Cimitero dei feti: sanzione del Garante privacy per Comune di Roma e l’AMA

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Nell’ottobre del 2020, la denuncia di una donna attraverso Facebook diede luce a un piccolo “scandalo” a cui per la verità si diede poca visibilità, ma che portò alla luce una realtà effettivamente poco conosciuta al grande pubblico, oltre ad interessare personalmente l’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali.

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Indice

1. Lo scandalo del “cimitero dei feti”


Dopo aver subito un aborto presso l’ospedale San Camillo di Roma, la donna scoprì per caso, al cimitero Flaminio della capitale, una tomba con una croce sulla quale era scritto il suo nome e la data dell’intervento con cui era avvenuta l’interruzione della gravidanza.
Questa sconvolgente scoperta portò la donna a comprendere cosa significhi veramente “smaltire secondo le normative vigenti” un feto abortito, e conseguentemente a denunciare sui social network l’accaduto.
Effettivamente, sul modulo del consenso informato per il trattamento sanitario, che viene fatto sottoscrivere alle donne che si sottopongono ad un intervento di interruzione di gravidanza, si parla di “smaltimento del prodotto del concepimento”, ma la donna dichiarò che alcuna spiegazione le venne mai fornita a riguardo ed in particolare che nessuno le precisò che lo “smaltimento” consistesse in una vera e propria sepoltura con rito religioso. La piccola tomba, tuttavia, non poteva portare il nome della persona ivi sepolta, trattandosi appunto di un feto, e dunque portava il nome della madre e della data dell’aborto.
Una violazione dei dati personali e della privacy di una persona così macroscopica non poteva passare inosservata agli occhi del Garante della Privacy, che infatti annunciò immediatamente l’apertura di un’istruttoria per fare chiarezza sulla conformità dei comportamenti adottati dagli enti pubblici coinvolti.

2. Le normative vigenti regolamentano la gestione dei feti


Secondo il regolamento della polizia mortuaria del 1990, all’articolo 7 sono previste diverse modalità di “smaltimento del prodotto del concepimento”.
Nel caso di un feto compreso tra le 20 e le 28 settimane di gestazione, non dichiarato morto, i permessi di trasporto e sepoltura sono rilasciati dall’unità sanitaria locale (ASL). Pertanto, l’ASL può occuparsi della sepoltura senza richiesta esplicita da parte dei genitori.
Viceversa, se i feti hanno meno di 20 settimane, la sepoltura è facoltativa e i parenti devono presentare una richiesta entro 24 ore dall’interruzione della gestazione. Se la richiesta non viene effettuata, i prodotti del concepimento vengono smaltiti attraverso la termodistruzione presso la struttura ospedaliera. Infine, se i feti hanno oltre le 28 settimane, in caso di aborto per qualsiasi causa essi vengono dichiarati “nati morti” e dunque si applicano le stesse regole previste per una persona nata, compreso l’obbligo di sepoltura stabilito direttamente dalla ASL, a meno di una richiesta esplicita da parte dei genitori di occuparsene personalmente.
Tuttavia, spesso i genitori non sono consapevoli delle opzioni a loro disposizione, poiché tali informazioni non sono incluse nei moduli di consenso informato o sono scritte in maniera poco chiara, anche tenendo conto del momento di particolare stress e sofferenza psicologica in cui i genitori sono chiamati a prendere questa decisione.
Nella zona grigia lasciata dalla legge, quindi, ci sarebbero associazioni che, in forza di convenzioni stipulate con le strutture ospedaliere e le ASL, si occuperebbero delle procedure di seppellimento dei feti con meno di 20 settimane di gestazione.


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3. L’intervento del Garante


L’episodio di grave violazione della privacy della donna coinvolta nella sepoltura del feto a sua insaputa non è piaciuto al Garante della Privacy, che dopo aver avviato un procedimento istruttorio, è arrivato, il 22 giugno 2023, a sanzionare per 176 mila euro la città di Roma e per 239 mila euro Ama, la società a cui è affidata la gestione dei servizi cimiteriali della capitale, per aver ottenuto e diffuso senza consenso i dati delle donne che hanno affrontato un’interruzione di gravidanza, esponendoli pubblicamente sulle sepolture dei feti.
Dall’indagine condotta, è emerso che la diffusione illecita di informazioni è stata causata da una comunicazione dei dati, in violazione del principio di minimizzazione.
Nello specifico, l’Azienda sanitaria locale RM 1 aveva inviato al servizio cimiteriale una documentazione contenente tutti i dati identificativi delle donne. Queste informazioni sono state successivamente registrate nei registri cimiteriali, consentendo potenzialmente l’accesso a un elenco di coloro che hanno avuto un’interruzione di gravidanza presso tutte le strutture ospedaliere del territorio.
Inoltre, tali informazioni sono state riportate sulle croci, nonostante la normativa specifica preveda che le informazioni da indicare siano riferite al defunto, e non alle donne che hanno avuto un’interruzione di gravidanza.
Oltre a comminare una sanzione nei confronti di Roma Capitale e dell’azienda di gestione dei servizi ambientali (AMA), il Garante ha emesso un’ordinanza all’Azienda sanitaria locale, richiedendo che non vengano più riportate le generalità delle persone “in chiaro” sulle autorizzazioni al trasporto e alla sepoltura, così come sui certificati medico-legali.
Nel provvedimento, l’Autorità ha inoltre fornito alla Asl un elenco di misure tecniche e organizzative da adottare. Queste misure comprendono l’oscuramento dei dati identificativi delle donne, la pseudonimizzazione o la cifratura dei dati. L’obiettivo è garantire la possibilità di individuare con precisione il prodotto del concepimento e il luogo di sepoltura, senza tuttavia consentire un accesso diretto all’identità della donna coinvolta.
Nel rispetto del principio di responsabilizzazione (accountability) spetta ora all’Azienda sanitaria locale scegliere e attuare tali misure, e comunicarle al Garante entro un periodo di 60 giorni.
L’episodio in questione ci conferma, una volta di più e se ce ne fosse veramente ancora bisogno, che il rispetto e la tutela dei dati personali non è solo una questione di conformità legale, ma rappresenta un elemento centrale per la costruzione di una società basata sul rispetto reciproco e sulla protezione dei diritti umani. È responsabilità di tutti, dalle istituzioni alle organizzazioni coinvolte, garantire che i dati personali vengano trattati con la massima cautela e nel rispetto della legge.
La consapevolezza e l’educazione sulla privacy e sulla gestione dei dati personali sono essenziali per evitare abusi e violazioni. Le normative e i meccanismi di controllo devono essere rafforzati per prevenire situazioni simili e assicurare che i diritti fondamentali delle persone siano protetti in ogni contesto.
Il caso del cimitero dei feti di Roma Flaminio ci ricorda l’importanza di una vigilanza costante e di una legislazione adeguata per garantire la riservatezza e la protezione dei dati personali, in particolare in situazioni delicate e sensibili.
La tutela della privacy non è solo un diritto, ma un valore fondamentale che contribuisce alla costruzione di una società giusta, inclusiva e rispettosa della dignità umana.

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Pier Paolo Muià | 2018

Avv. Luisa Di Giacomo

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