B. Mastropietro, procreazione assistita: limiti e contraddizioni di una legge al vaglio dei referendum

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Sommario: 1.- Il dibattito in materia di procreazione medicalmente assistita. 2.-Le sentenze della Corte Costituzionale in tema di ammissibilità dei referendum. 3.- Le disposizioni più discusse della legge 40/2004: l’art.1, comma 1. Il problema della soggettività del concepito e la tutela della vita prenatale. 4.- Segue. Art. 1, comma 2. Il divieto di accesso alle tecniche di PMA per le coppie fertili, portatrici di malattie genetiche. 5.- I limiti ed i divieti nell’applicazione delle tecniche di PMA omologa. 6.- Il presunto divieto di diagnosi pre-impianto. 7.- Il divieto di fecondazione eterologa. 8.-Il problema della “ricerca” sugli embrioni umani. 9.- Osservazioni conclusive.

1.- La discussione accesa, sviluppatasi negli ultimi tempi in tema di procreazione medicalmente assistita, dimostra che oggi, come spesso è accaduto nel passato, il nostro modello etico-culturale fa fatica ad accettare i progressi della tecnica e della genetica e a confrontarsi con i nuovi orizzonti scientifici. 1

In una materia in cui è difficile separare il giudizio tecnico dall’ideologia, il rischio del giurista che si avvicini a questa tematica è quello di abbandonarsi a considerazioni “metagiuridiche”, spesso di stampo ideologico.

D’altro canto, da più parti si è sottolineata la connotazione ideologica della stessa legge sulla procreazione assistita, l. 19 febbraio 2004, n.40, resa evidente dall’enunciazione all’interno del testo normativo, e precisamente all’art.1 della legge, delle motivazioni socio-politiche delle scelte compiute, nonché dalla declamazione iniziale sulla tutela della vita prenatale, che passa attraverso la ipotetica soggettivazione del concepito.2

In tal senso la legge è stata definita “paradigma” di alcuni dei vizi tipici della recente tecnica legislativa .3

Autorevolmente si è domandato se “ad una disciplina lacunosa e contraddittoria, oltre che dominata dall’ideologia, non sia preferibile il vuoto normativo”. 4

Questa posizione “estrema” non può essere condivisa, anche se chi l’ha sostenuta ha sottolineato che la mancanza di una disciplina analitica in questa materia non determinerebbe un “vuoto”, grazie alla preziosa supplenza esercitata, da un lato dai giudici e dall’altro dai codici deontologici della professione medica.

Invero la procreazione medicalmente assistita e l’attività di ricerca presentano innegabili implicazioni con una molteplicità di valori quali la vita umana, la libertà di autodeterminazione nelle scelte procreative, la famiglia, la salute, la libertà e la promozione della ricerca scientifica e compito ineludibile del legislatore è proprio quello di comporre i diversi valori in gioco, assicurando un livello minimo di tutela legislativa. Si comprende, allora, che la legge non può non esistere perché essa è volta a garantire, tra i molteplici interessi in gioco, quello alla vita (in tal caso dell’embrione), costituzionalmente rilevante ex art.2 Cost.

In tal senso si è espressa la Corte Costituzionale, anche recentemente (Corte cost. 31 gennaio 2005, n.45), qualificando la legge sulla fecondazione assistita come una legge “costituzionalmente necessaria”.

Ciò detto, considerata la complessità del quadro dei valori di riferimento e la impossibilità di stabilire in termini assoluti una gerarchia di tali valori, non è affatto semplice desumere quali siano le scelte legislative in materia di procreazione assistita “conformi a Costituzione”5.

Non può non registrarsi, con un certo senso di delusione, come il legislatore abbia “approfittato” per inserire nel testo normativo scelte di carattere schiettamente ideologico ed opzioni di principio.

E’ pur vero, però, che, proprio perché non esiste in termini assoluti una gerarchia dei valori costituzionali , si deve far ricorso alla c.d. “tecnica di bilanciamento”, quale criterio di composizione che consente di stabilire, con riferimento a determinate fattispecie, se un certo valore sia prevalente o recessivo rispetto ad un altro valore, dovendo, in tal ultimo caso, essere limitato, in ragione della salvaguardia del principio costituzionale con esso configgente.

È il corretto bilanciamento dei contrapposti interessi la “spia” della ragionevolezza ed, in ultima analisi, della costituzionalità (art. 3 Cost.) di una legge.

Ragionando in termini tecnici, non vi è dubbio che il principio enunciato trent’anni fa dalla stessa Corte Costituzionale in materia di aborto secondo cui “ non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute propria di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare” ( sent. n.27/1975, qualificata “basilare” nella successiva sent. n.35/1997) costituisce punto di riferimento indiscutibile su come operare il bilanciamento, anche in materia di procreazione medicalmente assistita.

In questo quadro già così complesso non si può non tener conto, altresì, del “principio di precauzione”.6

A tal proposito occorre fare, però, due importanti precisazioni.

La prima è che ad oggi è ancora aperto il dibattito sul contenuto di tale principio di cui manca, ferma restando la sua fondatezza giuridica, una accezione pienamente condivisa.7 In mancanza di una nozione certa, tale principio va inteso seguendo la definizione giurisprudenziale proposta dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea, secondo cui, in presenza di un’incertezza scientifica sulle conseguenze negative di un’attività o di una tecnica, quest’ultime non possono né essere proibite, né essere limitate al di sotto del livello per il quale i rischi sono stati accettati o previsti, ma devono poter ricevere una regolazione giuridica.8

In altri termini, il “principio di precauzione”, così inteso, si limita a sancire la necessità che un’attività come la procreazione assistita o la sperimentazione sugli embrioni debba essere regolata, ma non anche che la sua regolamentazione debba avere “un certo contenuto” 9.

La seconda precisazione, in ordine logico, desumibile chiaramente dalla stessa giurisprudenza comunitaria, è che, poiché il principio di precauzione va applicato insieme al principio di proporzionalità, tale regolamentazione precauzionale (cioè la fissazione di misure protettive all’interno della regolamentazione) deve essere sufficiente a raggiungere lo scopo prefissato, ma non eccessiva rispetto a questo.10

Le osservazioni che seguono costituiscono delle riflessioni su alcuni punti della disciplina in materia di procreazione assistita, in particolar modo su quelli oggetto dei quattro quesiti referendari dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale.

 

2.- Come è noto, con le cinque sentenze n.45, 46, 47, 48, 49 , depositate in data 31 gennaio 2005, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum sulla abrogazione totale della L..40/2004, mentre ha dichiarato ammissibili i quattro referendum per l’abrogazione di alcune disposizioni della stessa legge.

La decisione della Corte nel suo complesso è una decisione equilibrata e può essere condivisa.

Nella motivazione della sentenza n.45 si afferma, infatti, che la normativa della L.40/2004 è “costituzionalmente necessaria” nel senso che coinvolge una pluralità di rilevanti interessi, di cui assicura un livello minimo di tutela legislativa, e per questo non può essere semplicemente abrogata (pena la eliminazione di quella tutela), ma può essere modificata o sostituita con un’altra disciplina.11

La Corte non ha mancato di sottolineare, nel riportare gli orientamenti giurisprudenziali che hanno definito e precisato la portata delle leggi costituzionalmente vincolate, l’opzione per un inquadramento formale della categoria, non mancando di precisare che il “vincolo costituzionale di una legge (e quindi anche di questa legge) possa rinvenirsi solo in alcune parti di una normativa o anche nel semplice fatto che una disciplina legislativa comunque sussista”.

Coerentemente con questa impostazione, la Corte ha ammesso i referendum “parziali” volti ad abrogare alcuni punti della legge, perché evidentemente ha ritenuto che le disposizioni di legge oggetto del quesito non rientrino nel contenuto costituzionalmente necessario. In altri termini, se è indubbio che la legge 40 del 2004 è una legge costituzionalmente necessaria nel senso precedentemente chiarito, evidentemente il livello minimo di tutela da essa garantito non “passa” attraverso quelle disposizioni ammesse al referendum abrogativo12.

Al contrario, da più parti è stato fatto rilevare come molte delle disposizioni oggetto di referendum abrogativo si traducono in limitazioni, divieti, sanzioni che, lungi dall’operare un bilanciamento ragionevole degli interessi coinvolti, comportano -in nome di una tutela spesso ineffettiva della vita- un sacrificio sproporzionato ed ingiustificato dei diritti fondamentali delle persone coinvolte (diritto alla salute, libertà di procreazione), così da sollevare dubbi di costituzionalità.13

 

3.- A questo punto sembra doveroso tentare qualche riflessione e valutazione sulla portata della normativa in questione.

Gioverà ricordare, a tal proposito, che molte delle disposizioni qualificanti l’odierna disciplina sulla procreazione assistita che ci si accinge ad analizzare sono proprio quelle che hanno suscitato più clamore e sulle quali si è chiamati ad esprimersi con i referendum popolari.

Il primo dei quattro quesiti di cui si tratta è espressione di uno schieramento trasversale, che raccoglie esponenti delle più diverse forze politiche, ed ha ad oggetto l’abrogazione in tutto o in parte degli artt.1, 4, 5, 6, 13 e 14 della legge.

Il quesito analogo, sottoscritto da uno schieramento più limitato, riproduce le stesse richieste del primo, con l’unica ed importante differenza di chiedere l’ eliminazione di tutto l’articolo 1.14

L’art.1 della legge 40, come si è già accennato, è un articolo mal scritto, che unisce enunciazioni di carattere ideologico a vizi di tecnica legislativa.

In particolar modo, la tutela della vita prenatale è oggetto di una declamazione iniziale in cui si afferma che “la legge…assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”, con un “apparente” riconoscimento della soggettività del concepito.

Resta da chiedersi se si tratti di una mera affermazione programmatica, senza un valore tecnico-giuridico, posta all’inizio di una legge che ha come finalità teorica la tutela della vita prenatale o se si tratti, invece, di un tentativo di “superare” le regole sulla qualificazione giuridica dei soggetti di diritto, attribuendo la capacità giuridica anche al concepito.

Quest’ultima ipotesi va respinta di fronte all’evidenza del dato positivo secondo cui il soggetto di diritto rimanda alla nozione di capacità giuridica che si acquista solo con la nascita (art. 1, comma 1° c.c.). Pertanto, poiché capacità giuridica e soggettività non possono scindersi, al non nato (sia embrione che concepito), difettando egli della capacità, non può essere attribuita la qualità di soggetto.15

In realtà, il vero motivo per cui non sembra possibile riconoscere la soggettività e quindi la titolarità di diritti soggettivi al nascituro è che tale riconoscimento risulta incompatibile con l’assenza di autonomia e con l’immedesimazione ed interdipendenza del concepito con il corpo materno, di cui è parte.

Ben si è osservato che il riconoscimento della capacità e quindi della soggettività del concepito, con conseguente attribuzione a quest’ultimo di diritti soggettivi, porterebbe ad un inevitabile ed insanabile conflitto con la madre, portatrice di interessi propri e spesso in contrasto con quelli del nascituro. 16

Ragionando, poi, in termini di tutela dei diritti soggettivi del concepito, si potrebbe arrivare ad imporre alla madre divieti e comportamenti di qualsiasi tipo, in nome dell’interesse del nascituro, arrivando, in ultima analisi, alla privazione della libertà di autodeterminazione della donna anche nella scelta del modello di vita da condurre durante una gestazione.17

Si deve concludere che il riferimento alla soggettività, contenuto nell’art.1 c.c., non ha alcun valore tecnico, ma è una locuzione enfatica e tecnicamente errata di affermazione della tutela dell’interesse alla vita dell’embrione.18

Ma sostenere la tutela della vita prenatale è tutt’altra cosa che sostenere il riconoscimento della capacità giuridica dell’embrione.

Nel tutelare l’interesse dell’embrione alla vita, la legge 40 segue un orientamento, già consolidato nel nostro ordinamento, a favore della tutela della vita prenatale e riscontrabile, oltre che nelle sentenze della Corte Costituzionale, nell’affermazione –anch’essa a contenuto meramente enunciativo- contenuta nell’art. 1 della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (L. n.194/78) e, ancor prima, nella dizione dell’art. 2 Cost., in base al quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.19

Senza dimenticare, ancora una volta, che la vita e la salute del concepito non possono mai prevalere sui valori, spesso contrapposti, della vita e della salute della madre, almeno fino a quando sussiste l’immedesimazione del concepito nel corpo materno. In questo senso si è espressa inequivocabilmente e più volte la stessa Corte Costituzionale.20

Vi è poi una riflessione di carattere non solo giuridico.

L’intervento legislativo, compiuto con la legge 40, sottolinea l’esigenza di tutela della vita umana già in quella primissima fase, che viene racchiusa nell’espressione “embrione”, esigenza, da un lato, inevitabilmente collegata ai recenti sviluppi compiuti in materia di biotecnologie e alle problematiche, legate all’embrione, da essi evidenziate, e, dall’altro lato, logicamente conseguente all’impostazione secondo cui l’embrione ha dignità di individuo umano.

Evidente la conseguenza di tale impostazione: se l’embrione deve essere ritenuto già un individuo non può che essergli riconosciuta tutela in nome del valore della vita umana.

