Molto studiato, discusso e disciplinato è il tema dei rapporti tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, per interventi
da eseguirsi su immobili oggetto di vincolo di interesse culturale di cui alla parte III del d.lgs. n. 42/2004 (il Codice dei beni culturali e del paesaggio).
Altrettanto non può dirsi con riferimento al tema degli interventi su immobili costituenti “beni culturali”, oggetto della parte II del medesimo Codice.
Con il presente contributo, dunque, si tenterà di offrire – per quanto possibile – una panoramica delle principali problematiche, anche alla luce della giurisprudenza amministrativa.
1. Gli articoli 20, 21 e 22 del d.lgs. n. 42/2004 (“Codice dei beni culturali”)
1.1 Le norme che, direttamente, disciplinano la materia degli “interventi edilizi” su beni culturali sono gli articoli 20-23 del Codice.
L’art. 20 pone la regola generale in base alla quale “i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione” (comma 1).
La successiva disposizione individua il novero degli interventi “subordinati ad autorizzazione del Ministero” (ossia della Soprintendenza MIBACT territorialmente competente).
In particolare, per quanto qui strettamente di interesse (ossia gli interventi lato sensu “edilizi”) il comma 4 dell’art. 21 prevede che:
– “l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente”;
– “Il mutamento di destinazione d’uso dei beni medesimi è comunicato al soprintendente per le finalità di cui all’articolo 20, comma 1”.
1.2 La disposizione, già a prima lettura, lascia emergere diverse questioni, giuridiche e pratiche. Innanzi tutto, è agevole osservare come non vi sia alcuna soglia di rilevanza/irrilevanza degli interventi: la norma, infatti, si riferisce ad “opere ed interventi di qualunque genere”, con una formula quindi chiaramente (e, s’intende, volutamente) a larghissimo spettro.
In ciò si coglie la prima grande differenza rispetto al regime abilitativo degli interventi da eseguirsi su beni interessati da c.d. vincoli paesaggistici per i quali il combinato disposto degli articoli 149 del Codice (“interventi non soggetti ad autorizzazione”) e del d.P.R. n. 31 del 2017 (“Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata”) individua diversi interventi “liberi”.
Così, appunto, non è per gli interventi da eseguirsi sui beni culturali, per i quali la legge impone sempre un controllo preventivo della Soprintendenza.
Lo stesso è a dirsi per la questione della destinazione d’uso: anche in questo caso la formula normativa è tale da imporre un controllo ex ante senza che sia possibile individuare – almeno non con un ragionevole margine di approssimazione – fattispecie non ricomprese nel potere di controllo soprintendentizio. 1.3 Tale larghissimo (sostanzialmente “indeterminato”) campo di applicazione della disciplina in questione trova giustificazione, oltre che nella scelta del legislatore di offrire una tutela preventiva rafforzata ai beni culturali (tale da escludere qualunque forma di deregulation o semplificazione), anche nella circostanza che, talvolta, i provvedimenti impositivi di “vincolo culturale” hanno un apparato dispositivo limitato ad affermazioni di carattere generale o, comunque, che necessitano di valutazioni “applicative” (discrezionali) da parte della Soprintendenza in sede di apprezzamento del singolo “intervento”, per lo più in assenza di limiti normativi o regolamentari ben precisi.
Il che lascia intendere come, con riferimento ai provvedimenti autorizzatori qui in esame, il tema (di per sé già foriero di “attriti” tra privato ed amministrazione) della discrezionalità nel rilascio (o meno) dell’autorizzazione sia particolarmente problematico.
2. Qualche possibile “linea guida” per valutare la legittimità dei dinieghi soprintendentizi di diniego di autorizzazione per interventi edilizi su beni culturali: dialogo e principio di proporzionalità
2.1 Date le premesse che precedono, proviamo ora ad individuare qualche criterio e “strumento” giuridico utile, nella pratica, ai fini di una eventuale (e non rara) interlocuzione con il MiBACT.
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