Antieconomicità dell’esecuzione ed ingiunzione ex art. 177 disp. att. c.p.c. (Nota a Tribunale di Varese, II Sezione civile, 20 febbraio 2020)

Redazione 11/05/20
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di Emanuele Caimi

Sommario

I. La vicenda

II. Decadenza dall’aggiudicazione, ingiunzione ed antieconomicità della prosecuzione

III. Parametri esterni alla definizione di antieconomicità della prosecuzione

IV. Osservazioni conclusive

I. La vicenda

Tribunale di Varese, II Sezione civile, 20 febbraio 2020, Giudice dell’esecuzione Dott.ssa Flaminia D’Angelo

Veniva aggiudicato provvisoriamente un piccolo appartamento, peraltro di modesto valore, per il prezzo di euro 14.250,00 a seguito di offerta ex art. 571 comma 2 c.p.c. (base d’asta euro 19.000,00).

Nel provvedimento d’aggiudicazione il professionista delegato si curava di indicare all’aggiudicatario la provvisorietà dell’aggiudicazione, il termine per il versamento del saldo prezzo e la puntuale quantificazione degli oneri dovuti per il trasferimento.

Quest’ultimo ometteva di versare nel termine stabilito la somma dovuta ed il delegato segnalava l’accaduto al Giudice dell’Esecuzione che, con decreto reso ai sensi dell’art. 587 c.p.c. ed art. 176 disp. att. c.p.c., ne dichiarava la decadenza disponendo la perdita a titolo di multa della cauzione versata; fissava inoltre udienza per la prosecuzione dell’esecuzione, onerando la cancelleria di dar corso alle comunicazioni del caso.

Veniva quindi disposto un nuovo esperimento d’asta per il medesimo prezzo base.

Nessuno partecipava e ne veniva disposto uno successivo con riduzione di un quarto rispetto alla base d’asta. Anche quest’ultimo esperimento andava deserto.

Il delegato restituiva nuovamente gli atti al Giudice dell’Esecuzione il quale, tenuto conto dell’acquisizione all’attivo della procedura della cauzione versata, ordinava un ultimo tentativo d’asta al medesimo prezzo base. Anche questo esperimento risultava deserto e gli atti venivano nuovamente restituiti al Giudice dell’esecuzione.

Visti gli esperimenti compiuti ed il prezzo base, nella restituzione si evidenziava, ai sensi dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c., l’antieconomicità della prosecuzione dell’esecuzione.

Il creditore procedente insisteva per l’emissione d’ingiunzione a carico dell’aggiudicatario sul presupposto che l’improcedibilità e quindi l’estinzione per antieconomicità della procedura giustificasse la condanna dell’aggiudicatario decaduto al pagamento della differenza tra l’offerto ed il realizzato.

L’ordinanza in commento affronta due temi: il primo relativo all’ingiunzione ex art. 177 disp. att. c.p.c. ed il secondo, antecedente logico del primo, concernente l’antieconomicità della procedura ai sensi dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c..

Mentre l’istituto della decadenza dell’aggiudicatario provvisorio è stato introdotto con il codice del 1940, l’estinzione anticipata del procedimento di cui all’art. 164 bis delle disposizioni attuative è frutto della più recente sensibilità economica. Infatti la norma, di cui all’art. 23 del D.L. 132/2014 convertito dalla legge 162/14, introduce il concetto della “ragionevole” soddisfazione dei creditori.

II. Decadenza dall’aggiudicazione, ingiunzione ed antieconomicità della prosecuzione

Il Codice Pisanelli, una volta pronunciata la sentenza d’aggiudicazione del bene immobile (ex artt. 675 I comma e 685 Codice 1865), differiva il versamento del saldo prezzo al termine del giudizio di graduazione dei crediti il cui esito, in caso di mancato accordo tra i creditori ai sensi del primo comma dell’art. 678 c.p.c., veniva devoluto al giudice attraverso le cosiddette “p>approvate e sottoscritte dal Giudice delegato” ai sensi dell’art. 717 comma IV, p>

All’acquirente veniva accordato un termine di giorni cinque per il pagamento del prezzo dovuto, al cui spirare poteva promuoversi il giudizio di rivendica (art. 718 Codice Pisanelli)[1].

