Carta d’identità di un minore, va indicato “genitore” e non “padre” e “madre”

I termini “padre” e “madre” sulla carta d’identità elettronica risultano discriminatori in quanto non rappresentano le coppie same sex.

Allegati

I termini “padre” e “madre” sulla carta d’identità elettronica risultano discriminatori in quanto non rappresentano le coppie same sex che hanno fatto ricorso all’adozione in casi particolari. La dicitura corretta è “genitore”. Lo ha stabilito la I Sezione Civile della Corte di cassazione nella Sentenza 8 aprile 2025, n. 9216. Per un approfondimento sul tema, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali. 

Corte di Cassazione -sez. I civ.- Sentenza n. 9216 dell’8-04-2025

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Indice

1. La dicitura per la Carta d’identità del minore che ha beneficiato dell’adozione in casi particolari


Il Tribunale aveva ordinato al Ministero dell’Interno, previa disapplicazione per illegittimità del d.m. 31 gennaio 2019, di indicare sulla carta d’identità elettronica di un minore la dicitura “genitore” o, in alternativa, “padre/genitore madre/genitore” in corrispondenza dei nomi di due donne. La Corte distrettuale, a seguito dell’appello del Ministero dell’Interno, concordava con le appellate, laddove ricordavano che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di legittimità anche l’adozione del minore in casi particolari produceva effetti pieni e faceva nascere relazioni di parentela coi familiari dell’adottante, cosicché non era possibile stabilire delle regole in base alle quali sulla carta di identità potessero essere indicati dati personali difformi dalle risultanze dei registri da cui quei dati erano estratti. Osservava che l’effetto finale, irragionevole e discriminatorio, dell’assunto del Ministero sarebbe stato quello di precludere al minore di ottenere una carta d’identità valida per l’espatrio, per le deficitarie caratteristiche della stessa, solo perché questi era figlio naturale di un genitore naturale e di uno adottivo dello stesso sesso. Evidenziava che l’esistenza di istituti come l’adozione in casi particolari, che poteva dar luogo alla presenza di due genitori dello stesso sesso (l’uno naturale, l’altro adottivo), dimostrava che le diciture previste dai modelli ministeriali (padre/madre) non erano rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione. Rigettava, quindi, l’appello principale presentato dal Viminale ordinando allo stesso, in accoglimento dell’appello incidentale, di indicare sulla CIE del minore, in corrispondenza dei nomi delle due donne, la qualità di “genitore” o altra dizione corrispondente alle risultanze dello stato civile. Il Ministero ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, che è stato respinto. Per un approfondimento sul tema, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali. 

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2. La discriminazione di alcune tipologie di nuclei familiari


La Cassazione ha avallato le opzioni della Corte distrettuale, la quale aveva evidenziato che le diciture previste dai modelli ministeriali e imposte dal d.m. contestato non erano rappresentative di tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari e pregiudicavano il diritto del minore di ottenere una CIE rappresentativa della sua peculiare situazione familiare. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha riconosciuto, rispetto a una coppia omoaffettiva femminile, che l’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), L. 184/1983 si presta a realizzare appieno il preminente interesse del minore alla creazione di legami parentali con la famiglia del genitore adottivo, senza che siano esclusi quelli con la famiglia del genitore biologico, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 79/2022. La Corte d’Appello, a fronte di una sentenza di adozione che riconosceva alla partner della madre naturale la condizione di madre adottiva, non poteva che addivenire alla disapplicazione del d.m. 31 gennaio 2019. Difatti, l’art. 3, comma 5, T.U.L.P.S., stabilisce che “la carta di identità valida per l’espatrio rilasciata ai minori di età inferiore agli anni quattordici può riportare, a richiesta, il nome dei genitori o di chi ne fa le veci. L’uso della carta d’identità ai fini dell’espatrio dei minori di anni quattordici è subordinato alla condizione che essi viaggino in compagnia di uno dei genitori o di chi ne fa le veci, o che venga menzionato, in una dichiarazione rilasciata da chi può dare l’assenso o l’autorizzazione, il nome della persona, dell’ente o della compagnia di trasporto a cui i minori medesimi sono affidati”. Il tenore di un d.m. che prevedeva che la parola “genitori” fosse sostituita dalle parole “madre e padre” sul verso del documento di identità non solo contrastava con lo specifico contenuto della disposizione di legge, che si riferisce ai “genitori” come soggetti richiedenti il rilascio della carta d’identità e presenti assieme al minore durante il viaggio all’estero, ma astringeva anche il diritto di ciascun genitore di veder riportata sulla carta di identità del figlio minore il proprio nome, in quanto consentiva un’indicazione appropriata solamente per una delle due madri ed imponeva all’altra di veder classificata la propria relazione di parentela secondo una modalità (“padre”) non consona al suo genere. In una simile situazione il d.m. che impediva di dare adeguata rappresentazione alla realtà giuridica familiare venutasi a creare a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di adozione, quand’anche avesse rivestito natura di regolamento di attuazione (art. 17, comma 1, lett. b), L. 400/1988) piuttosto che di provvedimento amministrativo di carattere generale, doveva comunque essere disapplicato, ai sensi dell’art. 4, comma 1, preleggi, in quanto conteneva una norma contraria all’art. 3, comma 5, r.d. 773/1931.

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3. La questione non riguardava lo stato civile


La Corte d’Appello aveva premesso che la fattispecie non concerneva una questione di stato civile, bensì il mancato rilascio della CIE valida per l’espatrio del minore per l’ostacolo tecnico della dicitura padre/madre essendo lo stesso figlio naturale di una donna e figlio adottivo di un’altra donna. In seguito, nel condividere la deduzione della parte appellata, ha riportato un passo di una sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (n. 38162/2022) ove si spiega che “in seguito alla sentenza n. 79 del 2022 della Corte costituzionale, anche l’adozione del minore in casi particolari produce effetti pieni e fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante. Al pari dell’adozione “ordinaria” del minore di cui agli artt. 6 e ss. della legge n. 184/1983, l’adozione in casi particolari non si limita a costituire il rapporto di filiazione con l’adottante, ma fa entrare l’adottato nella famiglia dell’adottante. L’adottato acquista lo stato di figlio dell’adottante”. Infine, ha sottolineato che il tenore della contestazione mossa al Viminale nell’ambito del giudizio era costituito dalla “possibilità di stabilire delle regole in base alle quali sulla carta di identità (potessero) essere indicati dati personali difformi dalle risultanze dei registri da cui quei dati (erano stati) estratti”. Dunque la fattispecie non concerneva una questione di stato civile ma una quaestio facti divenuta incontestabile in sede di legittimità, e la Corte di Appello non ha violato le norme vigenti né ha affatto inteso scardinare il concetto di bigenitorialità padre/madre bensì, al contrario, ha preso atto delle reali circostanze invocate dalle parti, disponendo la corretta indicazione dei dati corrispondenti alle figure genitoriali nel rilascio della CIE (carta di identità elettronica) per il minore.

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Avv. Biarella Laura

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