Causa ostativa preesistente e revoca dell’indulto

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In materia di indulto, il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio sulla base della considerazione di una causa ostativa preesistente al riconoscimento del condono, a condizione che la stessa non sia stata nota al giudice concedente e non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest’ultimo.
Corte di Cassazione –Sez. I Pen.– sentenza n. 369 del 09-01-2023

Indice

1. La questione

La Corte di Appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, revocava un beneficio dell’indulto concesso ex d.P.R. n. 394 del 1990.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato ricorreva per Cassazione il difensore del condannato che, a sua volta, ne chiedeva l’annullamento, denunciando violazione di legge, in riferimento all’art. 172 cod. pen., perché la sentenza che, secondo il giudice dell’esecuzione, avrebbe costituito la causa di revoca dell’indulto, non rientrava tra quelle previste dal d.P.R. n. 394 del 1990, tanto è vero che la revoca del beneficio era stata richiesta dal Procuratore generale della Corte di Appello di Roma in relazione ad una sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in data 23 marzo 1995, e divenuta irrevocabile, per taluni reati commessi nel mese di 24 ottobre del 1994.
Tal che se ne faceva conseguire che, in ragione della data di irrevocabilità di tale ultima condanna, che costituiva la causa di revocabilità dell’indulto, non poteva che concludersi, ad avviso della difesa, per l’estinzione della pena per decorso del termine decennale.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto fondato.
In particolare, gli Ermellini, in punto di diritto, rilevavano, fermo restando che «ai fini della revoca dell’indulto, conseguente, a norma dell’art. 4 D.P.R. 22 dicembre 1990 n. 394, alla commissione di un delitto non colposo nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore del citato decreto, è sufficiente che il reato che vi dà causa sia stato commesso entro detto termine, non richiedendosi anche che, prima della sua scadenza, sia divenuta irrevocabile la relativa sentenza di condanna» (Sez. 1, n. 23293 del 04/04/2001; Sez. 1, n. 1848 del 09/12/2008), come fosse necessario ricordare che, se la commissione del successivo reato costituisce causa di revoca del beneficio, il medesimo fatto opera anche quale causa ostativa che impedisce la concessione del beneficio, tenuto conto altresì del fatto che, avuto riguardo alla “stabilità processuale” dei provvedimenti di concessione dell’indulto (Sez. 1, n. 40127 del 14/04/2011), non è sufficiente rilevare che esso sia stato erroneamente concesso, ma occorre piuttosto verificare che la causa ostativa non risulti dal fascicolo del giudice che ha provveduto alla sua applicazione (Sez. 1, n. 32857 del 12/06/2014), essendosi, in effetti, precisato che, «in materia di indulto, il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio sulla base della considerazione di una causa ostativa preesistente al riconoscimento del condono, a condizione che la stessa non sia stata nota al giudice concedente e non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest’ultimo» (Sez. 1, n. 33916 del 07/07/2015).
Orbene, alla luce di siffatto quadro ermeneutico, i giudici di piazza Cavour ritenevano come l’ordinanza impugnata avesse erroneamente disposto la revoca del beneficio dell’indulto in reazione a una condanna per un delitto successivamente commesso, che non rientrava nelle ipotesi previste dal richiamato d.P.R. n. 394 del 1990, e, pertanto, essa doveva essere annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione perché procedesse a nuovo giudizio verificando, anche mediante l’acquisizione del fascicolo dell’esecuzione relativo al provvedimento del Tribunale di Tempio Pausania (che aveva applicato l’indulto nel caso di specie), la conoscenza della causa ostativa costituita dalla sentenza del Tribunale di Roma emessa nel mese di marzo del 1995 poiché, diversamente, a loro avviso, l’erronea concessione del beneficio non era revocabile, indipendentemente dalla questione relativa alla estinzione della pena per decorso del tempo posto che tale questione avrebbe dovuto essere esaminata solo nel caso in cui fosse stata superata la pregiudiziale questione della revocabilità dell’indulto.

3. Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, quando una causa ostativa preesistente al riconoscimento dell’indulto è in grado di revocarlo.
Si afferma difatti in tale pronuncia che, in materia di indulto, il giudice dell’esecuzione può revocare il beneficio sulla base della considerazione di una causa ostativa preesistente al riconoscimento del condono, a condizione che la stessa non sia stata nota al giudice concedente e non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest’ultimo.
Quindi, una causa ostativa può ritenersi in grado di potere determinare la revoca di questa causa di estinzione della pena solo se essa: a) non sia stata nota al giudice concedente; b) non abbia costituito oggetto di valutazione, anche implicita, da parte di quest’ultimo.
Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare se una causa ostativa per il riconoscimento dell’indulto, o per la sua revoca, sia effettivamente in grado di potere rilevare sia nell’uno, che nell’altro caso.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, pertanto, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
 
 

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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