Aspetti culturali e farmacologici di una sindrome L’equilibrio delle libertà

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            Nella nostra lettura delle realtà che ci circondano nonché degli eventi che in esse si realizzano dobbiamo considerare la matrice culturale attraverso cui filtriamo la lettura, lo stesso dicasi per il mondo giuridico il quale nella sua razionalità è creato e gestito secondo queste logiche.

            Ad una prima distinzione sommaria tra empirismo di matrice anglosassone e razionalismo continentale, occorre affiancare una ulteriore distinzione tra il modello francese e quello tedesco, il primo centrato sui diritti il secondo sulla necessità dei doveri.

            Il sistema tedesco impostato su una forte etica autoritaria dei doveri dell’essere necessita a sua volta di una forte e profonda cultura difficilmente esportabile con celerità, a differenza del sistema francese liberista nei diritti di cittadinanza ma centralizzato nella sua gestione politica, in cui vi è in potenza una difficoltà nel rapporto tra diritti proclamati e tradizione politico-amministrativa tali da favorire violente rotture; a fronte si pone l’empirismo anglosassone concettualmente estremamente flessibile, adattabile e proprio per tale circostanza soggetto a una forte ciclicità dove, al contrario, il continentale diventa stabilizzante con sempre possibili fratture.

            Nella nostra attuale estrema complessità prevale come adattabilità al liberismo globalizzato un empirismo nella forma del pragmatismo americano di Peirce, in cui la giustificazione di un’idea dipende dalla sua utilità nello spiegare gli eventi della natura, favorendo le necessarie continue correzioni razionali che nascono dalle nostre prove sociali al fine di evitare la sempre incombente caoticità.

            La funzione dell’intelligenza, secondo la teoria logica del concepire e del giudicare degli “strumentalisti di Chicago” è quella di prendere in considerazione i modi in cui relazioni più efficaci e vantaggiose possono essere stabilite nel futuro, partendo da questa osservazione lo sviluppo della scienza medica ci pone una serie di quesiti, uno di questi nasce dall’individuazione del disturbo evolutivo dell’autocontrollo o ADHD.

            Le matrici filosofiche sopra descritte si risolvono, oltre che in una lettura del mondo, in una catalogazione normativa dei rapporti sociali che vengono ad affrontare l’evoluzione tecnico-scientifica in atto, questo è tanto vero che negli Stati Uniti il problema dell’ADHD (che coinvolge un totale dell’11% della popolazione scolare USA pari a circa 6,5 milioni di individui) è risolto mediante una distribuzione massiccia di farmaci a base di anfetamine, come rilevato dal Centro federale di Controllo delle Malattie, che interessa circa i 2/3 della popolazione scolare fino a 17 anni pari a oltre 4 milioni di pazienti.

            La pressione utilitaristica alla risoluzione per vie brevi di comportamenti antiproduttivi fa sì che il trattamento sia allargato a molti sintomi di disagio che compromettano la resa scolastica, nascono problemi relativi al rapporto tra produttività sociale e diritti individuali che vengono a coinvolgere la sfera relativa all’essere dell’individuo in un massimalismo sociale.

            In termini più estesi vi è la necessità di ridefinire i rapporti non solo tra società e aggressività attraverso la mediazione farmacologica, ma anche tra le sfere dei diritti tra soggetti forniti di diverso indice di aggressività in ambienti organizzativi chiusi come l’ambiente lavorativo, tenendo conto della crescita esponenziale di tale sindrome specchio dei rapporti derivanti dalle implicazioni culturali di determinati rapporti economici e della possibilità di un eventuale loro controllo farmacologico.

            Si pongono tuttavia dei quesiti fondamentali relativi ai diritti di libertà, quale è il giusto rapporto tra la mia sfera di libertà, i diritti individuali e quella dei miei vicini con cui sono obbligato a coesistere in un determinato ambiente? E’ doveroso o semplicemente possibile intervenire sui problemi psichici manifestati pubblicamente dal mio vicino se questi si risolvono in una compressione della mia sfera di libertà, fino a creare in me disagi che  si risolveranno in possibili danni non potendo io allontanarmi da questi essendo costretto nell’ambiente impersonale? Se sì quali saranno i gradi di intervento e come modularli da quelli psicologici a quelli farmacologici? L’aggressività è parte della personalità ma quando diventa fisiologicamente problema, sono io obbligato a sopportarla e qual è il risultato su organizzazioni estese in termini di efficienza? Infine è possibile rilevarla con dei semplici indicatori di stress-correlato senza competenze specifiche e indagini dirette sul campo, ma soprattutto lo si vuole vedere visto le complicazioni che comporta una sua rilevazione?

            Quale criterio pratico resta? In termini organizzativi il parametro è l’efficienza dell’organizzazione stessa, quando i contrasti interni la vengono a menomare vi è un risvolto economico riflesso del sociale, questo tuttavia non può eludere i problemi che nascono dai rapporti individuali quando vengono a mancare le convenzioni sociali che tendono a limitare da una parte la libertà individuale ma dall’altra gli eccessi caratteriali, proprio nel momento in cui le consuetudini vengono meno si crea lo spazio sociale per un richiesto e necessario arbitrato tra le parti che solo un potere riconosciuto può esercitare nel tempo, valutazione ulteriormente complicata dalle implicazioni morali e sociali dei progressi tecnologici e scientifici.

            Già nel V secolo a.C. in Grecia si era manifestata una profonda crisi culturale nelle varie città stato che Socrate affrontò come ricerca individuale della virtù, ma una  crisi maggiore  si profilò tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., quando con la prima globalizzazione dell’epoca di Alessandro Magno si diffuse un senso di isolamento, di mancanza di radici che fece venire meno le sicurezze e la stabilità di cui si godeva nelle città stato della Grecia classica, nacquero filosofie e correnti di pensiero quali i cinici, gli stoici, gli epicurei espressioni di ricerche di soluzioni veloci ma anche non profonde e instabili, che dovevano per questo essere difese dogmaticamente e inesorabilmente se volevano fungere da ancora di salvezza per gli spiriti dell’epoca in un mare di incertezze economiche, sociali e culturali, tanto da far sorgere come reazione una “sospensione del giudizio” nella ricerca della tranquillità secondo gli insegnamenti della scuola scettica di Pirrone di Elide, fino a giungere alla dialettica e critica distruttiva della Accademia scettica o Nuova Accademia di Arcesilao.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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