Art. 89 c. p. c.: criteri per l’applicabilità del diritto al risarcimento del danno

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Art. 89 c. p. c.: criteri per l’applicabilità del diritto al risarcimento del danno per l’utilizzo di espressioni sconvenienti od offensive in scritti difensivi

 

Nota a sentenza n. 2436/2017 del 21.09.2017, Tribunale di Torre Annunziata, II Sezione, G. U. Dott. Angelo Scarpati.

 

SINTESI: L’art. 89 c. p.c. del codice di procedura civile (che prescrive l’obbligo per le parti e i loro difensori di non utilizzare espressioni sconvenienti od offensive nei discorsi pronunciati dinanzi al giudice o nei loro scritti e che attribuisce al magistrato il potere di disporre con ordinanza che si cancellino le predette espressioni e con la sentenza che decide la causa di assegnare alla persona offesa una somma a titolo di ristoro del danno anche non patrimoniale sofferto), va interpretato nel senso che, per aversi risarcimento, è sufficiente che concorra il solo requisito dell’offesa all’onore ed al decoro del difensore o della parte, a nulla rilevando una presunta attinenza della frase con l’oggetto del giudizio, che esimerebbe la parte che le ha pronunciate dal dover risarcire il danno non patrimoniale.

In altre parole, secondo tale indirizzo interpretativo, il dritto al risarcimento si invera laddove l’espressione sconveniente o offensiva ecceda le esigenze difensive, pur avendo lato sensu attinenza con le medesime.

 

IL FATTO: L’Asl Napoli 3 Sud proponeva distinti gravami (poi riuniti in un unico giudizio per connessione oggettiva e parziale connessione soggettiva) avverso sette sentenze del Giudice di Pace, nella parte in cui le stesse avevano condannato l’Azienda al risarcimento del danno al decoro ed all’onore del legale degli appellati, in applicazione dell’art. 89 c. p. c..

Assumeva l’ASL appellante che le espressioni censurate, benché oggetto di cancellazione, non avrebbero travalicato l’oggetto del processo, risultando strettamente connesse con lo stesso e con le precipue esigenze difensive poste in campo dai procuratori dell’Ente pubblico. Si costituivano gli appellati, eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione passiva in capo agli stessi, in quanto l’oggetto del gravame era il risarcimento del danno morale occorso non già alle parti costituite, bensì al loro procuratore.

In ordine alle espressioni sconvenienti ed offensive, il procuratore degli appellati osservava che le stesse integravano gratuiti ed ingiustificati attacchi alla propria persona, del tutto avulsi dal contesto e dall’oggetto del giudizio, senza alcuna connessione con le specifiche esigenze di difesa.

Con la pronuncia de qua il Giudice anzitutto accoglieva la preliminare eccezione di carenza di legittimazione passiva degli appellanti, sul presupposto che la stessa andasse limitata al solo soggetto beneficiario della statuizione risarcitoria. Ciò in applicazione di un orientamento di legittimità (Cass. n. 12134/1991), a mente del quale i difensori hanno una propria autonoma legittimazione a proporre domanda di risarcimento del danno ex art. 89 c. p. c., qualora l’offesa sia diretta verso di loro, potendo proporre tale istanza risarcitoria in via autonoma o negli atti che il difensore presenta e sottoscrive in rappresentanza del proprio assistito.

La sentenza in commento prosegue con un’accurata ricostruzione della giurisprudenza di legittimità relativa all’art. 89 c. p. c., segnatamente dei presupposti che ne giustifichino l’applicabilità ai casi di specie. Ritenendo formatosi il giudicato sul carattere offensivo delle espressioni utilizzate dalla difesa dell’azienda (circostanza pacificamente riconosciuta dall’appellante stesso, il quale si è limitato a rivendicare l’attinenza delle espressioni all’oggetto del processo ed alle esigenze difensive), il provvedimento compie un excursus da un più risalente orientamento giurisprudenziale di legittimità, alla stregua del quale il giudice, con la sentenza che decide la causa, poteva assegnare un risarcimento alla persona offesa dalle frasi contenute negli scritti difensivi della controparte solo quando le espressioni non riguardassero l’oggetto della causa (cfr. Cass. n. 5251/1986 e 5991/1979), pervenendo ad una corretta esegesi dell’art. 89 c.p. c.. Lo stesso va interpretato, partendo dal suo tenore letterale, nel senso che “compete alla parte e/o al suo difensore il diritto al risarcimento del danno morale, in via alternativa, sia quando le espressioni non riguardano l’oggetto della causa (v. in tal senso, Cass. n. 5251/1986), sia quando le stesse – seppur astrattamente connesse con l’oggetto del giudizio – abbiano oggettivamente travalicato le esigenze difensive, in quanto dettate da un passionale e incomposto intendo dispregiativo e non siano, di contro, limitate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni (v. Cass. n. 11063/2002)” (v. pagg. 5 e 6 della sentenza).

Si ringrazia l’Avv. Giuseppe Ruocco per aver messo a disposizione il testo integrale della sentenza.

 

 

 

 

 

Grimaldi Vincenzo

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