Tuttavia, l’equazione embrione-individuo umano, è meno ovvia ed indiscussa di quanto si possa pensare.

La legge 40 si inserisce, infatti, all’interno di un dibattito, ancora in corso, relativo a quale sia il momento iniziale della vita umana e quali siano gli stadi del suo sviluppo, dibattito nel quale, ancor oggi non si è pervenuti ad alcuna certezza e nel quale risultano confusi dati scientifici con dogmi o mere opinioni.21

Filosofi, teologi e pensatori hanno deciso di far coincidere l’inizio dell’ individuo umano con un dato momento del suo sviluppo embriologico, scelto a priori solo perché utile a sostegno delle rispettive opinioni.22

In realtà, l’unico dato fattuale certo, che ci viene dalle conoscenze biologiche, è che l’inizio ontogenetico del processo che origina ed identifica un nuovo individuo coincide con il momento in cui si realizza la formazione della prima copia del suo genoma, il genoma dello zigote.23

Attribuendo a tale criterio scientifico relativo al momento dell’inizio del processo che origina ed identifica il nuovo individuo un valore giuridico, potrebbe sostenersi che solo da quel momento, potendo essere sorretta in termini scientifici la considerazione umana dell’embrione, si possa parlare di tutela della vita umana.

Diversamente, nel dubbio, c’è chi, in nome di un “tuziorismo etico”, ritiene necessario applicare il principio di precauzione, arrivando ad accordare protezione al concepito fin dal momento della fecondazione; ma – è bene aggiungere- rinunciando, con questa proposta affatto discutibile, a voler legittimare con un sostegno scientifico la soluzione, in termini giuridici, del problema della tutela vita umana.24

4.- La ratio dei due referendum, per quanto riguarda l’articolo 1 ed alcune parti degli artt. 4, 5 e 6 è, altresì, quella di eliminare dalla legge le disposizioni che, nel permettere l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle sole persone affette da sterilità o infertilità, impediscono implicitamente l’accesso alla PMA alle coppie non sterili, ma portatrici di gravi malattie genetiche.25

Il legislatore ha scelto, infatti, di precludere l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita a coloro che, non sterili, intendano prevenire la trasmissione di gravi malattie genetiche.

Dal punto di vista scientifico, mentre fino a tempi recenti la possibilità di individuare malattie genetiche era legata alla diagnosi prenatale, consistente in accertamenti clinici da compiersi sulla donna già in stato di gravidanza (amniocentesi, villocentesi), oggi tale possibilità è legata alla diagnosi genetica preimpianto degli embrioni, all’interno della procedura di fecondazione in vitro. In tal modo, qualora i genitori avessero manifestato l’intenzione di evitare la nascita di un figlio gravemente malato e dalla diagnosi preimpianto emergessero patologie gravi, le operazioni di impianto dell’embrione verrebbero interrotte, senza dover ricorrere all’aborto c.d. terapeutico in via successiva.

Quest’ultimo inciso, pur nella sua apparente gravità, riflette una situazione reale che non può essere “ipocritamente” ignorata.

Va precisato, infatti, che, proprio a seguito dell’esclusione operata dalla legge, la coppia fertile ma portatrice di malattie genetiche non può procreare con le tecniche di PMA, ma solo naturalmente.

Ma in caso di fecondazione naturale, la diagnosi, effettuata durante lo stato di gravidanza, che accerti l’esistenza di gravi anomalie o malformazioni del nascituro, può consentire l’accesso all’aborto terapeutico, ove si valuti l’esistenza di un “serio pericolo per la salute fisio-psichica della donna” determinato dall’accertamento medico di “ malformazioni o anomalie del concepito” (artt.4 e 5 L.194/78).26

In conclusione, allo scopo di tutelare l’embrione si espone a rischio il feto, perché il ricorso all’aborto -che sarebbe stato sicuramente disincentivato ammettendo anche le coppie non sterili, ma portatrici di malattie genetiche alle tecniche della PMA e quindi alla diagnosi preimpianto- torna ad essere l’unico “strumento” cui poter ricorrere in caso di accertamento di gravi malattie genetiche. 27

Il ricorso all’interruzione di gravidanza, inoltre, si risolve in un potenziale danno alla salute per la donna fertile cui è precluso l’accesso alle tecniche della PMA.

Deve far riflettere il fatto che la legge 40 finisce per accordare al feto una protezione inferiore a quella riconosciuta all’embrione, conseguenza in evidente contraddizione con lo spirito della legge, improntata alla tutela del concepito e sacrifica, in nome di questa “astratta” tutela, al contempo, la libertà di autodeterminazione nella scelta di avere figli (art. 2 Cost.) e il diritto alla salute della donna (art.32 Cost.).

A questo deve aggiungersi la incongruità della scelta di vietare il ricorso alla diagnosi agli individui non sterili, ma portatori di malattie gravi, permettendola ai medesimi individui se sterili, scelta che introduce una discriminazione tra cittadini, basata su di una condizione personale (essere fertili o meno), in contrasto con l’art. 3 Cost. 28

Del resto non sfugge che, se il legislatore ha scelto di precludere l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita alle coppie non sterili, ma portatrici di gravi malattie genetiche, lo ha fatto in ossequio al divieto di selezione a scopo eugenetico degli embrioni (l’art.13, comma 3, lett.b).

Ma, le ragioni del distinguo, tra coppie “sane, ma sterili” e “coppie portatrici di malattie genetiche, ma fertili”, non ha ragion d’essere, sotto il profilo di una possibile finalizzazione della diagnosi preimpianto alla selezione embrionale solo per quest’ultime, poiché la situazione è uguale in entrambi i casi e, come tale, si doveva identicamente regolare .

Nel caso di coppia sterile ammessa alle tecniche di PMA, qualora dalla diagnosi preimpianto emerga una patologia dell’embrione non curabile, la madre -come si vedrà successivamente- può legittimamente tenerne conto, rifiutando l’impianto o facendo ricorso, dopo l’impianto, all’aborto terapeutico (ferma restando la possibilità per il sanitario di decidere di interrompere l’applicazione delle tecniche); e non diversamente potrebbe accadere per la coppia fertile ma affetta da malattie genetiche.29

Poiché, dunque, la diagnosi preimpianto può portare ad una selezione embrionale in ambedue le ipotesi, non si vede perché regolarle diversamente, ammettendo solo le coppie sterili alle tecniche di PMA, in palese violazione dell’art. 3 Cost. 30

La seconda è che se scopo del divieto imposto alla coppia fertile ma portatrice di patologie genetiche di poter accedere alle tecniche di PMA é, in teoria, quello di impedire la selezione, tale scopo rimane comunque inattuato, dato che la selezione, di fatto, può avvenire ugualmente ed in modo ancor più drastico, potendo la donna, in caso di fecondazione naturale, come già ricordato, ricorrere eventualmente all’aborto.31

Un’ultima riflessione di carattere non propriamente giuridico.

Al di là degli argomenti scientifici contro la sicurezza e l’attendibilità della diagnosi pre-impianto, sui quali ci si soffermerà allorquando si affronterà quel tema, va detto che l’obiezione principale, di tipo etico, mossa contro l’accesso alla PMA anche da parte di coppie fertili e, più in generale, contro la diagnosi preimpianto è che essa sarebbe funzionale ad una selezione eugenetica.

A maggior sostegno della riprovevolezza morale di una tal “pratica” si è arrivati ad individuare una “continuità storica” con i programmi eugenetici della prima metà del ventesimo secolo, quale quello perseguito con le leggi naziste.

Senza dubbio il tema dell’eugenetica è un tema complesso e delicato e chi scrive non ha la competenza necessaria per affrontarlo compiutamente, ma ritiene utile fare alcune brevi precisazioni in questa sede.

E’ bene sottolinearlo fin da subito, esiste una differenza fondamentale fra i programmi eugenetici del nazismo e la nuova eugenetica, sicché il parallelismo “improprio” fra i due è una evidente demonizzazione.

I primi erano dei programmi sociali a lungo termine, estesi su molte generazioni, frutto di ben precise tesi socio-economiche e che si ponevano, come obbiettivo “politico”, quello di migliorare una razza, imponendo una selezione continua, mediante sterilizzazioni, pianificazioni di matrimoni ed aborti, in modo da aumentare la frequenza di determinati caratteri “desiderabili”e diminuire quella di caratteri considerati “comunemente” negativi. 32

La nuova eugenetica è un programma medico, realizzato su base volontaria ed è per questo che oggi si parla di consulenza genetica piuttosto che di eugenetica..

Con riferimento alla nuova eugenetica è bene distinguere fra “eugenetica negativa” ed “eugenetica positiva”.

La prima è finalizzata ad aiutare gli individui e le loro famiglie a far fronte alle malattie genetiche e la sua politica di intervento si configura pressoché esclusivamente in termini di “consulenza genetica” che, dopo aver adeguatamente informato la coppia a rischio, le lascia piena autonomia di decisione, evitando qualsiasi intervento esterno che potrebbe risolversi in una imposizione. 33

La seconda consiste, invece, nell’intervento, sempre su base volontaria, mirato a cambiare il programma genetico di un essere umano, per migliorare le sue qualità o per farlo corrispondere alle qualità desiderate (sesso, determinate caratteristiche somatiche ecc)

Ciò, non vi è dubbio che, in generale, il tema dell’ eugenetica pone un dilemma etico34; ma, da un lato, l’eugenetica di oggi è cosa ben diversa dai progetti eugenetici perseguiti in modo autoritario e senza consenso nel ventesimo secolo, dall’altro lato, la presunta finalizzazione della diagnosi pre-impianto alla selezione eugenetica è meno ovvia di quanto si voglia far credere e inerisce solo all’ eugenetica c.d. negativa.35

5.- I due quesiti referendari hanno ad oggetto l’abrogazione anche di un altro gruppo di disposizioni che riguardano alcuni aspetti, particolarmente delicati, della procedura in materia di PMA.

In ossequio al divieto di soppressione e crioconservazione degli embrioni, la disposizione dell’art.14, comma 2, dispone che “le tecniche di produzione degli embrioni…non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”, imponendo, così, un numero massimo di embrioni producibili ed il loro unico e contemporaneo impianto. Il testo ha suscitato fortissimi rilievi critici.36

Dal punto di vista clinico, si è obiettato che la scelta di creare un numero massimo di tre embrioni non garantirebbe una ragionevole probabilità di successo ed esporrebbe la donna, in caso di insuccesso, a successive stimolazioni ormonali -interventi dolorosi, invasivi e dannosi- per ottenere nuovi ovuli per la fecondazione in vitro.37

La proposta avanzata è quella di fissare un limite minimo e massimo entro il quale stabilire, caso per caso, il numero di embrioni da produrre. Seguendo l’opinione degli specialisti, infatti, secondo l’età e la fertilità della donna, la produzione di tre embrioni può risultare insufficiente, se si guarda al successo delle tecniche di PMA, che richiederebbe un numero maggiore di embrioni, e può essere eccessiva portando, in caso di buon esito dell’impianto, a gravidanze trigeminari ed anche più.

Collegato a questo limite, si pone l’obbligo dell’unico e contemporaneo impianto dei tre embrioni. (art. 14, comma 2)

L’obbligo di impianto simultaneo di tutti gli embrioni espone la donna alla probabilità di gravidanze plurime (non solo trigeminari), con seri rischi sia per i nascituri che per la madre.

Sul terreno della discussione giuridica, il problema si ripropone nei soliti termini di bilanciamento tra i contrapposti valori in gioco. Da un lato il valore della vita umana prenatale, tutelato limitando la “produzione” di embrioni “superflui”, destinati alla crioconservazione o all’eliminazione e, dall’altro lato, il diritto alla salute della donna, pesantemente sacrificato dai rischi e disagi legati all’iperstimolazione ovarica, al prelievo degli ovociti ed alle gravidanze multiple (con rischi in tal caso, anche per i nascituri), e la libertà di procreazione, compromessa dalla produzione di un numero di embrioni limitato e, spesso, non sufficiente a portare a termine con successo la fecondazione artificiale38.

Ne discende più di una perplessità su una disposizione che propone soluzioni normative (la formazione di un massimo di tre embrioni per volta, l’impianto unico e contemporaneo di tutti e tre embrioni) in grado di comportare gravi rischi per la salute delle donne in nome della tutela dell’embrione.

Ma ne discende, altresì, più di una perplessità sull’effettivo valore di quell’obbligo di impianto di cui parla l’art. 14, comma 2.

Anticipando qualche riflessione su un tema che verrà approfondito più avanti, basterà rilevare, per ora, che la consistenza e il peso del valore della vita prenatale non sono in grado di spostare il fulcro del problema e cioè quello della prevalenza sul piano giuridico, nel contesto della esperienza della maternità, del valore del corpo e dell’autodeterminazione della madre rispetto al valore della vita del concepito (sia esso feto o embrione).39

Poiché nel conflitto tra protezione della vita e libertà di decidere del proprio corpo, non è possibile imporre misure coercitive alla madre, proprio in virtù dello schermo rappresentato dal corpo materno, la donna non è obbligata a subire l’impianto e, se vuole, può rifiutarlo.