Con il codice del 1942 è stato differito il trasferimento della titolarità del diritto di proprietà al pagamento del dovuto e, per quanto d’interesse, si è introdotta la figura dell’aggiudicazione provvisoria con contestuale fissazione di un termine solo formalmente più ampio rispetto all’abrogato codice[2] per il versamento del saldo prezzo. Incassato il saldo prezzo si procede al riparto del realizzato, secondo l’ordine dei privilegi.

Il termine per il versamento del saldo prezzo e degli oneri collegati nella misura stabilita dal delegato – che è da considerarsi di natura processuale e soggiace alla sospensione feriale[3] – è di natura perentoria[4] anche in considerazione della decadenza che ne deriva dal mancato rispetto, oltre che dalla necessità di assicurare l’immutabilità delle originarie condizioni di vendita[5]. E’ tuttavia possibile, prima della dichiarazione di decadenza, chiedere la remissione in termini[6] ove ne sussistano i presupposti di legge, ovvero chiederne prima della scadenza la proroga.

Per completezza e con riferimento alla vendita competitiva in sede fallimentare, nell’ipotesi di cessione di natura privatistica non vi sarebbe una rigorosa applicazione delle regole processualcivilistiche, al punto da far dubitare sull’operatività o meno dell’art. 587 comma 1 c.p.c.[7] .

Una volta pronunciata la decadenza dall’aggiudicazione la norma dispone che si proceda ad un secondo esperimento d’asta al medesimo prezzo base, senza che vi sia alcun onere di notifica dell’avviso di vendita all’aggiudicatario dichiarato decaduto relativo al successivo esperimento[8].

L’aggiudicatario decaduto sarà tenuto, giusto il combinato disposto degli articoli 587, II comma c.p.c. e 177 disp. att. c.p.c., a corrispondere la differenza tra il realizzato e l’offerto in sede d’aggiudicazione provvisoria, dedotta la cauzione versata.

Il Tribunale di Varese non ha invece ritenuto di emettere l’ingiunzione di cui sopra. Il ragionamento è stato il seguente. Prima della declaratoria di antieconomicità non è possibile affermare che il realizzato sia pari a zero. Secondariamente, a seguito della chiusura anticipata ai sensi dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c., il “giudice si spoglia di ogni potere dispositivo sulla procedura in questione”.

Dunque non sarebbe possibile emettere l’ingiunzione ex art. 177 disp att. poiché la declaratoria di chiusura anticipata per antieconomicità, presupposto logico ed ipotetico per affermare il “realizzo 0”, esaurirebbe la potestà giurisdizionale, precludendo la pronuncia o meglio non potendosi dar corso alla fase distributiva a cui fa espresso riferimento l’art. 177 comma II disp. att. c.p.c.

Da altra prospettiva è proprio la chiusura della procedura a determinare una declaratoria, seppure in termini “ragionevoli” e quindi non assoluti, che il realizzato sarà pari effettivamente a zero. Certamente non vi sarà alcun riparto ed ai creditori non resteranno che gli oneri del procedimento esecutivo.

Quest’interpretazione, sicuramente accettabile in una prospettiva economica e di soddisfazione del creditore, pone alcuni interrogativi. Il primo attiene alla compatibilità tra la lettera dell’art. 177 disp. att. C.p.c. ed il realizzo zero in caso di estinzione anticipata.

