“Assoluta indigenza” ex art. 284, co. 3 c.p.p.: a cosa fare riferimento?

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A cosa si deve fare riferimento per la configurabilità della condizione di “assoluta indigenza” di cui all’art. 284, co. 3 c.p.p.?

Per approfondire si consiglia: Procedimento ed esecuzione penale dopo la Riforma Cartabia

Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – sentenza n. 34931 del 16 agosto 2023

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Indice

1. La questione

Il Tribunale di Lecce rigettava un appello proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., avverso un’ordinanza della Corte d’Appello di Lecce che aveva rigettato la richiesta del ristretto, sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, di trasferire in altro luogo quello di esecuzione della misura cautelare e di assentarsi dal luogo dell’arresto per esercitare l’attività lavorativa di fabbro.
Ciò posto, avverso questa ordinanza proponeva ricorso per Cassazione la difesa, enunciando un unico motivo, con il quale il ricorrente deduceva, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e ed e), cod. proc., l’inosservanza dell’art. 284, comma 3, dello stesso codice.

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2. La soluzione adottata dalla Cassazione

La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto infondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere fatto presente, da un lato, che il comma 3 dell’art. 284 cod. proc. pen. stabilisce che il giudice può autorizzare l’imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi dall’abitazione per provvedere alle sue «indispensabili esigenze di vita» ovvero per esercitare un’attività lavorativa quando versi in una «situazione di assoluta indigenza», dall’altro, che la giurisprudenza della Corte di Cassazione è costantemente orientata nel senso che la condizione di «assoluta indigenza» va riferita ai bisogni primari dell’individuo e dei familiari a suo carico, ai quali non può essere data soddisfazione se non attraverso il lavoro posto che la nozione di “bisogni primari” si carica di significati concreti con l’evolversi delle condizioni sociali, dovendo ritenersi in essi comprese, a titolo esemplificativo, le spese per le comunicazioni, l’educazione e la salute, facevano conseguire da ciò che non opera un’interpretazione analogica o estensiva, vietata dal carattere eccezionale della norma, il giudice che rifiuti una concezione “pauperistica” dell’assoluta indigenza, comprendendo nelle esigenze cui sopperire anche necessità ulteriori rispetto a quelle della fisica sopravvivenza (vitto, vestiario e alloggio) (Sez. 6, n. 2530 del 01/07/1999; in senso analogo: Sez. 4, n. 10980 del 29/01/2007; Sez. 4, n. 9109 del 10/12/2004).
Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour notavano altresì che la stessa Corte di Cassazione, per un verso, sul rilievo dell’eccezionalità della previsione di cui al comma 3, dell’art. 284 cod. proc. pen. – dimostrata dalla configurazione dei presupposti dell’autorizzazione in termini di «indispensabili[tà] e «assolut[ezza]» – ha pure costantemente ribadito che la valutazione degli stessi presupposti deve essere improntata a criteri di particolare rigore (Sez. 5, n. 27971 del 01/07/2020; Sez. 2, n. 53646 del 22/09/2016; Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015), tenendo conto anche della compatibilità dell’attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva (Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015; Sez. 6, n. 12337 del 25/02/2008; Sez. 4, n. 45113 del 15/03/2005), per altro verso, ha chiarito che per la configurabilità della condizione di «assoluta indigenza” si deve fare riferimento alle condizioni personali dell’imputato, senza tenere conto di quelle del nucleo familiare (che, nella specie, era composto dal padre e dai fratelli conviventi) che dimori nello stesso luogo, sia perché la situazione economica dei familiari non è presa in considerazione dalla legge, sia perché non sussiste un obbligo di costoro di sostenere gli oneri di mantenimento del congiunto sottoposto a misura restrittiva (Sez. 1, n. 123 del 29/10/2002; in senso analogo, Sez. 6, n. 32574 del 03/06/2005).
Orbene, a fronte di tale quadro ermeneutico, si evidenziava però come ancora la giurisprudenza della Corte di Cassazione attribuisca tuttavia rilievo, sempre al fine di valutare la condizione di «assoluta indigenza» dell’imputato, alla situazione reddituale del suo coniuge convivente o del convivente more uxorio (quanto al primo caso: Sez. Sez. 3, n. 34235 del 15/07/2010; quanto al secondo caso, implicitamente: Sez. 2, n. 53646 del 22/09/2016, cit.), mentre, in relazione all’onere probatorio che grava sull’imputato che richieda l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto, ferma la necessità di un particolare rigore, da parte del giudice, nella valutazione della sussistenza dello stato di «assoluta indigenza», tale onere non può tuttavia spingersi sino al punto di pretendere una sorta di prova legale di detto stato, mediante la produzione di autocertificazione che attesi l’impossidenza dei redditi necessari a soddisfare le esigenze di vita (Sez. 2, n. 53646 del 22/09/2016; Sez. 2, n. 12618 del 12/02/2015).
Ebbene, concluso questo excursus giurisprudenziale, per la Corte di legittimità, il Tribunale di Lecce aveva legittimamente negato al ricorrente l’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di arresto, previo trasferimento in altro luogo di esecuzione della misura, per esercitare un’attività lavorativa, attraverso una motivazione (stimata) in grado di sottrarsi a censure prospettabili in sede di legittimità.
Pertanto, il ricorso era rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.

3. Conclusioni

Fermo restando che, come è noto, l’art. 284, co. 3, cod. proc. pen. dispone che, se “l’imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa”, la pronuncia qui in commento desta un certo interesse essendo ivi chiarito a cosa si deve fare riferimento per la configurabilità della condizione di “assoluta indigenza”, richiamata nell’articolo appena citato.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, per la configurabilità della condizione di «assoluta indigenza”, si deve fare riferimento alle condizioni personali dell’imputato, senza tenere conto di quelle del nucleo familiare (che, nella specie, era composto dal padre e dai fratelli conviventi) che dimori nello stesso luogo, sia perché la situazione economica dei familiari non è presa in considerazione dalla legge, sia perché non sussiste un obbligo di costoro di sostenere gli oneri di mantenimento del congiunto sottoposto a misura restrittiva.
Di conseguenza, ove invece siano considerati pure le condizioni del nucleo familiare, ben si potrà impugnare un provvedimento a cui si faccia ad essi riferimento nei modi e nelle forme prevedute dal codice di procedura penale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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