Ricollegando le varie osservazioni fatte fino ad ora, le conseguenze appaiono di intuitiva evidenza: la donna è libera di decidere se sottoporsi o meno all’impianto, ma, se vi si sottopone, è obbligata a subire il contemporaneo impianto di tutti e tre gli embrioni, esponendosi ad una gravidanza plurima e rischiosa, come conferma implicitamente la stessa disposizione sulla riduzione fetale (art. 14, comma 4); se non vi si sottopone, per evitare il rischio di gravidanza multipla, non potendo chiedere altrimenti l’impianto di un solo o due embrioni, tutti e tre gli embrioni saranno destinati all’abbandono e cioè alla “temuta” crioconservazione e, o distruzione.

La tutela dell’embrione risulta, in ultima analisi, ineffettiva, mettendo in luce la irragionevolezza di una disposizione che, proprio in nome di quella tutela, impone una serie di limiti e divieti alla donna, con serio pregiudizio per la sua salute .

I problemi suscitati dall’applicazione delle disposizioni del 2° comma dell’art.14 non sarebbero facilmente superabili neanche facendo ricorso alle opportunità offerte da altre disposizioni della legge 40.

Per quanto attiene al limite della produzione fino ad un massimo di tre embrioni, il comma 8° del medesimo art.14, che consente espressamente la crioconservazione dei gameti maschili e femminili, sembrerebbe ammettere, infatti, implicitamente, la liceità del prelievo di tutti gli ovociti risultanti da un trattamento di stimolazione ormonale, sicché, una volta conservato, il “materiale genetico” potrebbe essere utilizzato gradualmente, senza dover ricorrere a ripetuti trattamenti sulla donna. Resta da superare, però, l’ostacolo, rappresentato, sul piano tecnico, dal fatto che la crioconservazione dei gameti, soprattutto dei gameti femminili, diversamente da quella degli embrioni, si trova ancora in una fase sperimentale.40

Sul punto della gravidanza plurigemellare, cui la donna potrebbe andare incontro, qualora decida di sottoporsi all’unico e contemporaneo impianto di tre embrioni, il comma 4° dell’art.14, enuncia astrattamente il principio del divieto di riduzione embrionale di gravidanze plurime, ma subito dopo, per ridare una sua razionalità alla norma, fa salva l’applicazione della L.194/78, accettando in conclusione una “riduzione fetale” nelle ipotesi in cui sarebbe consentita la interruzione della gravidanza.41

Senza dubbio, una volta iniziata una gravidanza multipla, qualora si presentino seri rischi per la salute della madre e, o, dei nascituri, la riduzione fetale sembra essere la soluzione più ragionevole, poiché garantisce una (prosecuzione della) gravidanza sicura sia per la madre che per il feto o i feti che si vuole o si vogliono salvare. Ma tale soluzione tradisce l’incoerenza delle scelte del legislatore che, per evitare lo “spreco” di vite umane, “impone” il rischio di una gravidanza plurima che può condurre ancora una volta al ricorso all’aborto.42

 

6.- L’art. 6, comma 3, della legge 40 stabilisce che “la decisione di voler accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita può essere revocata da ciascun componente della coppia fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. La disposizione – anch’essa oggetto del quesito referendario- colpisce, al di là di ogni altro profilo critico, perché non considera come dovrebbe l’impossibilità di coartare la volontà della donna di non procedere all’impianto dell’embrione nel proprio corpo.

Sembra imprescindibile precisare che la discussione sulla portata applicativa di questa disposizione risulta legata a quella sulla diagnosi c.d. preimpianto, essendo chiaro che il ripensamento della coppia possa essere, di fatto, determinato dalla conoscenza, acquisita mediante diagnosi, dell’esistenza di determinate patologie dell’embrione.

Si pone dunque il problema in via preliminare della diagnosi preimpianto.

Avverso la diagnosi pre-impianto hanno militato argomenti di carattere etico (sui quali ci si è già soffermati) e scientifico tra cui la non completa attendibilità di tale tecnica, per cui sull’embrione diagnosticato sarebbe sempre prescritta una successiva amniocentesi a verifica della diagnosi formulata in vitro; la pericolosità della biopsia embrionale, perché potrebbe esporre al danneggiamento o alla morte gli embrioni analizzati; la incompletezza del campo di indagine, poiché si sarebbe in grado di diagnosticare solo alcune tra le malattie genetiche.43

A questi si sono contrapposti argomenti a favore della diagnosi, quali la possibilità di individuare, attraverso i diversi micro-metodi di analisi ormai disponibili, numerose malattie genetiche; la possibilità di effettuare la diagnosi pre-impianto attraverso varie tecniche, non solo tecniche analitiche (che possono esporre a sofferenza l’embrione, ma consentono di effettuare indagini genetiche con una percentuale di errore relativamente bassa), ma anche tecniche non invasive di visualizzazione, che permettono all’embriologo specialista di emettere diagnosi, notevolmente precise, relativamente allo stato di salute dell’embrione. 44

Dall’analisi del dato normativo emerge che è consentito alla coppia informarsi sullo stato di salute degli embrioni (art.14, comma 5) e che è, altresì, possibile la ricerca clinica e sperimentale con finalità terapeutiche e diagnostiche, sebbene condizionata alla tutela della salute e dello sviluppo dell’embrione stesso (art.13, comma 2).

A meno di non voler sostenere che le due norme siano frutto di una “svista” del legislatore, deve ammettersi che la diagnosi preimpianto è, quindi, consentita dalla legge 40 (circostanza che mette in dubbio, peraltro, la presunta pericolosità di questa attività, che se fosse stata ritenuta dannosa, sarebbe dovuta essere preclusa), come indicato nelle due disposizioni citate.

Nel tentativo di superare tale contraddizione, le linee guida ministeriali hanno formalmente ribadito il divieto di diagnosi preimpianto, precisando che l’indagine relativa allo stato di salute degli embrioni può essere solo di tipo osservazionale. In questo modo si è data, illegittimamente, un’interpretazione restrittiva della disposizione dell’art.14, comma 5, ma, al tempo stesso, si è confermato il diritto di informazione della coppia . 45

Il punto è importante. Risulta evidente che non avrebbe senso informare i genitori sulla salute dell’embrione o sulla presenza di una patologia dell’embrione se la informazione dovesse considerarsi fine a se stessa. Se, dunque, un diritto all’informazione è stato espressamente previsto dallo stesso art.14, comma 5 della legge, come anche dalle linee guida ministeriali, esso deve avere qualche utilità: utilità che deve rinvenirsi nella possibilità per la coppia di assumere nuove decisioni sulla base delle informazioni ricevute.

Ma vi è di più. Anche l’art. 13, comma 2, consente la ricerca sperimentale per finalità cliniche e diagnostiche. Ammettere la ricerca sugli embrioni per finalità diagnostiche altro non significa che ammettere la diagnosi pre-impianto. Si è obbiettato che essa sarebbe consentita in quanto diretta a fini terapeutici, ma questa precisazione non sembra convincente. E’ possibile, infatti, che dalla ricerca diagnostica emerga la presenza di una patologia ovviabile con interventi terapeutici, ma è possibile anche che emerga una patologia non curabile. In tal ultimo caso, una volta consentita la diagnosi preimpianto non è possibile ritenere che, dell’esito di questa, la madre non possa non tener conto (salvo ipotizzare un obbligo di segreto del medico)

E’ a questo punto che viene in rilievo la disposizione dell’art. 6, comma 3, in tema di revoca del consenso, che non ammette tale revoca dopo la fecondazione dell’ovulo e cioè dopo la formazione dell’embrione .

Anche tale norma ha, come scopo, la tutela della vita dell’embrione, ma non vi è dubbio che il legislatore non ha riflettuto sull’effettività dello strumento approntato per renderne possibile il raggiungimento, sicché, ancora una volta, lo scopo è fallito.

Per molto tempo in merito al contenuto di questa norma ed al “presunto” trattamento sanitario obbligatorio che da questa deriverebbe sono state elaborate le più disparate tesi.

Un giudice, chiamato a decidere sulla fondatezza della questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge 40, ha ritenuto che l’obbligo di impianto sussista e che possa configurarsi comunque come un trattamento sanitario obbligatorio anche se non coercibile!46 Questa interpretazione è senza dubbio errata ed il suo accoglimento porterebbe all’evidente incostituzionalità della norma, per contrarietà all’art. 32, comma 2°, Cost.

Qualora l’impianto coattivo fosse un trattamento sanitario obbligatorio ne discenderebbe che la legge dovrebbe prevederlo espressamente, come impone la riserva di legge ordinaria ex art. 32, comma 2, mentre nella disposizione dell’art.6 non si dispone né che si debba ricorrere ad un trattamento sanitario obbligatorio, né quale esso possa essere, ma parla solo di irrevocabilità del consenso.

In ogni caso, qualora si potesse configurare un’ipotesi normativa di trattamento sanitario obbligatorio, tale trattamento sarebbe certamente incostituzionale per violazione dell’art. 32, comma 2, capoverso ( “la legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”), in quanto l’imposizione dell’impianto degli embrioni è evidentemente contrario alla dignità umana.47

In conclusione, la donna mantiene sul punto libertà di scelta, potendo decidere ( in conseguenza del responso di una diagnosi embrionale ) di non voler procedere all’impianto e di rinunciare così alla prosecuzione della procedura di procreazione medicalmente assistita. Le conseguenze della conclusione raggiunta appaiono di intuitiva evidenza, soprattutto alla luce del collegamento della disposizione dell’art 6, comma 3, con la disposizione dell’art. 14, comma 5 della legge: nell’ipotesi di accertamento di una patologia dell’embrione, per la quale non siano possibili gli interventi terapeutici previsti dall’art.13, comma 2, la donna può rifiutare l’unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni o accettarlo, non potendo chiedere la selezione degli embrioni sani (l’art. 13, comma 3, lett.b, vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni ).

Nell’ipotesi del rifiuto di impianto, pertanto, tutti e tre gli embrioni saranno destinati all’”abbandono” compresi gli embrioni sani, che seguiranno la sorte di quelli malati cui sono indissolubilmente legati.48

Né può ipotizzarsi l’abbandono del solo embrione malato, facendo leva sul dato testuale delle linee guida che parlano di “mancato trasferimento dell’embrione”, perché si configurerebbe, in tal modo, una violazione di ben due divieti della legge (art.14, comma 2 e art.13, comma 3, lett.b) da parte della disposizione ministeriale.

D’altro canto, stante l’esistenza di numerosi altri divieti, non sarebbe possibile né la crioconservazione degli embrioni (vietata ex art.14), né la loro donazione ad altra coppia ( vietata ex art. 4, comma 3).

La sorte degli embrioni sembra, dunque, segnata.49

Non può non risultare evidente, a questo punto, da un lato, l’inutilità delle disposizioni sull’impianto, prive di una reale cogenza, e, dall’altro, la loro irragionevolezza, avendo creato un sistema di tutela dell’embrione rivelatosi inevitabilmente inefficace. Con l’ulteriore conseguenza che, difettando del canone della ragionevolezza, le norme in questione potrebbero essere dichiarate incostituzionali per violazione dell’art. 3 Cost.

 

7.- Un altro dei quesiti referendari ha ad oggetto l’abrogazione del complesso delle disposizioni attraverso cui viene vietata la fecondazione eterologa50 Si tratta, più precisamente di parti degli artt. 4, 9 e 12 della legge 40.

Viene vietato, infatti, il ricorso alla fecondazione eterologa, sanzionando, pesantemente, anche se solo sul piano amministrativo, il tecnico che la pratichi (medico, biologo), ma non la coppia che vi ricorre.

Consapevole della possibilità per la coppia di ricorrere a centri all’estero che utilizzano tecniche eterologhe (l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa che vieta l’accesso alla fecondazione eterologa), la legge, pur vietando tale pratica, ne ha compiutamente disciplinato le conseguenze, da un lato, precludendo al coniuge o convivente, il cui consenso è ricavabile da atti concludenti, di esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’art.235, comma 1, nn.1 e 2 del codice civile o l’azione di impugnazione per difetto di veridicità di cui all’art. 263 c.c.(art.9, comma 1), e dall’altro, stabilendo che il “donatore di gameti” (da non confondersi con il c.d. padre naturale) non acquisisce alcuna relazione parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto, né essere titolare di obblighi. (art.9, comma 3).

Si tratta di due regole molto importanti. La prima regola, posta a tutela dello status del nato, era già stata fissata al livello giurisprudenziale dalla Corte di Cassazione ed è espressione della prevalenza del consenso del coniuge ( la cui libera scelta di affidarsi alla procreazione assistita eterologa non può non comportare responsabilità nei confronti del nato), rispetto al principio della verità e della necessaria corrispondenza fra “genitorialità biologica” e “genitorialità giuridica”51. La seconda è, allo stesso modo, espressione di quel principio di consapevolezza per cui, dovendosi escludere che voglia un figlio, il donatore non assume nessuna responsabilità nei suoi confronti.

La legge 40 non prende in considerazione, invece, l’ipotesi che, in violazione della legge, sia stato fatto ricorso alla donazione di ovociti per realizzare la fecondazione eterologa. Questa omissione ha un motivo:in tal caso, in termini giuridici, il problema dell’attribuzione della maternità, non presenta difficoltà, poiché si applica il principio, espresso nell’art. 269 c.c., secondo cui è madre colei che partorisce (c.d. madre uterina).

