei soggetti in grado di riferire informazioni utili alla decisione. Gli accertamenti possono essere limitati alla preliminare interlocuzione, anche per iscritto, con il magistrato, o i magistrati, della cui posizione si tratta, o col dirigente dell’ufficio, per l’acquisizione di elementi di fatto ancor più specifici e per l’eventuale apprestamento della soluzione organizzativa più acconcia per l’eliminazione della situazione di incompatibilità, sì da evitare l’apertura del procedimento di trasferimento d’ufficio. In esito agli accertamenti, se non ritiene di proporre l’archiviazione, la Commissione delibera l’apertura del procedimento di trasferimento d’ufficio, inviando al magistrato interessato il relativo avviso, contenente:
a) l’indicazione degli elementi costitutivi della situazione di incompatibilità ed eventualmente di quelli impeditivi alla concessione della deroga in concreto ai sensi delle disposizioni di cui al punto n. 31 della presente circolare;
b) la fissazione della data per l’audizione;
c) l’avvertimento circa il diritto di farsi assistere nell’audizione da altro magistrato.
In esito alla audizione, ove non ritenga di svolgere ulteriori accertamenti, la Commissione provvede al deposito degli atti e ne dà contestualmente avviso al magistrato ed all’eventuale assistente, con l’avvertimento della facoltà di estrarne copia e di presentare memorie scritte entro un termine non superiore a venti giorni, a far data dalla ricezione dell’avviso di deposito. Scaduto l’indicato termine di venti giorni, la Commissione formula la proposta per l’assemblea plenaria; se la proposta è di trasferimento d’ufficio, è dato avviso al magistrato della data fissata per la seduta del Consiglio Superiore della Magistratura, con l’avvertimento della facoltà di essere sentito dall’assemblea o di inviare una memoria scritta.
Titolo III
Epiloghi della procedura di trasferimento
53. (Individuazione del magistrato da trasferire in caso di incompatibilità per rapporti tra magistrati). La proposta di trasferimento, in ipotesi di incompatibilità di sede per rapporti tra magistrati, anche nei casi analoghi di cui al titolo IV del Capo II della presente circolare, ha riguardo, se nessuno dei magistrati coinvolti ha proposto domanda di trasferimento nel corso della procedura, al magistrato che per ultimo ha assunto le funzioni presso la sede o l’ufficio o, se ciò è avvenuto in pari data, al magistrato con minore anzianità di ruolo. Nel caso in cui l’incompatibilità trova causa nel rapporto di coniugio o di stabile convivenza, la proposta individua il magistrato da trasferire, tenendo anche conto delle esigenze del nucleo familiare.
54. (Cause di sospensione della procedura di trasferimento). La procedura di trasferimento per incompatibilità di sede è sospesa se:
a) il magistrato interessato, dopo l’apertura del procedimento, chiede il trasferimento ad altra sede e/o ad altro ufficio;
b) il congiunto esercente la professione forense comunica la volontà di trasferire ad altra sede giudiziaria la principale attività professionale.
Nel caso di cui alla lettera a) del presente punto, la Commissione sospende la procedura sino alla decisione del Consiglio superiore della magistratura sulla domanda di trasferimento. Nel caso di cui alla lettera b) del presente punto, la Commissione può disporre accertamenti per verificare se l’impegno di trasferimento ad altra sede dell’attività professionale sia stato effettivamente ed esaustivamente realizzato.
55. (Definizione della procedura di trasferimento sospesa). La procedura di trasferimento sospesa è definita con archiviazione se la domanda di trasferimento, presentata dal magistrato nel corso della procedura, è accolta dall’Assemblea Plenaria del Consiglio Superiore della Magistratura.
La Commissione propone, inoltre, l’archiviazione della procedura nel caso in cui accerti l’effettivo ed adeguato trasferimento ad altra sede dell’attività professionale del congiunto esercente la professione forense. In tale ultima ipotesi, il dirigente dell’ufficio verifica che il trasferimento della principale attività professionale ad altra sede permanga nel tempo, dopo la decisione di archiviazione della procedura di trasferimento del magistrato. Nel caso in cui accerti che la situazione di incompatibilità è ripristinata e che il magistrato coinvolto non ne ha dato tempestiva segnalazione, provvede a darne comunicazione al Consiglio Superiore della Magistratura, informando contestualmente i titolari dell’azione disciplinare.
2) – 3/IC/2002 – Monitoraggio delle situazioni di potenziale incompatibilita’ rilevanti ai sensi degli artt. 18 e 19 Ordinamento Giudiziario e art. 2 Legge Guarentigie.
(relatore Dott. ARBASINO)
La Commissione,
Premesso che in data odierna è stata approvata nuova circolare in tema di incompatibilità di sede ex art. 18 e 19 O.G. nonché di situazioni analoghe rilevanti ex art. 2 L.G.
Premesso che è stato contestualmente elaborato un sistema di dichiarazione di tipo informatico con appositi moduli nella sezione relativa ai dati personali di ogni magistrato nel
sito intranet del Consiglio .
Rilevato che l’ultimo monitoraggio generale della situazione di potenziale incompatibilità è stato effettuato a seguito di delibera di questo Consiglio in data 18.12.1996.
Ritenuta la necessità, in considerazione della disciplina introdotta, del nuovo sistema di rilevamento, del tempo decorso dall’ultimo monitoraggio, di procedere a nuovo e generale censimento;
propone
di deliberare censimento generale delle situazioni di incompatibilità rilevanti ex art. 18 e 19 O.G. e situazioni analoghe secondo la disciplina e le modalità previste dalla nuova circolare in materia approvata in data odierna.
Invita tutti i Magistrati Ordinari a rendere la dichiarazione secondo i criteri e le modalità di circolare ed allegate istruzioni.
Indica il termine iniziale per la rilevazione nel 1°.2.2004 ed il termine finale nel 31.3.2004.