Una prima obiezione all’equiparazione potrebbe muoversi proprio dalla lettera della norma che si riferisce alla “differenza tra il prezzo da lui offerto e quello minore per il quale è avvenuta la vendita”; in particolare quest’ultimo periodo porterebbe ad escludere la possibilità di determinare il sottraendo dell’operazione matematica sottesa alla determinazione del credito da assegnarsi ai creditori. D’altro canto è innegabile che nell’ipotesi di estinzione anticipata non via sia stata alcuna vendita.

Se non che la mutata sensibilità economica potrebbe indurre ad equiparare l’espressione “quello minore per il quale è avvenuta alla vendita” a quanto effettivamente realizzato, al lordo degli oneri di procedura.

Occorre chiedersi se l’ingiunzione di cui all’art. 177 disp. att. c.p.c. costituisca un autonomo procedimento ovvero sia un sub procedimento all’interno del processo esecutivo.

Dirimente appare il coordinamento tra il secondo comma dell’art. 177 disp. att. c.p.c. e l’art. 164 bis delle disposizioni attuative.

Il credito di cui all’ingiunzione è oggetto di assegnazione al creditore nella fase di riparto.

Fase di riparto che logicamente non vi può essere nel momento e nella misura in cui viene dichiarata la chiusura anticipata del giudizio esecutivo proprio per antieconomicità. E’ pur vero che, per quanto estinta la procedura, il Giudice dell’esecuzione conserva la potestà di liquidare i compensi ai propri ausiliari ma è altrettanto vero che ciò non costituisce in sé una stretta manifestazione della potestà giurisdizionale.

Non si può ignorare tuttavia che l’art. 587 comma 2 c.p.c. si limiti ad affermare un obbligo specifico in capo all’aggiudicatario dichiarato decaduto: “pagare la differenza” tra il realizzato e la somma offerta.

[1] Nel codice previgente non si rinviene l’espressione aggiudicatario ma “compratore, così l’art. 675 c.p.c. ove il partecipante all’incanto viene dichiarato “compratore” e la sentenza di cui all’art. 685 c.p.c. conteneva “la dichiarazione di chi resta compratore”.

[2] Non si può ignorare che l’attività di graduazione o collocazione dei crediti non sia altro che quella che attiene al “riparto” del realizzato. Fase che ora succede mentre prima precedeva il trasferimento della proprietà.

[3] Così Cass. I Sez. Civ. 13 luglio 2012, n. 12004 in Mass. Giust. Civ., 2012, 7-8, 916.

[4] In questi termini Cass. III Sez. Civ. 29 maggio 2015 n. 11171 in Diritto & Giustizia, 2015, 3 giugno.

[5] Al punto che è stata ritenuta inammissibile la richiesta di versamento rateale del saldo prezzo, nel termine di mesi 12 così come modificato dal d.l. 83/2015, ove non prevista nell’originaria domanda di partecipazione al sub procedimento d’asta; in questi termini Tribunale di Napoli Nord, III Sez. Civ., 29 ottobre 2017 in ilprocessocivile,it, fasc., 9 aprile 2018 con nota critica di Giordano, Versamento del c.d. saldo – prezzo tra istanza di proroga e rateizzazione.

[6] Si veda Tribunale di Terni, 19 maggio 2005 in Giur. Merito, 2005, 10, 2123; nel caso concreto il ritardo fu di un solo giorno e dovuto ad una malattia sorta proprio nell’imminenza della scadenza del termine.

[7] In questi termini Tribunale di Bergamo II Sez. Civ., 10 settembre 2015 in Redazione Giuffrè, 2015.

[8] In questi termini Cass. VI Sez. Civ., 15 novembre 2019 n. 29732: “in trema di vendita forzosa, l’aggiudicatario di un immobile, che sia stato dichiarato decaduto per omesso versamento del saldo del prezzo nel termine stabilito, non ha diritto a ricevere la notificazione dell’avviso della successiva vendita, sebbene dall’esito della stessa dipenda la misura in cui egli sarà tenuto nei confronti della procedura ex art. 587, comma 2, c.p.c.” in Giustizia Civile Massimario, 2019.