La contestazione della maternità, dunque, non è giuridicamente possibile per la duplice ragione che il figlio è stato partorito ed è stato voluto come proprio dalla madre (c.d. principio di responsabilità). Non può non osservarsi, però, che le nuove tecnologie mettono in discussione, in tal modo, il principio della certezza dell’identità della madre.52

Il divieto di fecondazione eterologa induce più di una perplessità, soprattutto se riguardato alla luce delle scelte del legislatore che, oltre ad aver disciplinato compiutamente le conseguenze della sua elusione (seppur spinto dall’esigenza di tutela dello status del nato), ha previsto la non punibilità di coloro che ad essa abbiano fatto ricorso, inducendo a ritenere, in ultima analisi, che, scopo del divieto sia non tanto quello di osteggiare il ricorso ad una pratica ritenuta illegale, quanto quello di evitare che essa venga praticata in Italia . 53

Sotto questo aspetto, il divieto si risolve, come da più parti è stato fatto rilevare, in una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) in quanto discrimina fra categorie di cittadini, facendo sì che alla fecondazione eterologa possano accedere solo i più abbienti, mediante l’utilizzo di strutture sanitarie di altri paesi dell’Unione Europea o extraeuropei.54

I contrari al riconoscimento dell’ammissibilità della PMA di tipo eterologo sostengono, però, che, introdotte le tecniche di fecondazione eterologa, si verrebbe a creare un modello di famiglia incompatibile con quello delineato dall’art.29 Cost.. Si afferma, infatti, che non potrebbe qualificarsi “naturale” una famiglia in cui i figli non sono figli genetici dei genitori. Ragionando in questi termini, però, dovrebbe negarsi protezione costituzionale anche alla famiglia in cui siano presenti figli adottivi, ove mancherebbe quel rapporto di “necessaria derivazione biologica” tra genitori e figli.55

Per converso, invece, è il divieto di fecondazione eterologa che risulta in contrasto con valori fondamentali quali quello della libertà e dell’autonomia nelle scelte personali e procreative (artt.2,13 Cost.) e con il rispetto della vita privata e familiare (art. 7 Carta di Nizza, art.8 CEDU).

Richiede una separata, seppur breve, considerazione la problematica dei diritti del nato, diritti che, nell’ipotesi di procreazione eterologa, verrebbero ad essere compromessi.56

Quanto al diritto all’integrità delle figure parentali, risulta evidente che il divieto di fecondazione eterologa si pone in “obiettiva contraddizione” con la legge sull’adozione, dove il presunto principio di necessaria corrispondenza fra genitore biologico e genitore legale è completamente compromesso, dal momento che l’adottato non possiede il patrimonio genetico di alcuno dei genitori, diversamente dal nato da fecondazione eterologa che di regola ha il patrimonio genetico di uno dei genitori. 57

Quanto, poi, al diritto a conoscere la propria identità biologica, che faciliterebbe, fra l’altro, la cura di eventuali malattie, ed all’eventuale contrasto che si verificherebbe tra tale diritto del nato e l’anonimato del donatore, va detto che non si tratta di conflitto insolubile.

Di questo aspetto non si occupa la legge 40 e questa colpevole omissione non si può certo spiegare con la constatazione che la donazione di gameti è vietata, dato che tale circostanza non ha impedito al legislatore di dettare una disciplina di tutte le altre conseguenze ricollegabili all’eventuale violazione del divieto.

Sarebbe stato opportuno risolvere in modo espresso anche questo problema, inserendo una specifica regola.

In mancanza di una regola , uno spunto di riflessione, utile ai fini di una soluzione del problema, può trovarsi, ancora una volta, nella nuova disciplina dell’adozione e precisamente in quella dell’adozione internazionale che prevede la possibilità, successivamente all’adozione, di comunicare solo le informazioni che hanno rilevanza per lo stato di salute dell’adottato. (art. 37 L.n.184/1983).58

Dando rilievo, anche nel caso di fecondazione eterologa, all’esigenza di tutela del diritto all’identità biologica, potrebbe ammettersi un’applicazione analogica di tali disposizioni; ciò in attesa di una soluzione normativa espressa che potrebbe prevedere la segretezza dei dati del donatore e subordinarne la conoscibilità ad una autorizzazione dell’autorità giudiziaria, da concedersi solo nell’ipotesi di pericolo per la salute del nato, temperando, in tal modo, l’interesse della persona a conoscere le proprie origini biologiche con l’anonimato del donatore, che verrebbe a mutarsi in un diritto alla riservatezza dello stesso . 59

 

8.- Da ultimo, va considerato il quesito referendario che investe alcune parti delle disposizioni degli artt.12, 13 e 14 della legge 40. La richiesta è finalizzata, tra l’altro, ad ampliare le possibilità di ricerca clinica e sperimentale con finalità terapeutiche e diagnostiche su embrioni a tutt’oggi conservati nei Centri per l’assistenza alla procreazione.60

Occorre ricordare che la legge 40 detta una regolamentazione fortemente protettiva a “tutela dell’embrione”, vietando attività quali la sperimentazione e la ricerca aventi ad oggetto gli embrioni, la produzione di embrioni umani a fini di ricerca o di sperimentazione, la selezione a scopo eugenetico e la manipolazione del patrimonio genetico degli embrioni, la creazione di ibridi, qualunque intervento di clonazione, sia (ovviamente ) la clonazione umana a scopo riproduttivo, sia la clonazione terapeutica (ipotesi ben diversa)

Le altre attività interdette dalla legge 40 sono quelle di applicazione delle tecniche della PMA, di cui si è già parlato precedentemente (ad esempio “ obbligo” dell’unico e contemporaneo impianto dei tre embrioni), tra cui viene in rilievo in questa sede il divieto di crioconservazione degli embrioni.

Detto ciò, va subito sottolineato che l’esito dei quesiti referendari, diversamente da quello che, con un’impostazione aprioristica ed ideologica si vuole far credere, non è quello di una totale liberalizzazione della ricerca scientifica, attraverso la sistematica creazione, utilizzazione e distruzione di embrioni, bensì quello di dedicare alla ricerca gli embrioni soprannumerari, già esistenti (attualmente conservati nei laboratori, attraverso la tecnica di congelamento in azoto liquido e destinati, altrimenti ed inesorabilmente, ad essere “scartati” e cioè alla distruzione nel giro di qualche anno), nonché gli embrioni soprannumerari che si produrranno inevitabilmente nei prossimi anni, in seguito all’applicazione delle tecniche di PMA .

D’altro canto, un sistema giuridico che consenta, ad esempio, alla ricerca scientifica di procedere alla sperimentazione ed alla ricerca sugli embrioni umani criopreservati, tenendo fermo il divieto di produrli a tal fine, troverebbe una composizione che sarebbe compatibile con la normativa internazionale in materia, visto che la Convenzione di Oviedo non esclude la ricerca sugli embrioni (art. 18, comma 1), mentre vieta espressamente la produzione di embrioni a scopi di ricerca (art. 18, comma 2), oltre alla clonazione a fini riproduttivi (art.1 del Protocollo addizionale).61

Risulta utile partire dalla disposizione della legge 40 che, si ritiene, vada esaminata per prima, malgrado la sua collocazione nell’art. 13, comma 3, lett.a, e che vieta la produzione di embrioni umani ai fini di ricerca. Il divieto introdotto, in perfetta corrispondenza con l’art. 18, comma 2, della c.d. Convenzione di Oviedo, è pienamente condivisibile e infatti non è oggetto del quesito referendario che, correttamente, non investe tale norma, come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale nell’escludere la contrarietà della richiesta referendaria, sotto tale profilo, con i principi posti dalla Convenzione di Oviedo.

A fianco del divieto di produzione di embrioni a fini di ricerca la legge pone due ulteriori divieti, quello di sperimentazione e quello di ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni, dettando, come unica deroga, il caso della diagnosi e della ricerca finalizzata alla tutela della salute dell’embrione stesso.

La norma -tralasciando per un momento il discorso sulla ricerca scientifica- suscita non pochi dubbi circa la sua costituzionalità, dal momento che ammette la ricerca diagnostica sull’embrione ( è questo il senso della ricerca sugli embrioni per finalità diagnostiche) solo a favore dei fruitori delle tecniche di PMA e non anche a favore delle coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche, perché ritenuta finalizzata, in quest’ultimo caso, alla selezione embrionale. In realtà, come già ampiamente dimostrato, le due ipotesi, sotto il profilo della possibilità di una selezione all’esito della diagnosi, sono perfettamente identiche, sicché la diversità di regolazione induce a ravvisare un profilo di disuguaglianza, in palese contrasto con l’art. 3 Cost .

Ma, ai fini del discorso che si va conducendo sulla ricerca scientifica, il divieto appare irragionevole perché introduce un pesante limite alla libertà di ricerca, non giustificabile in chiave di tutela della vita dell’embrione.

E’ errato affermare che la norma garantisca, in tal modo, il diritto alla vita a fronte di un diritto alla ricerca scientifica. L’alternativa alla scelta di destinare gli embrioni alla ricerca, non è, infatti, la loro sopravvivenza in funzione dello sviluppo di una persona umana, ma, piuttosto, la loro distruzione.

Il divieto di sperimentazione e ricerca si innesta, infatti, su di una situazione di estrema complessità e delicatezza che è quella dei c.d. embrioni soprannumerari, attualmente circa trentamila, che giacciono da tempo nei congelatori .

A meno di non voler rinunciare alla procreazione assistita (ipotesi da respingersi), l’applicazione di tale tecnica inevitabilmente comporterà la produzione di altri embrioni in soprannumero, destinati ad essere congelati per poi essere scartati.62

La semplice previsione del prolungamento della crioconservazione non appare idonea a risolvere il problema, dato che, allo stato delle conoscenze scientifiche, la conservazione degli embrioni non risulta protraibile oltre un tempo ben determinato. E’, d’altro canto, altamente improbabile il futuro impianto di questi embrioni, o perché la lunga permanenza a bassissime temperature determina un deterioramento dell’embrione tale da comprometterne l’utilizzazione con finalità riproduttive, o perché chi ha realizzato o non ha potuto realizzare il progetto procreativo difficilmente vuole o può avere un’altra gravidanza. A ciò deve aggiungersi il divieto di donare gli embrioni soprannumerari, discendente dal divieto di fecondazione eterologa.

Lasciano perplessi le stesse linee guida ministeriali, quando ammettono che l’embrione abbandonato – non destinabile alla ricerca, in nome di un supposto rispetto per la vita umana- possa essere gettato via, dopo averne mantenuto la coltura in vitro.

Di fronte ad una tale situazione -determinata anche da talune scelte normative- la destinazione degli embrioni crioconservati alla ricerca manifesterebbe, invece, un rispetto per la vita maggiore del lasciar perire, tanto più perché sorretto da una prospettiva solidaristica del sacrificio di un’ entità umana, compiuto al fine di salvare la vita dell’uomo, preso in considerazione non uti singulus, ma come genere umano.

Come ha correttamente rilevato uno scienziato, “..proprio perché il nuovo individuo merita rispetto, meglio sarebbe impiegare le sue cellule per farle partecipare alla vita di chi soffre, derivandone linee staminali…..questi embrioni meritano una fine migliore di quella che li vede restare per secula seculorum nel freddo polare o gettati in un lavandino…chiedono di partecipare, ora che sono stati creati, ad un processo materio-energetico che chiamiamo vita”.63

Senza dimenticare, poi, che sulla ricerca sulle cellule staminali l’Italia ha, altresì, precisi doveri internazionali che la impegnano a sostenere fortemente la ricerca su tali cellule (comprese quelle staminali embrionali).64

Più d’una sarebbe stata la soluzione percorribile nel cercare un compromesso tra esigenze di ricerca e dovere di non “sprecare” inutilmente vite umane, ma il legislatore ha deciso di regolare il fenomeno utilizzando una tecnica normativa che procede con un divieto assoluto. Contro tale divieto si è ricorso al referendum, strumento efficace contro il divieto in sé, ma in grado di creare un vuoto normativo pericoloso in una materia in cui c’è bisogno di regolamentazione.

Così, ad esempio, si è osservato che sarebbe stato sufficiente prevedere una norma transitoria con la quale ammettere la ricerca sui trentamila embrioni soprannumerari, facendo ricorso in termini giuridici all’applicazione in via analogica delle norme sulla donazione di organi da cadavere, cui potrebbe essere assimilato l’ embrione destinato alla distruzione, e vietare tale ricerca per il futuro.65

Un’altra possibile soluzione sarebbe potuta essere quella di stabilire, per legge, la graduazione dei diversi trattamenti dell’embrione soprannumerario. Si sarebbe potuta prevedere la possibilità per genitori biologici di avere un altro figlio e, in mancanza di tale volontà, consentire ad un’altra coppia di adottare l’embrione –applicando analogicamente le disposizioni in materia di adozione dei minori, per evitare il divieto di fecondazione eterologa- lasciando come ultima ipotesi, ove non fosse stato possibile perseguire le due precedenti soluzioni, la destinazione dell’embrione alla ricerca scientifica.66

In tal modo la sperimentazione e la ricerca sugli embrioni avrebbe potuto costituire la giusta alternativa ad un sicuro deterioramento.

