Autocertificazione: cosa cambia dal 4 maggio e chi sono i congiunti?

Cristian Mauro 04/05/20
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Con l’annuncio delle nuove misure che rientrano nella c.d. “fase due” e la pubblicazione in G.U. del testo del d.p.c.m 26 aprile 2020, si è aperto un lungo dibattito sulla nuova causa legittimante gli spostamenti intraregionali: “incontrare congiunti” (art. 1 co.1 lett. a).

Domenica 3 maggio il Viminale ha reso disponibile un nuovo modulo di autocertificazione che tuttavia non prevede l’aggiunta di un quinto motivo alle seguenti cause preesistenti: comprovate esigenze lavorative; assoluta urgenza (trasferimento in comune diverso); situazione di necessità (spostamenti abituali di breve distanza); motivi di salute. Di fatto il nuovo modello si limita ad aggiornare i riferimenti normativi e resta comunque utilizzabile quello precedente.

Nella serata di sabato, invece, dopo qualche giorno di attesa, il governo ha diramato le faq (le risposte alle domande frequenti) sul proprio sito, per provare a chiarire alcuni aspetti più confusi: le modalità di compilazione del modulo e la questione dei congiunti con un vero e proprio – anche se non esaustivo – elenco di relazioni affettive per le quali sarà consentito muoversi all’interno della propria regione. Restano comunque degli spazi d’ombra: proviamo a chiarirli.

Si legga anche: “Covid-19, on line il modello di autodichiarazione per gli spostamenti dal 4 maggio”

Come compilare il modulo e cosa cambia nei controlli

La questione più dibattute sono state senza dubbio quella che riguarda la “nuova” autocertificazione e le modalità di controllo delle forze dell’ordine. Partiamo con ordine.
Come detto, dal ministero dell’interno è alla fine arrivato un nuovo modulo, a tal proposito consigliamo di diffidare dagli annunci di nuovi modelli non ufficiali e fuorvianti che hanno imperversato da giorni i social e con altri annunci in rete. Si tratta di una versione sostanzialmente identica alla precedente: c’è da credere che il governo, anche per una mera questione mediatica, voglia convincere i cittadini che dal quattro maggio non ci sarà nessun “liberi tutti” in merito agli spostamenti, per cui le cause degli stessi dovranno restare ancorate alle ragioni di necessità, seppur nei ranghi di declinazione ora più ampi di questa espressione limitativa.

E dunque: cosa si dovrà scrivere per giustificare uno spostamento presso un congiunto?
Innanzitutto, per ovvie ragioni di privacy, non vi sarà richiesto di inserire il nome della persona presso la quale vi state recando. Sul punto, si rende necessario precisare che anche al di là della nuova possibilità di spostamento, i controlli possono e devono limitarsi all’individuazione della causa legittimante, ma mai consentono l’intrusione nella sfera privata dei soggetti, con riguardo alle ragioni specifiche dello spostamento oltre le motivazioni già richieste dal modulo: si pensi per esempio agli articoli acquistati o da acquistare nella spesa per necessità, alle condizioni di salute, alle specifiche mansioni professionali da adempiere nell’ambito delle comprovate ragioni di lavoro.

Dunque, bisognerà barrare una delle quattro ragioni, nel caso specifico quella di “situazione di necessità”, compilare i campi che richiedono l’indirizzo di partenza e quello di destinazione, e presumibilmente, nella sezione delle note, indicare il “rapporto stabile” o la parentela o affinità che vi lega alla persona cui fate visita.