III. Parametri esterni alla definizione di antieconomicità della prosecuzione

Ulteriore tema trattato dal Tribunale di Varese nell’ordinanza in commento attiene l’accertamento dei presupposti per la declaratoria di antieconomicità quali: (i) il disinteresse del mercato per il bene staggito nonostante la pubblicità e tenuto conto del prezzo base d’asta “esiguo in termini assoluti”; (ii) la “ragionevole” soddisfazione dei creditori.

La lettera della norma pone a fondamento del potere d’estinzione anticipata riconosciuto al giudice dell’esecuzione un accertamento, non certo agevole, non già della “soddisfazione del creditore” in sé ma del “ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori“. Introducendo un giudizio di “ragionevolezza”, giudizio di valore dai confini incerti[9] e che non può risolversi, pena la perdita di rilevanza, nel mero disinteresse del mercato e, per contro, può evolversi nel mero rapporto percentuale tra i crediti vantati ed il valore. D’altro canto ben potrebbe accadere che un cespite di valore assoluto rilevante non assicuri la soddisfazione dei creditori magari intervenuti per ingenti crediti, da cui la necessità di compiere anche una valutazione in termini “assoluti”[10].

Segue, nella formulazione della norma, l’individuazione di elementi che dovrebbero condurre alla valutazione di “ragionevolezza” o per lo meno a contenere il rischio di una deriva soggettiva nell’interpretazione del requisito: i costi “necessari per la prosecuzione”; “le probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo” del medesimo.

Dunque il Tribunale di Varese si inserisce in quell’orientamento che sembra individuare un quid novi rappresentato dal disinteresse del mercato che non presenterebbe difficoltà concrete d’accertamento risolvendosi nell’analisi “di dati sostanzialmente oggettivi e di immediata percezione”. Orientamento che attribuisce all’infruttuosità degli esperimenti un indice serio di antieconomicità[11].

D’altro canto è il disinteresse del mercato a condurre all’antieconomicità dell’esecuzione. Intuibili possono essere le ragioni che influiscono su tale esito, ragioni che non necessariamente interessano soltanto compendi fatiscenti, collabenti, aut similia.

L’estensore del provvedimento in questione pare consapevole dell’incerto limite del secondo requisito per l’esercizio del potere di cui all’art. 164 bis disp. att. c.p.c., ovverosia la “ragionevolezza” della soddisfazione dei creditori.

Parametro che si muove lungo due direttrici: la proporzione tra i crediti ed il possibile realizzo; la rilevanza in termini assoluti del realizzo, tale che consenta la soddisfazione “in modo non irrisorio i crediti azionati” con la procedura esecutiva[12].

Nel caso di specie l’ammontare dei crediti vantati era di circa 11 volte superiore al possibile realizzo. Rapporto che inevitabilmente s’incrementa nell’ipotesi di offerta ex art. 571 comma 2 c.p.c.

Soltanto l’irrisorietà quale limite “assoluto” della valutazione si risolve in un giudizio sottratto a valutazioni soggettive e riterrà sussistente l’antieconomicità ogni qual volta il realizzato sarà insufficiente ad assicurare un quid pluris rispetto al “recupero delle spese sostenute per l’attuazione coattiva del credito”[13].

[9] Si veda Gobio Casali, L’espropriazione forzata di quote di s.r.l. dopo le riforme, in Giur. Comm., Fasc. 5, 2015, p. 815 per il quale: “detta chiusura è dunque ancorata ad una valutazione discrezionale del giudice, essendo soggettiva l’identificazione di una soglia “ragionevole”.

[10] Così Tribunale di Roma 1 ottobre 2015 in Foro. It, 2016, I, 1872, per il quale: “in tema di espropriazione immobiliare, la pronuncia di chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità … va valutata non soltanto il termini relativi, ovvero in relazione alla percentuale del credito soddisfatto rispetto a quello azionato, ma anche in termini assoluti”.

