La revoca dell’indulto “libera” il PM in fase di esecuzione (Cass. pen. n. 25042/2012)

Redazione 22/06/12
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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza dell’1 giugno 2011, il G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta, in funzione di giudice della esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da F.A., volta alla correzione del provvedimento emesso dai Pubblico Ministero, che, senza adire il Giudice dell’esecuzione, aveva tenuto conto della già intervenuta revoca dell’indulto, applicato in relazione alla pena inflitta con la sentenza del 18 ottobre 1990 della Corte d’appello di Caltanissetta, irrevocabile il 2 maggio 1991, rilevando che detta sentenza non era compresa nel provvedimento di applicazione della disciplina del reato continuato emesso dallo stesso giudice il 25 ottobre 2010 e che, pertanto, il Pubblico Ministero poteva dare atto della sussistenza di un provvedimento di revoca dell’indulto e tener conto della relativa pena senza necessità di ricorrere a incidente di esecuzione.

Con la stessa ordinanza è stata rigettata anche la richiesta avanzata dallo stesso F. di rideterminazione della pena, di cui alla sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 30 gennaio 2007 (indicata nel provvedimento di applicazione della disciplina del reato continuato della stessa Corte del 13 ottobre 2009, che aveva determinato la pena, poi indicata quale pena base nel successivo provvedimento detto stesso Giudice dell’esecuzione del 25 ottobre 2010), per non essersi tenuto conto dell’avvenuta celebrazione del giudizio con rito abbreviato e della necessaria applicazione della riduzione connessa al rito, rilevandosi che nel provvedimento del 13 ottobre 2009 non era indicato se l’aumento determinato teneva conto o meno della riduzione del rito e la chiesta nuova determinazione comportava l’esame del merito e non la correzione di errore materiale, da farsi valere nel giudizio di impugnazione, invece non proposto.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione F.A., che ne chiede l’annullamento sulla base di due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione, al sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 674 c.p.p., deducendo, con richiami giurisprudenziali, che la competenza alla revoca dell’indulto appartiene al Giudice della esecuzione, che vi provvede con le garanzie del contraddittorio, e non al Pubblico Ministero, che cura solo l’esecuzione del provvedimento.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio della motivazione, al sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e). In relazione agli artt. 81 cod. pen., artt. 442 e 130 c.p.p., rappresentando che il Giudice ha omesso di rilevare il mero errore materiale di determinazione dell’aumento di pena in anno uno e mesi nove, pari a quella irrogata in sede di cognizione e chiaramente non ridotta per il rito.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

4. Il ricorrente ha depositando il 14 novembre 2011 motivi aggiunti e memoria difensiva, reiterando le proprie richiese e contestando la fondatezza delle conclusioni assunte dal Procuratore Generale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. La censura svolta con il primo motivo attiene alla dedotta illegittimità dell’ordinanza che non ha rilevato, rigettando la richiesta difensiva, che il provvedimento di revoca dell’indulto doveva essere disposto dal Giudice della esecuzione ai sensi dell’art. 674 cod. proc pen., e non poteva essere revocato, senza ricorrere ad incidente di esecuzione, dal Pubblico Ministero, deputato solo a curare l’esecuzione del provvedimento.

Si tratta di una doglianza che trascura sia le emergenze del provvedimento di rideterminazione della pena emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta l’1 febbraio 2011, sia le risposte date alla originaria richiesta dal Giudice della esecuzione.

Risulta, infatti, dall’indicato provvedimento che l’indulto applicato, con ordinanza del Tribunale di Gela del 12 settembre 1991, in relazione alla pena inflitta con la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Caltanissetta del 18 ottobre 1990, irrevocabile il 2 maggio 1991, riportata sub 3), è stato revocato per l’intero con ordinanza del 14 ottobre 1997 del Tribunale di Bologna, e di tale revoca è dato atto anche nel riepilogo finale del “benefici nel tempo revocati”.

L’ordinanza, che ha rilevato la sussistenza di detto provvedimento di revoca e l’estraneità della sentenza, cui il medesimo era riferito, dal provvedimento del 25 ottobre 2010 di applicazione della disciplina della disciplina del reato continuato, ha coerentemente affermato che, contrariamente alla deduzione difensiva, il Pubblico Ministero poteva, senza dover ricorrere a incidente di esecuzione, dare atto della sussistenza dell’indicato provvedimento di revoca, già a suo tempo disposto.

A fronte di tali emergente logicamente ricostruite, le deduzioni dei ricorrente sono del tutto generiche, e pertanto inammissibili, sia perchè insistono sulla necessità dell’incidente di esecuzione per la revoca di un condono già ritualmente disposta in sede esecutiva, sfa perchè omettono di correlarsi, anche attraverso il richiamo a principi giurisprudenziali, alle ragioni argomentate della ordinanza impugnate, che ignorano.

3. Del tutto infondato è il secondo motivo, che attiene al dedotto errore materiale incorso nel provvedimento del 25 ottobre 2010 che, nell’applicare la disciplina del reato continuato ricomprendendo anche i reati di cui alla sentenza del 30 gennaio 2007 della Corte d’appello di Caltanissetta, definitiva il 18 marzo 2006, ha applicato la stessa pena inflitta nel giudizio di cognizione pari ad anni uno e mesi nove di reclusione senza operare la dovuta riduzione per il rito abbreviato.

Il Giudice della esecuzione ha ragionevolmente rilevato con l’ordinanza impugnate, ricostruendo i dati fattuali a sua deposizione, che la sentenza del 30 gennaio 2007 è compresa nel provvedimento di applicazione della disciplina del reato continuato del 13 ottobre 2009 della Corte d’Appello di Caltanissetta, con il quale era state applicata a titolo di aumento per il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12-quinqiues giudicato con la predetta sentenza, la pena di anno uno e mesi nove di reclusione senza precisare se si era tenuto conto della riduzione per il rito abbreviato, ed ha aggiunto che la pena indicata nel predetto provvedimento, non oggetto di impugnazione, è state assunta da esso stesso, quale Giudice della esecuzione, come pena base nel provvedimento di determinazione pena del 25 ottobre 2010.

Appare evidente, alla luce di detta articolate ricostruzione fattuale, che la censura non attiene a un calcolo errato ma investe presunte erronee modalità di computo della pena in successivi provvedimenti giudiziali, la sentenza prima e due ordinanze rese in sede esecutiva dopo, da far valere, ricorrendone le condizioni, con i mezzi di impugnazione agli stessi relativi, e non attraverso aspecifiche deduzioni, la cui stessa prospettazione come errore di calcolo e/o come fatto nuovo ne tradisce l’incerto e non chiarito fondamento.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenute congrua, di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, al sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Redazione