Con una circolare inviata ai prefetti, poi, dal Viminale hanno provato a chiarire le modalità di controllo delle forze dell’ordine, specificando, nell’ambito della nuova previsione legittimante, cosa si intenda per congiunti e che restano validi l’obbligo di distanziamento sociale e il divieto di assembramento.  Per chi invece si chiede fino a che punto sarà legittimo “indagare” nelle ragioni dello spostamento verso un congiunto, soprattutto in relazione a quei legami non assistiti da gradi di parentela o affinità, la questione è paradossalmente semplice: bisogna infatti considerare che i principi dell’autodichiarazione, l’essenza stessa di questa procedura scelta dal governo ormai due mesi fa, non cambiano. Ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.p.r. n. 445/2000, è infatti il cittadino che, con la certificazione di un pubblico ufficiale, si assume la responsabilità di quanto dichiarato riguardo a stati, qualità e altre circostanze della persona. Appaiono dunque probabilmente eccessive le polemiche sulla “dimostrabilità” dei rapporti. Se è vero infatti che il pubblico ufficiale deve valutare la sussistenza di una delle cause di legittimità dello spostamento ed eventualmente sindacarne la non ricorrenza, punendo lo spostamento illegittimo, non è altrettanto vero che egli debba poter dimostrare e risalire, seduta stante, alla veridicità di quanto dichiarato. È proprio per questo motivo che, anche nei vari d.p.c.m. di queste settimane, si parla espressamente di controlli “successivi”. Resta da considerare, per ultimo, che quanto dichiarato dal soggetto in un modulo auto-compilato a norma di legge, fa fede fino a querela di falso e sarà solo un giudice, nell’ambito di un eventuale processo penale, a dover stabilire la veridicità di quanto sostenuto dal dichiarante, nel caso specifico per esempio rispetto al rapporto che lo lega con una persona che non rientri nella propria sfera parentale o affine.

La definizione di “congiunti” e le comunicazioni ufficiali del governo

 

Arriviamo dunque alla questione che ha incuriosito, più di ogni altra, milioni di italiani: chi sono i c.d. “congiunti”? Tra le principali domande rivolte ai motori di ricerca, immediatamente dopo le parole del Presidente del Consiglio Conte della scorsa settimana, infatti, la parola in questione è balzata in cima alla lista e, al netto delle ironie che ne sono scaturite, non è così agevole pervenire a una nozione oggettiva, soprattutto se si considera che il termine deve avere necessariamente una qualche connotazione normativa.

Rispetto alle note Ansa pervenute da Palazzo Chigi, anche in risposta alle polemiche che soprattutto via social sono seguite all’annuncio di Conte, si è potuto subito intuire che l’intenzione del governo fosse chiaramente quella di superare il più oggettivo legame di parentela.

La prima espressione fornita alla stampa è stata quella di “affetto stabile”, una declinazione neanche troppo distante da quelle “relazioni affettive” che da tempo immemore sono oggetto di pronunce della Corte EDU, nonché delle corti nazionali di ogni Paese, soprattutto però in merito a questioni più specifiche come l’ambito familiare, il rapporto di affidamento, il risarcimento del danno.

In Italia, l’espressione “congiunto” ha trovato una declinazione, per la verità totalmente confinata ai rapporti parentali, nella legge penale, in particolare nell’art. 307 c.p., laddove per “prossimi congiunti” si fa riferimento ai soli discendenti, ascendenti, coniuge e unito civilmente, fratelli, sorelle, affini nello stesso grado, zii e nipoti. Ma come si diceva, è nella giurisprudenza che l’espressione ha incontrato interpretazioni estensive, come nella sentenza della Cassazione n. 46351 del 2014, in cui si parla di “relazione di affettività stabile” soprattutto con riferimento ai “fidanzati”.

E però, come se la questione non fosse di per sé abbastanza confusa, le dichiarazioni ondivaghe di membri del governo, le quali hanno dapprima manifestato l’intenzione di aprire anche alla possibilità di fare visita ad amici, e poi smentito – “non sono affetti stabili” – con sospetta irragionevolezza, hanno definitivamente imposto la necessità di ricorrere a un’elencazione dei rapporti “giustificanti”.

È quello che l’esecutivo ha provato a fare con le faq sulla “fase due” pubblicate sul proprio sito: «L’ambito cui può riferirsi la dizione “congiunti” può indirettamente ricavarsi, sistematicamente, dalle norme sulla parentela e affinità, nonché dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile.

Alla luce di questi riferimenti, deve ritenersi che i “congiunti” cui fa riferimento il DPCM ricomprendano: i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)». Inoltre, nella circolare appena richiamata, i prefetti sono stati invitati a fare riferimento alla “duratura e significativa comunanza di vita ed affetti”.

Pare dunque potersi affermare che, sempre al netto del divieto espresso di assembramento in luoghi pubblici e privati e di una generale prudenza che si impone in casi così eccezionali, le maglie del divieto generale di spostamento all’interno del proprio comune e di quelli limitrofi abbiano subito un evidente allargamento, in favore di un generale, e comunque non incontrollato, affidamento al senso civico.

 

 

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