L’appropriazione per un avvocato è illecito deontologico permanente

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Il CNF, con la sentenza in commento, ha affermato che la condotta del Curatore dell’eredità giacente che si è appropriato delle somme rinvenienti dalla liquidazione di buoni postali fruttiferi intestati al de cuius, condotta sussumibile come appropriazione, sotto la previsione dell’art. 30 CDF, integra gli estremi dell’illecito deontologico permanente.
Consiglio Nazionale Forense – Sentenza n. 168 del 11-10-2022

Indice

1. L’art. 30 CDF e la sua ratio (l’appropriazione)

Il Codice Deontologico Forense, all’art. 30, stabilisce che l’Avvocato <<deve gestire con diligenza il denaro ricevuto dalla parte assistita o da terzi nell’adempimento dell’incarico professionale ovvero quello ricevuto nell’interesse della parte assistita e deve renderne conto sollecitamente>> (cfr. comma 1) e che << non deve trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto della parte assistita, senza il consenso di quest’ultima>> (cfr. comma 2).
La disposizione sancisce la rilevanza deontologica della condotta appropriativa, la quale non si esaurisce con l’incasso delle somme di pertinenza della parte assistita o di terzi ma si accompagna alla mancata messa a disposizione delle somme riscosse.
In particolare, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che la condotta appropriativa posta in essere dall’Avvocato è connotata dalla continuità della violazione deontologica ed è destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza (cfr. Cass. SS.UU. sent. n. 5200/2019).

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2. La decisione del CNF

In applicazione del principio di cui sopra, il CNF, con la sentenza in commento, ha affermato che la condotta del Curatore dell’eredità giacente che si è appropriato delle somme rinvenienti dalla liquidazione di buoni postali fruttiferi intestati al de cuius, condotta sussumibile sotto la previsione dell’art. 30 CDF, integra gli estremi dell’illecito deontologico permanente.
In particolare, il Giudice disciplinare individua le differenze ontologiche tra il reato di peculato e l’illecito deontologico previsto dall’art. 30 CDF, evidenziando che mentre in sede penale è punita la sola condotta appropriativa, per sua natura istantanea e rispetto alla quale la mancata restituzione assume rilievo solo quoad poenam, in sede deontologica è sanzionata anche la condotta omissiva – per sua natura permanente – integrata dalla mancata e prolungata messa a disposizione delle somme incassate.
La natura permanente dell’illecito ha, ovviamente, significativa ricaduta in punto di prescrizione dell’azione disciplinare, il cui termine, infatti, inizia a decorrere dalla data di cessazione della condotta omissiva.

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