Anche il divieto di crioconservazione di cui all’art 14, comma 1 (temperato dalla previsione del comma 3 dello stesso articolo), sul quale ci si sofferma brevemente, risponde alla scelta dichiarata di voler offrire tutela all’embrione, scelta corretta ma aprioristica, perché non tiene in considerazione le attuali metodiche di fecondazione assistita.

Così, se a fondamento di tale divieto vi fosse la necessità di tutela della vita umana fin dal suo inizio, tale procedimento dovrebbe essere precluso in quanto immediatamente nocivo per la salute dell’embrione, mentre invece, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, la crioconservazione, ovviamente protratta per un breve periodo e non per molti anni, è spesso indispensabile per rendere possibile la procreazione, ed i bambini nati da embrioni criopreservati sono assolutamente sani.

Vi sono, poi, alcune ipotesi, in cui la crioconservazione è l’esito finale ed inevitabile del procedimento di fecondazione assistita. Basti pensare ai casi in cui una donna decida, anche dopo la fecondazione dell’ovulo, di non sottoporsi all’impianto o in cui il medico decida autonomamente di non procedere (art. 6, comma 4), o, caso estremo, in cui si abbia il decesso della donna nel periodo fra la fecondazione e l’impianto.

In tutte queste ipotesi in teoria non si potrebbe (l’uso del condizionale è d’obbligo) far luogo a crioconservazione dell’embrione, stante il divieto di cui all’art.14, comma1.

Ma, ancora una volta, le linee guida risultano in contrasto con la normativa della legge, consentendo, da un lato, la crioconservazione dell’embrione in ogni caso in cui il trasferimento non risulti attuato, e, dall’altro, il congelamento di qualsiasi embrione non trasferito in utero.67

La crioconservazione è, dunque, consentita, secondo le linee guida, in ogni caso in cui il trasferimento non risulti attuato e non solo nell’ipotesi di cui all’art.14, comma 3.68

Il divieto di crioconservazione risulta, dunque, un divieto astratto ed inapplicabile, come è dimostrato dal fatto che le stesse linee guida, seppur modificando illegittimamente la legge, ammettono crioconservazione e congelamento degli embrioni non trasferiti in utero in ipotesi ulteriori e affatto diverse da quella dell’art.14, comma 3.

Da ultimo va affrontato il problema della clonazione umana.

La possibilità di formare individui geneticamente identici è considerata un attentato alla dignità umana e, pertanto, è assolutamente vietata a livello internazionale, ad esempio, dalla Dichiarazione universale sul menoma umano ed i diritti dell’uomo elaborata dall’UNESCO o dal Protocollo addizionale alla Convenzione di Oviedo.69

Invero, il primo no alla clonazione riproduttiva viene dalla stessa comunità scientifica e si basa sui dati e fondamenti scientifici che quest’ultima ha prodotto. La clonazione umana, infatti, porrebbe in serio pericolo la salute della donna e farebbe nascere dei cloni portatori di malformazioni e patologie di ogni tipo, con mortalità elevatissima. 70

Ma, all’interno del generico termine clonazione, si trovano e vanno differenziate ipotesi affatto diverse dalla clonazione umana, quali la clonazione terapeutica e la tecnica del trasferimento nucleare.

Quest’ultima tecnica, che è alla base della clonazione ma è cosa diversa dalla clonazione umana, consentirebbe, già oggi, di evitare la nascita di bambini portatori di patologie dovute a mutazioni nel DNA e permetterebbe di far nascere bambini sani, ma al tempo stesso geneticamente figli della coppia, escludendo forme di eugenesi e salvaguardando, al tempo stesso, la “genitorialità biologica” .

La clonazione terapeutica, invece, è finalizzata alla riproduzione di tessuti o organi, partendo dalle stesse cellule del paziente malato e può evitare il rigetto del tessuto o dell’organo così ottenuto, poiché le cellule sono totalmente tollerate dal ricevente.71

Questione controversa è se la cellula, ottenuta dall’ovocita enucleato in cui viene trasferito il nucleo di cellula umana adulta, sia un embrione o no, potendo qualificarsi, in quest’ultimo caso, come “pseudozigote” ossia una cellula che non è uno zigote.

In presenza di un’ incertezza sul tema (e cioè sull’esistenza o meno di un embrione e sulla sua qualificazione come vita umana) dovrebbe applicarsi il principio di precauzione che porterebbe ad escludere l’applicazione di queste tecniche, a meno che non vi sia certezza che esse siano strettamente funzionali a salvare vite umane.

Proprio nella consapevolezza di questo problema e della possibile qualificazione della cellula in termini di embrione è stata istituita, nel 2000, la Commissione Dulbecco che, all’unanimità, ha considerato tale tecnica esente da problemi etici, poiché in grado di evitare la formazione dell’embrione.72

A questo deve aggiungersi, infine, che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, le cellule staminali embrionali sono “una grande promessa”, ma non una “certezza” e richiedono ancora molti studi.

Secondo alcuni l’ulteriore studio delle cellule staminali embrionali è irrinunciabile in funzione dello sviluppo di numerose terapie rigenerative per malattie ad oggi incurabili, tanto più che, pur non esistendo ancora terapie che implichino l’impiego di cellule staminali embrionali, esiste la prova, ottenuta usando i modelli animali, che le staminali embrionali hanno applicazioni terapeutiche73

Altri sostengono, invece, che le staminali embrionali non rappresenterebbero neppure la miglior via per lo sviluppo delle terapie cellulari c.d. “salvavita”, essendo già in atto, da un lato, terapie che si basano sull’utilizzo delle cellule staminali adulte e, dall’altro, studi su tecniche alternative di terapie cellulari per le malattie degenerative.74

All’interno di questo quadro, così complesso dal punto di vista scientifico, si inseriscono i divieti dell’art.12, comma 7, e dell’art. 13, comma 3, lett. C., della legge 40 che riguardano, senza alcuna eccezione, qualunque intervento di clonazione.

Ad essi si contrappone la richiesta referendaria, volta ad abrogare solo parte di queste disposizioni, al fine di rendere praticabili in Italia solo alcune tecniche che sono alla base della clonazione. Quindi, qualora il referendum avesse esito positivo, rimarrebbe comunque vietata la clonazione umana, come si evince chiaramente dalla normativa di risulta che, per questo motivo, è stata giudicata non in contrasto con l’art.1 del Protocollo addizionale della Convenzione di Oviedo.75

Nonostante l’importante distinzione tra clonazione riproduttiva e clonazione terapeutica emersa al livello scientifico, va osservato, però, che la Risoluzione del Parlamento europeo del 7 settembre 2000 non fa alcuna differenza tra queste due diverse finalità che tale tecnica persegue, ritenendo anche la clonazione terapeutica in contrasto con l’impostazione in materia di ordine pubblico adottata dall’Unione Europea.

Prima ancora che al legislatore italiano, dunque, la c.d. clonazione terapeutica sembra aver creato perplessità etiche e giuridiche, seppur non del tutto condivisibili, nel Parlamento europeo.

 

9.- Giunti alla fine di questo lavoro è possibile svolgere qualche osservazione.

L’analisi dei punti più qualificanti della legge 40 sulla procreazione assistita, molti dei quali oggetto dei quesiti referendari, ha messo in luce l’irragionevolezza, l’incongruenza, quando non anche l’inapplicabilità di molte delle disposizioni di questa legge.

Basti ricordare, per tutti, il divieto di accesso per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche alle tecniche di PMA, divieto che, è un esempio paradigmatico della irragionevolezza ed incongruenza della legge. Divieto irragionevole, perché sacrifica pesantemente la libertà nelle scelte procreative ed il diritto alla salute della donna in nome di una tutela del concepito che, come ampiamente dimostrato, risulta largamente ineffettiva, ed incongruente perché porta a disciplinare in modo diverso due situazioni uguali, attirando su di sé pesanti dubbi di costituzionalità per violazione dell’art.3 Cost .

L’incoerenza del legislatore emerge, altresì, in tema di diagnosi pre-impianto. La diagnosi, vietata in ragione di una presunta finalizzazione alla selezione eugenetica (art. 13, comma 3, lett.b), è poi ammessa in ben due disposizioni (art. 14, comma 5, art.13, comma 2), frutto di una “svista”, rectius, di una intima contraddizione della legge, che il legislatore ha cercato poi di correggere restringendo illegittimamente la portata dell’art. 14, comma 5 con un decreto ministeriale.

L’obbligo dell’ unico e contemporaneo impianto dei tre embrioni (art. 6, comma 3, art.14, comma 2) o è incoercibile (ma secondo i giudici del Tribunale di Catania sanzionabile!) ovvero, e più correttamente, non è configurabile, con la conseguenza che, seguendo questa seconda interpretazione, le disposizioni risultano “fortunatamente” ineffettive e la donna è libera di non accettare l’impianto.

Combinando, però, quest’ultime disposizioni –motivate in nome di un divieto di crioconservazione degli embrioni- con il divieto di selezione embrionale (art. 13, comma 3, lett.b) ne deriva, che, in caso di embrione malato, la donna può rifiutare l’impianto di tutti e tre gli embrioni, ma non può salvare quelli sani, destinati così all’abbandono insieme a quelli malati, esito irragionevole e contraddittorio rispetto al fine della tutela degli embrioni dichiarato dalla legge.

Non si arriva a migliori conclusioni in punto di ragionevolezza del divieto assoluto di sperimentazione e ricerca sugli embrioni, divieto che introduce un pesante limite alla libertà di ricerca scientifica, non giustificabile in chiave di tutela della vita, poiché investe anche gli embrioni c.d. soprannumerari destinati –come ammesso nelle stesse linee guida- all’estinzione.

E’ bene ricordare, ancora una volta, che l’irragionevolezza è uno dei criteri con cui la Corte Costituzionale può sanzionare una legge, in applicazione dell’art.3 Cost.

Le accuse rivolta ai quesiti referendari, di creare il vuoto normativo in una materia che ha bisogno di regolamentazione o di acutizzare le divisioni su argomenti che richiedono il contemperamento di tutti i valori in campo, fanno riflettere ma, di fronte a questo quadro normativo, sembrano passare in secondo piano.76

Al tempo stesso non è condivisibile l’opinione secondo cui questi quesiti sarebbero in larga parte inutili, in quanto volti ad abrogare disposizioni della legge 40 per lo più ineffettive o inapplicabili. A fronte dell’ineffettività delle disposizioni sull’impianto, sta l’effettiva cogenza delle disposizioni sul divieto di accesso alle tecniche di PMA per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche, delle disposizioni sul divieto di fecondazione eterologa o sul divieto assoluto di ricerca sugli embrioni umani .

D’altro canto, anni di dibattiti e di progetti di legge che hanno preceduto ed hanno seguito la legge sulla procreazione assistita dimostrano come non sia facile trovare, al livello politico e legislativo, un accordo su un progetto alternativo o, quanto meno, su un intervento modificativo di questa legge.77

Come ha affermato Augusto Barbera “ se il Parlamento non dovesse essere in grado di correggere la legge (e tutto sembra escluderlo) non ci rimane che discutere serenamente e votare.”78

(Roma, lì 28 aprile 2005)

 

1 Cfr U.VERONESI, Prefazione, in, La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi. Ed. Corriere della sera, Milano, 2005, 15 ss.

2 Basti citare fra gli altri P.RESCIGNO, Note in margine alla legge sulla procreazione assistita, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi,cit., 31 ss.; G. ALPA, Lo statuto dell’embrione, in, La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi, cit. 145 ss.; G.FERRANDO, La nuova legge in materia di procreazione assistita: perplessità e critiche, in Corr. giur., 2004, 6, 810 ss., E.QUADRI, La nuova disciplina della procreazione assistita, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi, cit., 41 ss; M.R. MARELLA, Esercizi di biopolitica, in Riv. crit. dir. priv., 2004, 1, 3 ss.

Accuse in merito alla connotazione ideologica della legge non sono provenute solo dai giuristi . Si veda, per tutti C.FLAMIGNI, Sulla legge “cattolica” per la fecondazione assistita in Italia, in Bioetica, 2003, 4, 733 ss.

3 In tal senso si esprime N.LIPARI , Legge sulla procreazione assistita e tecnica legislativa, Relazione al Convegno “Procreazione assistita: problemi e prospettive”, Roma, 31 gennaio 2005, Accademia dei Lincei i cui atti sono raccolti e pubblicati sul sito “www.laprocreazioneassistita.it”.

4P. RESCIGNO, Note in margine alla legge sulla procreazione assistita, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi.,cit., 31 ss

5 A.CELOTTO, La legge sulla procreazione medicalmente assistita:profili di costituzionalità, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi, cit., 60 “.

6 Il principio di precauzione è stato richiamato, prima ancora che con riferimento alla ricerca ed alla sperimentazione sugli embrioni, con riferimento alle stesse tecniche di procreazione assistita, riportando una copiosa letteratura scientifica, che evidenzierebbe un margine di rischio specifico, ovvero più alto rispetto alla fecondazione naturale, delle tecniche di fecondazione assistita. (vedi SIMONCINI, Alcune note su fecondazione medicalmente assistita, principio di precauzione ed incostituzionalità degli effetti referendari” Relazione al Convegno, cit..