2) – 3/IC/2002 – Monitoraggio delle situazioni di potenziale incompatibilita’ rilevanti ai sensi degli artt. 18 e 19 Ordinamento Giudiziario e art. 2 Legge Guarentigie.
(relatore Dott. ARBASINO)
La Commissione,
Premesso che in data odierna è stata approvata nuova circolare in tema di incompatibilità di sede ex art. 18 e 19 O.G. nonché di situazioni analoghe rilevanti ex art. 2 L.G.
Premesso che è stato contestualmente elaborato un sistema di dichiarazione di tipo informatico con appositi moduli nella sezione relativa ai dati personali di ogni magistrato nel
sito intranet del Consiglio .
Rilevato che l’ultimo monitoraggio generale della situazione di potenziale incompatibilità è stato effettuato a seguito di delibera di questo Consiglio in data 18.12.1996.
Ritenuta la necessità, in considerazione della disciplina introdotta, del nuovo sistema di rilevamento, del tempo decorso dall’ultimo monitoraggio, di procedere a nuovo e generale censimento;
propone
di deliberare censimento generale delle situazioni di incompatibilità rilevanti ex art. 18 e 19 O.G. e situazioni analoghe secondo la disciplina e le modalità previste dalla nuova circolare in materia approvata in data odierna.
Invita tutti i Magistrati Ordinari a rendere la dichiarazione secondo i criteri e le modalità di circolare ed allegate istruzioni.
Indica il termine iniziale per la rilevazione nel 1°.2.2004 ed il termine finale nel 31.3.2004.

2) – 3/IC/2002 – Monitoraggio delle situazioni di potenziale incompatibilita’ rilevanti ai sensi degli artt. 18 e 19 Ordinamento Giudiziario e art. 2 Legge Guarentigie.
(relatore Dott. ARBASINO)
La Commissione,
Premesso che in data odierna è stata approvata nuova circolare in tema di incompatibilità di sede ex art. 18 e 19 O.G. nonché di situazioni analoghe rilevanti ex art. 2 L.G.
Premesso che è stato contestualmente elaborato un sistema di dichiarazione di tipo informatico con appositi moduli nella sezione relativa ai dati personali di ogni magistrato nel
sito intranet del Consiglio .
Rilevato che l’ultimo monitoraggio generale della situazione di potenziale incompatibilità è stato effettuato a seguito di delibera di questo Consiglio in data 18.12.1996.
Ritenuta la necessità, in considerazione della disciplina introdotta, del nuovo sistema di rilevamento, del tempo decorso dall’ultimo monitoraggio, di procedere a nuovo e generale censimento;
propone
di deliberare censimento generale delle situazioni di incompatibilità rilevanti ex art. 18 e 19 O.G. e situazioni analoghe secondo la disciplina e le modalità previste dalla nuova circolare in materia approvata in data odierna.
Invita tutti i Magistrati Ordinari a rendere la dichiarazione secondo i criteri e le modalità di circolare ed allegate istruzioni.
Indica il termine iniziale per la rilevazione nel 1°.2.2004 ed il termine finale nel 31.3.2004.

Redazione

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