E’ chiaro che a queste evidenze se ne possano contrapporre altre di segno opposto A questo proposito merita di essere segnalato uno studio internazionale recentissimo, pubblicato sulla rivista “Pediatrics” nel 2005, che, smentendo molte altre ricerche precedenti, assicura che i bambini in provetta nascono sani, crescono in modo normale e non sono affatto svantaggiati rispetto agli altri per il fatto di essere concepiti per vie artificiali. Si tratta dell’indagine più ampia e lunga mai condotta fino ad ora.

7 Nella Comunicazione sul principio di precauzione del 2 febbraio 2000 la Commissione Europea afferma che “….in altri termini la portata del principio di precauzione è collegata all’evoluzione giurisprudenziale, che, in qualche modo, è influenzata dai valori sociali e politici che prevalgono in una società…….”

8C-157/96 e C-180/96.

9 Inutile sottolineare che, qualora lo si intendesse nella sua accezione più forte, tale principio porterebbe, in pratica, alla paralisi di qualsiasi attività o tecnica, in presenza di un rischio.

10Questo è l’orientamento espresso dalla Corte di giustizia della Comunità Europea del 23.9.2003.

11 Così la sent. n.45 del 31 gennaio 2005, richiamandosi espressamente alla sentenza n.49/2000, pronunciata dalla stessa Corte Costituzionale.

12 A sua volta, la normativa di risulta, in caso di esito positivo dei referendum, garantirebbe, secondo la Corte, quel minimo di tutela degli interessi costituzionali, che sarebbe rappresentata, a ben riflettere, non solo dalla tutela del concepito-embrione, ma anche dalla protezione della maternità e dalla tutela della vita e della salute della donna., così come indicato dalla stessa sentenza n. 27 del 1975, ripresa poi dalla sentenza n.35 del 1997.

13 cfr. quasi tutti i giuristi citati nella nota 2

14 I due referendum popolari sono stati dichiarati ammissibili dalla Corte con le sentenze nn. 47 e 48.

15 La questione del “falso problema” della capacità giuridica dell’embrione, sollevata dalla L.40/04, e del riconoscimento, invece di una tutela all’embrione, prescindente dal riconoscimento della soggettività, è affrontata e trattata diffusamente in R.VILLANI, La procreazione assistita. La nuova legge 19.2.2004 n.40, Torino, 2004, 29ss; STANZIONE-SCIANCALEPORE, Procreazione assistita. Commento alla L.19.2.2004, n.40, Milano, 2004 207 ss. Sul problema è intervenuto più recentemente, anche F.GAZZONI, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in www.judicium.it.

16 Vedi sull’argomento, P.ZATTI, La tutela della vita prenatale:i limiti del diritto, in NGCC, 2001, II, 149 ss.

17 Efficacemente su questo punto si esprime M.R. MARELLA, Esercizi di biopolitica, cit.

18 In tal senso risultano concordi quasi tutti i commentatori che hanno affrontato questo specifico punto.

19 L’art 1 della L. n.194/78 afferma, con un’enunciazione enfatica, “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”

20 sent.Corte Cost. n.27/1975 e sent. n.35/1997, precedentemente citate.

Secondo P.ZATTI, op. cit., 152 ss, qualsiasi situazione di conflitto fra questi valori non può non tener conto, d’altro canto, del profilo dell’incoercibilità dei comportamenti materni. I termini del problema della tutela della vita prenatale mutano, invece, in assenza dello schermo del corpo materno ed il valore della vita può essere pienamente tutelato nei confronti di altri valori, eventualmente contrapposti. L’a. distingue, così fra embrione in utero ed embrione in vitro.

21 Sul complesso dibattito in merito all’embrione ed all’origine della vita umana individuale si vedano le interessanti pagine di G. TONINI, La ricerca e la coscienza. La procreazione assistita tra legge e referendum Edizioni Riformiste, Roma, 2005, 41 ss.

Il problema del trattamento giuridico dell’embrione non può prescindere dal suo statuto biologico.Invero, come rileva lo stesso Tonini, lo statuto etico dell’embrione implica la questione circa lo statuto ontologico dell’embrione che, a sua volta, si intreccia con quella circa il suo statuto biologico (che cosa dice dell’embrione la scienza).

22 Così la Chiesa cattolica colloca l’inizio della vita umana nella fecondazione, alcuni nel giorno dell’impianto uterino (6-7° giorno), altri intorno al 14 giorno della gestazione, sulla base delle differenti motivazioni consistenti nella comparsa del sistema nervoso oppure nel limite temporale per la formazione dei gemelli monozigoti

Si tratta, secondo gli scienziati, di criteri aprioristici scelti perché ritenuti utili a sostenere le differenti opinioni di teologi, filosofi e pensatori, ma mancanti di universalità e quindi da non considerare.

23 C.REDI, Libertà di ricerca, bioetica e cellule staminali in, www.laprocreazioneassistita.it, spiega che questo criterio è condiviso in tutte le forme di riproduzione animale e vegetale, sia naturale, che artificiale ed ha, quindi, carattere di universalità che lo pone al riparo da critiche

Più precisamente lo scienziato così si esprime:”l’inizio ontogenetico del processo materio-energetico che origina ed identifica il nuovo individuo coincide con il momento in cui si realizza la formazione della prima copia del suo genoma”“

Occorre precisare che la formazione della prima copia del genoma avviene dopo 30-40 ore dalla fusione dei due gameti. Di qui il termine “ootide” che indica lo stadio che precede lo zigote (in cui l’ovocita presenta ancora separati i due pronuclei materno e paterno ) ed in cui non può ancora parlarsi di individuo umano. Parlare di ootide, dunque, ha un senso ben preciso, perché l’entità cellulare individuale, in assenza della quale è impossibile parlare di nuova esistenza, non c’è al momento della fecondazione, né c’è nelle ore successive in cui i cromosomi materni e paterni non si sono congiunti, ma c’è solo dal momento della formazione dell’ootide.

24 Afferma Giuliano Amato, nella Prefazione a G.TONINI, op. cit., 7, “..c’è chi, senza negare ciò che la scienza dice, si rifiuta di distinguere fra tutela del processo di vita comunque iniziato e tutela dell’individuo- embrione che ne scaturirà più tardi, in nome di un rigoroso tuziorismo etico. Ma il tuziorismo, e cioè il principio di precauzione non è un principio assoluto e la sua applicazione è giusta quando previene danni maggiori di quelli che fa . E’ questo il caso?”

25 Esistono una serie di malattie genetiche, assai gravi, quali la sindrome di Duchenne, la talassemia, la fibrosi cistica che hanno un elevatissimo grado di possibilità di essere trasmesse ai figli anche nell’ipotesi in cui il genitore sia portatore sano di quella malattia.

26 L’art.4 della L. n.194/78 ammette l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90giorni dal concepimento se vi è un serio pericolo per la salute della madre (di qui la qualificazione come aborto terapeutico). La legge si preoccupa di precisare che l’aborto è consentito in caso di accertamento di un serio pericolo non solo per la salute fisica, ma anche psichica, causato da condizioni economiche, sociali o familiari. Si tratta di una fattispecie molto ampia, nella quale ben potrebbe rientrare, in applicazione della legge, l’ipotesi di un serio turbamento psichico, conseguente all’accertamento sanitario di una grave malattia del concepito.

27

28 Questo profilo di incostituzionalità della norma viene evidenziato fra gli altri da R. VILLANI, op. cit., 64;

29 Viene in rilievo, a tal proposito, il caso deciso dal Tribunale di Catania (Trib. Catania, sez.I, 3 maggio 2004, in Fam. e dir., 2004, 4, 372 ss.), relativo ad una coppia di coniugi, entrambi portatori sani di Beta-talassemia ma altresì sterili, che avevano avuto accesso alle tecniche di PMA.

I coniugi avevano richiesto la diagnosi pre-impianto ex art. 14, comma 5, chiedendo, altresì, di non impiantare gli embrioni che, all’esito della diagnosi, fossero risultati malati, ma il direttore del centro aveva respinto tale richiesta, in applicazione dell’obbligo di unico e contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti (art. 14, comma2).

Contro tale rifiuto i coniugi si rivolgevano al Tribunale, per ottenere un provvedimento di urgenza, che dichiarasse il diritto della donna a veder impiantato in utero solo gli embrioni non affetti da patologie genetiche e a disporre la crioconservazione degli embrioni malati.

Veniva sollevato un duplice ordine di questioni, relative all’interpretazione della L. 40 ed alla sua legittimità costituzionale.Più precisamente, veniva proposta questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 5 per violazione degli artt. 2,3, 32 Cost., questione che il Tribunale ha dichiarato infondata.

E’ interessante precisare, che, tra le argomentazioni proposte dai ricorrenti, onde evitare l’incostituzionalità dell’art. 14, vi era anche quella di una possibile interpretazione “armonizzatrice” dell’art.14 con i principi costituzionali. Secondo l’interpretazione proposta, il richiamo alla legge 194/78, contenuto nel comma 1 dell’art.14, doveva intendersi nel senso che la eliminazione dell’embrione prodotto a seguito di fecondazione in vitro potrebbe avvenire nelle stesse ipotesi in cui è consentito ricorrere all’aborto, cioè in caso di gravi malformazioni.

Questa tesi è stata respinta, ma, al tempo stesso, i giudici hanno confermato che il richiamo di cui al predetto art 14, comma 1, serve a dare certezza che sia possibile il ricorso all’aborto anche nel caso di fecondazione assistita, (oltre che, naturalmente, nel caso di fecondazione naturale).

30 Cfr. anche le osservazioni di R. VILLANI, op. cit., 201 ss.

31 cfr. in tal senso F. GAZZONI, op. cit., secondo cui si assisterebbe ad una difformità di trattamento sotto un ulteriore profilo, poiché, mentre la donna sterile, potendo conoscere le condizioni di salute dell’embrione, può abbandonarlo, la donna fertile , non potendo ricorrere alla diagnosi pre-impianto potrebbe solo abortire.

32 Cfr. la distinzione prospettata dallo storico della medicina B. FANTINI, Il fantasma dell’eugenetica, in Questioni di bioetica, Laterza, 1997, 301 ss.

33 Afferma il filosofo della scienza GIULIO GIORELLO, in un’ intervista rilasciata a Riccardo Chiaberge, su Il Sole 24 ore, del 2 aprile 2005 “ non dobbiamo aver paura della nuova eugenetica….soprattutto se per eugenetica non si intende quella imposta dal nazismo e da altri regimi dittatoriali, ma quella suggerita a fine ottocento da Francis Galton che pensava al miglioramento della popolazione su base esclusivamente volontaria….”.

Il dibattito verte oggi su quello che viene definito un uso medico della PGD (diagnosi genetica reimpianto), considerando gli usi medici eticamente accettabili Tra gli scopi medici della PGD si fanno rientrare la prevenzione di malattie genetiche gravi, le malattie genetiche ad insorgenza tardiva, lo studio del sistema HLA per la selezione di pre-embrioni compatibili con fratelli affetti da gravi patologie che necessitano di trapianto di midollo osseo.

34 B. FANTINI, op. cit., 311 ss., sottolinea che la nuova eugenetica pone un dilemma etico fra libertà individuale e responsabilità collettive e propone al riguardo delle riflessioni affatto interessanti.

Il dilemma sembrerebbe risolto attribuendo il massimo di libertà agli individui ed il minimo di potere di intervento alle istanze collettive, ma questa soluzione è solo apparente perché, fra i tanti aspetti da considerare, vi è anche quello che la libertà della coppia è raramente tale, essendo spesso soggetta a condizionamenti di natura sociale e culturale.

Il rischio connesso alla nuova eugenetica è, allora, quello di reintrodurre “in negativo”, attraverso la possibile discriminazione sociale, culturale ed economica al livello di popolazione, una politica sociale che si era voluta escludere con l’affermazione della libertà assoluta dell’individuo o della coppia.

35 Cfr. sull’argomento il teologo K. GOLSER, Desiderare un figlio e pretenderlo sano: mutamenti culturali riguardo alla generazione, in Bioetica, 2001, 1, 182 ss., il quale distingue opportunamente fra eugenetica positiva e negativa, ma ritiene che lo scopo del ricorso alla diagnostica preimpiantatoria è chiaramente ed esclusivamente eugenetico (c.d. eugenetica negativa), perché essa non ha, per ora, nessuna prospettiva terapeutica.

A questo proposito, però, vanno fatte alcune importanti precisazioni.

La diagnostica, quale strumento di conoscenza, non può che considerarsi positiva. Oggi, attraverso le varie tecniche di diagnosi reimpianto, è possibile, sia capire lo stato di salute dell’embrione, sia individuare alcune (ma non tutte) le malattie genetiche.

Se l’esito della diagnosi è negativo, cioè non si è riscontra alcuna anomalia, l’effetto è quello di tranquillizzare i futuri genitori; se, invece, l’esito è positivo, l’effetto potrebbe essere o quello di far luogo ad una terapia, oppure, ove non sia possibile una terapia, mettere i genitori davanti all’alternativa di accogliere un figlio malato o rifiutarlo.

La selezione degli embrioni geneticamente malati è, quindi, solo una delle eventualità che possono verificarsi all’esito della diagnosi, ed è comunque finalizzata ad evitare la nascita di un bambino gravemente malato, non a far nascere un figlio perfettamente corrispondente ai propri desideri.

36 Con una nota presentata alla 12° Commissione permanente Igiene e Sanità, il Prof. Giuseppe Benagiano, Segretario generale della Federazione internazionale di ginecologia ed ostetricia, ha rilevato come, una pratica di tal fatta, sarebbe passibile, se non fosse imposta dalla legge, di denuncia all’autorità giudiziaria, per quella che viene comunemente denominata “malsanità”

37 cfr. sul tema R. VILLANI, La procreazione assistita, op.cit., 207 ss.; nonché STANZIONE-SCIANCALEPORE, Procreazione assistita, op.cit., 214 ss.

38 In merito alla diminuzione della percentuale dei successi della Procreazione medicalmente assistita in seguito all’applicazione della legge 40 (circa del 15 %) si veda l’articolo apparso su la Repubblica il 5 marzo 2005, nonché l’articolo di C. FLAMIGNI, su l’Unità del 6 marzo 2005.

39 Così, secondo P. ZATTI, La tutela della vita prenatale: i limiti del diritto, cit., 152 ss., anche di fronte al valore della vita individuale altrui lo schermo del corpo e dell’autodeterminazione, che eticamente può essere vulnerabile, si presenta sul piano giuridico con una forza ed un peso tali, da non far prevalere il contrapposto kvalore

40 cfr. le indicazioni sul punto in R. VILLANI, La procreazione assistita, cit., 208.

41 Cfr. STANZIONE-SCIANCALEPORE, Procreazione assistita, op. cit., 219 ss., secondo cui sembra, ancora una volta, che il legislatore della legge 40 voglia evitare di “sporcarsi le mani”, scaricando la responsabilità delle scelte difficili sui compilatori della legge sull’aborto. Da un lato si enuncia il principio che vieta la riduzione delle gravidanze multiple, per evitare il problema degli embrioni soprannumerari, dall’altro si rinvia alla legge sull’aborto nel tentativo di rendere la disposizione “razionale”.

Sul divieto di riduzione delle gravidanze plurime si veda, altresì, R. VILLANI, La procreazione assistita,op.. cit., 209ss, secondo cui, invece, la possibilità di riduzione fetale rappresenta la soluzione equilibrata all’ipotesi che l’unico e contemporaneo impianto dei tre embrioni produca una gravidanza multipla rischiosa. Tale soluzione normativa sarebbe, altresì, coerente con il sistema della L. 194/78 in quanto, superando una situazione di incertezza in merito all’applicazione della legge sull’aborto all’ ipotesi di riduzione fetale, la ha espressamente consentita, proprio nei casi nei casi previsti dalla legge sull’interruzione di gravidanza.

42 Sull’argomento delle gravidanza multiple si veda G. FERRANDO, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, 258 ss., secondo cui un’interpretazione della L.194/78 alla luce dei principi posti dal nostro ordinamento, ed esplicitati nelle sentenze della Corte Costituzionale, avrebbe dovuto portare ugualmente ad ammettere la possibilità di una riduzione fetale nell’ambito di applicazione della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza.

43 Alcuni degli argomenti contrari e favorevoli alla diagnosi preimpianto vengono riportati da R. VILLANI, La procreazione assistita, cit., 61 ss.

44 Sulla diagnosi preimpianto si legga la relazione di C. CIROTTO, La diagnosi pre-impianto, in www.laprocreazioneassistita.it

45 Le linee guida ministeriali sono contenute nel D.M. 4 agosto 2004.

Secondo F. GAZZONI, op. cit., 28 ss. le linee guida avrebbero illegittimamente ristretto la portata della legge 40, andando contro, in tal modo, l’art.7 della L. 40, secondo cui esse devono indicare solo le procedure e le tecniche di fecondazione. Si tratterebbe, quindi, di una modificazione contra legem, ad opera di fonte secondaria, con eccesso di delega

Di diverso avviso è F. MODUGNO, La fecondazione assistita alla luce dei principi e della giurisprudenza costituzionale, Relazione al Convegno “Procreazione assistita: problemi e prospettive”, Roma, 31 gennaio 2005, Accademia dei Lincei i cui atti sono raccolti e pubblicati sul sito “www.laprocreazioneassistita.it”, il quale ritiene che le linee guida, in quanto regolamento volto a fornire un’interpretazione conforme a Costituzione, anche se non in linea con il dettato della legge 40, sarebbero valide e non annullabili per contrasto con essa.

In realtà, come evidenziato nel testo, è già presente all’interno della stessa legge la contraddizione tra astratto divieto di diagnosi pre-impianto a scopo selettivo ed il diritto della coppia di informarsi sullo stato di salute degli embrioni.

46 Così Trib. Catania 3 maggio 2004, cit., 372 ss., con note di G. Ferrando e M. Dogliotti.

Si configurerebbe, nel caso di rifiuto della donna, un inadempimento all’obbligo di impianto, che sarebbe duramente sanzionabile con la condanna alla reclusione fino a tre anni e multa da 50.000 a 150.000 euro, poiché condurrebbe all’esito finale della soppressione degli embrioni (art.14, comma 6)

47 Anche le linee guida ministeriali parlano di non coercibilità dell’impianto.

48 A questa conclusione giunge F. GAZZONI, ,op. cit., 30.

49 Forse l’ultima modesta speranza potrebbe essere legata ad una interpretazione estensiva del disposto dell’art. 14, comma 3, il quale consente la crioconservazione degli embrioni, allorquando il trasferimento non sia possibile per causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, non prevedibile al momento della fecondazione.

Si potrebbe, infatti, giustificare il rifiuto della donna come volto alla tutela dello stato di salute, da intendersi in senso ampio e cioè ricomprensivo della salute psichica, con conseguente ammissibilità della crioconservazione nel caso in cui il disagio psichico, dovuto alla notizia di grave malformazione dell’embrione, determini il rifiuto di portare a positiva conclusione la procedura di PMA. Ma, a ben riflettere, in quest’ultima ipotesi difetterebbe il requisito dell’imprevedibilità, perché, al momento della richiesta della diagnosi, la donna avrebbe potuto e, o, dovuto prefigurare un suo possibile turbamento a seguito della diagnosi di una patologia embrionale.

In realtà, come si avrà modo di precisare più avanti, le linee guida, ancora una volta in contrasto con quanto stabilito dalla legge, ammettono la crioconservazione degli embrioni a seguito di mancata attuazione del trasferimento dell’embrione non solo nell’ipotesi specifica del comma 3 dell’art.14 ma in ogni caso.

50 Anche questo quesito referendario è stato dichiarato ammissibile con la sent.n.48 dalla Corte Costituzionale.

51 Cass.16 marzo 1999, n.2315, in Corr.giur., 1999, 429 ss., con nota di Schlesinger, Inseminazione eterologa:la Cassazione esclude il disconoscimento di paternità, preceduta dalla sentenza della Corte cost. 26 settembre 1998, n.347, in Nuova giur.civ.comm., 1999, I, 51 ss., con nota di Palmerini.

5250 Nell’ipotesi della c.d. maternità surrogata , che si ha quando una donna porta a termine una gravidanza “per conto” di un’altra donna da cui ha ricevuto l’ovulo fecondato, il problema dell’attribuzione della maternità trova soluzione, in caso di contrasto fra madre genetica e madre uterina, sempre nel principio della procreazione espresso dall’art.269 c.c., con la conseguenza che colei che ha partorito il figlio può rivendicarne la maternità, prevalendo sulla madre genetica per la quale aveva portato a termine la gravidanza.

Si veda in tema la sentenza del Tribunale di Roma ( Trib. Roma, 12 febbraio 2000, in Giust. Civ., 2000, I, 1158) con la quale il giudice ha autorizzato l’impianto nell’utero di una donna dell’ovulo fecondato artificialmente di un’altra donna, risolvendo il serio problema del potenziale conflitto fra madre uterina e madre biologica con argomentazioni poco giuridiche ed affatto stravaganti.

53Al contrario, dubbi sull’armonia con i principi costituzionali della fecondazione eterologa esprimono sia A. BARBERA, op. cit., nella relazione presentata al convegno sulla procreazione assistita e disponibile su www.laprocreazioneassistita.it, sia F. GAZZONI, op.cit.

54 cfr. fra gli altri N. LIPARI, Legge sulla procreazione assistita e tecnica legislativa, cit., 3 ss. ; G. FERRANDO, Il divieto di fecondazione eterologa, in La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi., Ed. Corriere della sera, 2005, 95 ss.; A. CELOTTO, La legge sulla procreazione, cit., 66 ss.

Non vi è dubbio che il divieto di fecondazione eterologa in Italia avrebbe portato ad un aumento del c.d. “turismo procreativo”. D’altra parte occorre considerare che l’inseminazione eterologa è ammessa in tutti i paesi europei e che in virtù della libertà di circolazione dei servizi all’interno dell’Unione Europea, che comprende anche quella di ottenere servizi sanitari in un altro Stato membro, è possibile l’accesso in un altro Stato alle tecnologie riproduttive vietate nello Stato di appartenenza. Perciò una coppia che voglia accedere alla fecondazione eterologa può andare in un altro Paese europeo per ottenere i servizi che sono vietati in Italia, sopportando un maggiore costo economico, ma non per questo il divieto di eterologa può risultare in contrasto con l’art. 3 Cost.

Invero, la scelta del legislatore sembra incompatibile con il principio di eguaglianza dell’art.3 Cost, sotto un altro profilo, e cioè perché crea una discriminazione fra cittadini basata su una condizione personale, il tipo di sterilità (malattia) da cui sono affetti.

Inoltre il divieto risulta incompatibile anche con l’art. 12 del Trattato della Comunità Europea che vieta una discriminazione in base alla nazionalità dei cittadini comunitari.

55 E’ opinione di alcuni giuristi (cfr. infra A. BARBERA, op.cit.; F. GAZZONI, op.cit.) che, in tal modo, verrebbe sovvertita dalla legge 40 la concezione della famiglia come società naturale, arrivando a creare una scissione fra maternità e paternità naturale e maternità e paternità legale. Tale scissione è presente anche nell’adozione, che, però, diversamente dalla fecondazione eterologa, è un rimedio ad un male e non lo crea. Questa opinione è sorretta dall’idea che il legame genetico con uno solo dei genitori sarebbe in contrasto con l’ordine naturale della famiglia, richiamato dalla Costituzione attraverso la locuzione “società naturale”, e basato sulla generazione biologica e sul dovere di fedeltà generativa fra i coniugi.

Ma, al di là della funzione per cui sono stati creati, l’istituto dell’adozione e dell’affidamento familiare, da un lato, e i limiti all’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità o, all’accertamento giudiziale della paternità, dall’altro, testimoniano una evoluzione normativa del concetto di famiglia e di filiazione non più o non solo fondati sulla generazione biologica ma anche e soprattutto sul consenso e sulla responsabilità.

Non è un caso (a meno che non lo si voglia ritenere l’ennesimo errore della legga 40) che la stessa legge sulla procreazione assistita, considerando l’adozione un’alternativa alla fecondazione assistita, le pone sullo stesso piano, non facendo distinzioni sotto il profilo dell’interesse tutelato (quello del minore nell’adozione, quello della coppia nella fecondazione assistita).

Quanto poi al supposto principio di naturalità della procreazione di esso non vi è traccia nei principi costituzionali e ad esso, invero, fanno richiamo in pochi a sostegno del divieto di fecondazione eterologa.

D’ altro canto, le stesse tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo omologo non farebbero salva, secondo alcuni, la “naturalità” della fecondazione, talché andrebbe utilizzata più correttamente l’espressione linguistica “fecondazione artificiale” (così polemicamente F. GAZZONI, op. cit., 1ss).

Invero la contrapposizione tra artificialità e naturalità della procreazione è legata alla accezione che si dà al termine “artificialità” all’interno della locuzione “fecondazione artificiale”. Se infatti si intende l’artificialità come il venir meno della connotazione biologica ,va detto che nella procreazione assistita la fecondazione non perde tale connotazione.

Se, invece si intende, l’allontanamento dallo schema sessualità-riproduzione, occorre riconoscere che tale deviazione è presente nella procreazione assistita. D’altro canto, la Chiesa Cattolica ha da sempre condannato la procreazione medicalmente assistita anche omologa, motivando il divieto di pma proprio sulla base della inscindibile connessione fra l’atto coniugale ed il significato procreativo (sull’ orientamento della Chiesa Cattolica in tema di procreazione assistita cfr., fra gli altri, M. MORI, La novità della bioetica, in Questioni di bioetica, Laterza, 1997, 403 ss, G. TONINI, op. cit., 65 ss). Sull’ inscindibilità fra concepimento ed amore coniugale propone un’interessante riflessione G. Tonini (op. cit., 66 ss), sottolineando il valore antropologico e non naturalistico di tale connessione, da cogliersi nella relazione e nella vita coniugale e non, in modo riduttivo, nel singolo atto sessuale fra coniugi .

56 Si ritiene opportuno inserire solo in nota l’argomentazione, utilizzata dai contrari al riconoscimento dell’ammissibilità di tipo eterologo, secondo cui il nato da PMA eterologa sarebbe soggetto a turbe o disturbi di tipo psicologico-evolutivo. Si tratta, infatti, di una argomentazione non giuridica, ma di natura sociale e psicologica che qualche giurista, a corto di argomenti tecnici, non ha esitato ad utilizzare.

Va detto, comunque, che nel corso dei lavori preparatori della legge 40 e del successivo dibattito parlamentare, non solo non era emersa alcuna conferma dei rischi per il nato da PMA eterologa, ma, al contrario, era stata acquisita l’unica ricerca accreditata dall’Organizzazione mondiale della sanità, effettuata su un campione di 25.000 bambini, nati da fecondazione eterologa, secondo cui gli stessi non avevano patito alcun disturbo.

Ancora, le numerose audizioni presso la Commissione igiene e sanità avevano consentito di accertare che, diversamente dall’assenza della doppia figura genitoriale, la non corrispondenza fra sfera biologica e sociale, non è pregiudizievole per lo sviluppo psichico del nato.

Deve concludersi, quindi, che non è stato quello dei disturbi di tipo psicologico-evolutivo, il motivo determinante nella scelta del divieto di pma eterologa.

57 Invero la stessa disciplina dell’adozione, come anche l’esistenza di termini rigorosi e la presenza di specifici casi per l’esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità, la necessità del consenso del figlio per il suo riconoscimento, l’inammissibilità della dichiarazione giudiziale di paternità quando contrasti con l’interesse del figlio rappresentano un segno del carattere non preminente ed assoluto riconosciuto alla verità biologica rispetto a quella legale. Il potere del legislatore di privilegiare la verità legale su quella biologica nell’interesse del minore, riconosciuto dalla stessa giurisprudenza, presuppone un giudizio di prevalenza del principio della responsabilità della procreazione sul principio della necessaria derivazione biologica del nato dal padre.

58 Qualche autore (cfr R. VILLANI, op. cit., 148 ss.; S. PATTI, op. cit., 136 ss.) ha proposto l’ applicazione dell’art. 28 della stessa legge in tema di adozione nazionale, che prevede il diritto dell’adottato di accedere ad informazioni sull’origine ed identità dei propri genitori biologici, solo al raggiungimento del venticinquesimo anno di età o, in caso di gravi motivi attinenti alla salute psicofisica, al raggiungimento della maggiore età.

Sembra preferibile, tuttavia, l’applicazione in via analogica dell’art. 37, comma 1, perché, oltre ad offrire una soluzione del problema dell’accesso ai dati nell’eventualità in cui il donatore di gameti sia straniero, concederebbe la possibilità di conoscere, sebbene in qualunque momento, solo i dati del donatore strettamente rilevanti per la salute del nato, mantenendo segrete tutte le altre informazioni che riguardano l’identità del genitore biologico.

59 Sulle possibili soluzioni normative cfr. S. PATTI, op. cit., 135 ss.; R. VILLANI, La procreazione assistita, cit., 120 ss.

In altre esperienze giuridiche, che ammettono la fecondazione eterologa, quali la Svezia o la Repubblica federale tedesca, è stato ritenuto prevalente il diritto del nato a conoscere l’identità del genitore naturale escludendo, però la configurabilità di diritti nei suoi confronti.

60 Il quesito referendario è stato dichiarato ammissibile con la sent. n.46 del 2005 della Corte Costituzionale.

61 Sul punto si esprime A. BARBERA, op. cit., 4 ss., secondo il quale, sul tema della ricerca, potrebbe trovarsi una composizione proprio nella distinzione fra la produzione di embrioni per fini di ricerca (da vietare) e l’utilizzazione di embrioni già prodotti e destinati a sicura perdita (da consentire) , fermo restando il divieto di clonazione a fini riproduttivi, composizione che non risulterebbe contraria alla Convenzione di Oviedo che richiede una “particolare misura a tutela dell’embrione “ ma non esclude la ricerca “.

A questo proposito va aggiunto, però, che, proprio per essere in linea con l’art. 18, che prevede misure protettive per l’embrione, la legge dovrebbe consentire la ricerca solo sugli embrioni destinati a sicura distruzione, riconoscendo all’embrione, prima di essere “sacrificato” per il progresso scientifico, il diritto di essere salvato attraverso un sistema di graduazione di possibili soluzioni.

Diversamente secondo F. GAZZONI, op. cit., qualora il referendum abrogativo avesse esito positivo, la ricerca sugli embrioni sarebbe consentita senza alcun limite, compresa quella sulle cellule staminali embrionali, che comporta un prelievo di cellule incompatibile con la nozione di “protezione adeguata dell’embrione” richiesta dall’art. 18 della Convenzione di Oviedo.

62 Solo in Gran Bretagna, tra il 1991 ed il 1998 sono stati gettati 237.601 embrioni umani. In Italia il numero attuale di embrioni crioconservati nelle strutture italiane è stimato intorno ai 30.000.

63 Così C. REDI, “Libertà di ricerca, bioetica e cellule staminali” Relazione al Convegno “Procreazione assistita: problemi e prospettive”, Roma, 31 gennaio 2005, Accademia dei Lincei, i cui atti sono raccolti e pubblicati sul sito “www.laprocreazioneassistita.it”.

64 cfr. sul punto le informazioni contenute nella relazione di C. REDI , cit., che ricorda la dichiarazione di Annecy e dell’Unesco sottoscritte dall’Italia in materia di ricerca sulle cellule staminali.

65 F. GAZZONI, op. cit., 34, prospetta questa soluzione configurando in capo alla coppia il potere di dare il consenso alla utilizzazione a fini di ricerca degli embrioni creati che giacciono crioconservati e sono, pertanto “teleologicamente “morti, non diversamente da quanto avviene in caso di donazione di organi da cadavere. Secondo l’a., però, dovrebbe rimanere fermo il divieto di ricerca sugli embrioni per il futuro.

Risulta sommamente improbabile, però, che gli embrioni soprannumerari futuri possano trovare, allo stato normativo, una diversa collocazione dalla crioconservazione in attesa di una loro distruzione.

A BARBERA, op. cit., 4, giustamente osserva che anche la Chiesa consente oggi l’espianto di organi nel caso di morte cerebrale (quando cioè vi è ancora vita, seppur vegetativa), sicché non si capisce perché non si possa consentire il prelievo di cellule in embrioni non più vitali in cui non c’è ancora un’attività cerebrale, ma solo un tessuto cerebrale.

66 Cfr.sul punto STANZIONE –SCIANCALEPORE, op. cit., 232 ss., anche in merito al problema, strettamente collegato a quello della graduazione, dell’individuazione dei soggetti su cui far ricadere le scelte sul destino dell’embrione.

A parere di chi scrive, non vi è dubbio che la scelta delle varie soluzioni dovrebbe essere compito esclusivo del legislatore, essendo l’ipotesi della destinazione degli embrioni alla ricerca, subordinata al mancato realizzarsi delle precedenti.

Fermo restando la difficile realizzabilità della prima delle tre ipotesi, la configurabilità di un’adozione dell’embrione “abbandonato da parte di un’ altra coppia –in applicazione analogica delle disposizioni sull’adozione dei minori- risulta più corretta , in termini giuridici , rispetto alla configurazione della donazione dell’embrione che potrebbe giustificarsi solo in una logica proprietaria seguendo la quale gli embrioni verrebbero considerati “cose” e non vita umana. Inoltre, applicando le regole sull’adozione e non quelle sulla donazione si sottrarrebbe ai genitori biologici il potere discrezionale di scegliere il destino dell’embrione , dato che unico presupposto per far luogo all’adozione dell’embrione sarebbe lo “stato di abbandono”, ma non anche l’espressione di un consenso dei genitori naturali.

La destinazione degli embrioni alla ricerca, intervenendo come ultima ipotesi, subordinatamente al mancato realizzarsi delle precedenti, si proporrebbe come soluzione alternativa alla sicura distruzione degli embrioni.

67 Nel capitolo delle linee guida che tratta delle “Misure a tutela dell’embrione” vengono individuate due fattispecie in cui è possibile la crioconservazione: la prima è quella corrispondente all’ipotesi dell’art.14, comma 3, la seconda è quella in cui il trasferimento dell’embrione non risulti attuato per qualunque motivo:

“Qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per cause di forza maggiore relative allo stato di salute della donna non prevedibili al momento della fecondazione e, comunque, un trasferimento non risulti attuato, ciascun embrione non trasferito dovrà essere crioconservato in attesa dell’impianto che dovrà avvenire prima possibile.

Qualsiasi embrione che non sia trasferito in utero verrà congelato con onere a carico del centro di procreazione medicalmente assistita in attesa del futuro impianto”

Dunque il congelamento viene consentito, ogni centro che pratichi la PMA deve essere attrezzato per il congelamento di gameti ed embrioni e gli oneri di crioconservazione, in caso di rifiuto della donna, sono a carico del centro di PMA

68 Cfr. sull’argomento anche G. TONINI, op. cit., 104 ss.

69 Art. 11 della Dichiarazione e art.1 del Protocollo addizionale alla Convenzione di Oviedo

70 Si veda in proposito l’interessante relazione di C. REDI , Libertà di ricerca, bioetica e cellule staminali. cit. che ribadisce il no alla clonazione riproduttiva espresso dalla comunità scientifica, basato non su disquisizioni filosofiche o convincimenti morali, ma su dati scientifici che fanno crollare le “impalcature concettuali” a favore della clonazione umana.

71 Il c.d. Tnsa (Trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe) si basa sull’inserimento di un nucleo di cellula adulta , prelevata da un paziente, in un ovocita privo del proprio nucleo e consente di ottenere cellule staminali da differenziare verso le linee cellulari e per la formazione di tessuti o organi.

72 La commissione Dulbecco fu nominata dall’allora Ministro della sanità, U. Veronesi e facevano parte di essa anche autorevoli membri come il Cardinale Ersilio Tonini e l’attuale Ministro della salute G. Sirchia.

73 Si legga l’interessante intervista rilasciata dal genetista americano ROGER PEDERSEN a Stefania Maurizi su La Stampa del 20 aprile 2005. PEDERSEN sottolinea l’importanza di studiare le cellule staminali embrionali per non precludere un intero settore di applicazioni mediche, utilizzando, a tal proposito, un paragone con gli antibiotici il cui studio, anche dopo la scoperta della penicillina, ha consentito di trattare le infezioni resistenti o i pazienti allergici alla penicillina. Egli conferma, inoltre, che, pur non avendo ancora terapie (le cellule staminali embrionali sono state scoperte nel 1998), si ha già la prova, usando i modelli animali come i topi, che in linea di principio le embrionali hanno applicazioni terapeutiche.,

74 Si veda in proposito la relazione di A. VESCOVI, Le cellule staminali embrionali ed adulte e la legge sulla procreazione medicalmente assistita. Quali sono i fatti?,” Relazione al Convegno “Procreazione assistita: problemi e prospettive”, Roma, 31 gennaio 2005, Accademia dei Lincei i cui atti sono raccolti e pubblicati sul sito “www.laprocreazioneassistita.it”.

75 Questa importante precisazione è contenuta nella stessa sentenza n.46 della Corte Costituzionale che si è pronunciata a favore del referendum in questione, sottolineando, la non contrarietà su questo punto con l’art. 1 del Protocollo addizionale della Convenzione di Oviedo, poiché dalla normativa di risulta, anche a seguito dell’eventuale abrogazione di alcune parti della disposizione dell’art. 12, comma 7, della legge 40, emergerebbe chiaramente il divieto di clonazione a fini riproduttivi..

76 Un’ampia riflessione concernente la valenza politica ed i risvolti giuridici degli imminenti referendum sulla legge 40 si trova in Quaderni Radicali, Ricerca Scientifica e procreazione assistita. I referendum cambieranno il quadro politico? Edizioni Riformiste, Roma, 2005.

77 Basti ricordare il “progetto Bolognesi”, proposto dalla coalizione di centro sinistra e portato in aula agli inizi del 1999. Avviato il processo legislativo il progetto è stato modificato nel “testo Cé” fortunatamente bloccato al Senato nel luglio del 2000.

Successivamente alla proposta dei quesiti referendari per l’abrogazione di alcune disposizioni della legge 40 del 2004, si sono susseguiti disegni di legge sulla fecondazione assistita modificativi della legge 40, sia da parte delle forze governative ( Fecondazione, la riforma Prestigiacomo,sul Corriere della sera del 15.10.2004), sia da parte dell’opposizione ( “Fecondazione, testo di Amato”, su la Repubblica del 6.10.2004). Il Disegno di Legge” Amato” ed il Disegno di Legge “Tonini” si trovano integralmente pubblicati in Appendice di G.TONINI, La ricerca e la coscienza.La procreazione assistita tra legge e referendum. Ed. Il Riformista, 2005.

78 Così A.BARBERA, nella relazione presentata al Convegno “Procreazione assistita: problemi e prospettive”

Mastropietro Barbara

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