[11] In questi termini Tribunale di Como I Sez. Civ., 15 febbraio 2015 “costituisce serio indizio di infruttuosità dell’espropriazione forzata la circostanza per cui, pure a seguito di molteplici esperimenti di vendita, il bene non ha suscitato interesse nel mercato nonostante l’ampia pubblicità attuata ed il fatto che sia stato posto in vendita ad un prezzo destramente eseguito in valori assoluti”. In termini identici Tribunale di Alessandria, 28 gennaio 2015, entrambe in Redazione Giuffrè, 2015.

[12] Così Tribunale di Pavia, 7 luglio 2016 in Redazione Giuffrè, 2016.

[13] Tribunale di Pavia, 7 luglio 2016, cit.

IV. Osservazioni conclusive

Non si può ignorare che, accanto all’interesse pubblico della ragionevole durata del processo esecutivo o all’interesse privatistico all’economicità della procedura[14], vi è la necessità di attuare il fine proprio dell’espropriazione: soddisfare il diritto di credito di chi agisce in executivis.

E da questa prospettiva non si può trascurare che il creditore procedente – e i creditori intervenuti – in ipotesi di estinzione anticipata non avranno alcuna soddisfazione in termini assoluti, a prescindere dal rapporto percentuale tra il possibile realizzo e la possibile distribuzione ed il credito vantato, al netto o meno delle somme sostenute per il procedimento in sè. Del resto in sede concorsuale – concordataria, prima della riforma del 2015, si assisteva a proposte talvolta del 3/5% del credito nominale, riparti ritenuti legittimi.

L’attuale configurazione della norma sull’estinzione anticipata, proprio perché “anticipata”, non consente di emettere l’ingiunzione di pagamento di cui all’art. 177 delle disposizioni attuative. Infatti l’accertamento d’antieconomicità corrisponde certamente ad un realizzo zero per il creditore ma ha come effetto conseguente ed immediato l’estinzione anticipata del giudizio, con conseguente impossibilità di dar corso all’assegnazione del credito oggetto d’ingiunzione.

Un secondo elemento pare ostare alla condanna dell’aggiudicatario decaduto in ipotesi di chiusura anticipata: la natura dell’ingiunzione. La cauzione versata viene incamerata a titolo di multa, con chiara natura sanzionatoria; natura che è propria anche dell’ingiunzione all’aggiudicatario decaduto in relazione al dettato dell’art. 587, II comma c.p.c.

Ma la norma in questione contiene anche uno specifico obbligo di versare la differenza tra il realizzato e la somma offerta in sede d’aggiudicazione, dedotta la cauzione versata.

L’estinzione anticipata del processo esecutivo non può tradursi nel depotenziare l’obbligo di cui all’art. 587 comma II c.p.c. e quindi nel pregiudicare il diritto del creditore ivi contemplato.

Diritto del creditore che se non potrà esser realizzato nella forma del procedimento di cui all’art. 177 disp. att. c.p.c., potrà esser tutelato per le vie ordinarie.

Fermo restando la diversità strutturale tra la vendita coattiva e negoziale è innegabile che l’aggiudicatario si ponga rispetto alla res staggita come un “compratore” ed è pacifico che non versando il prezzo si renda inadempiente all’obbligo derivante dall’aggiudicazione.

Realizzato che in ipotesi di chiusura anticipata per economicità non potrà che esser pari a zero. Da questa prospettiva non pare pienamente condivisibile la pronuncia in questione: è innegabile che il creditore non prenderà nulla proprio per effetto dell’estinzione anticipata.

Estinzione che non precluderà al creditore di agire nei confronti dell’aggiudicatario decaduto per l’attuazione in via ordinaria del diritto spettante ai sensi dell’art. 587, comma II, c.p.c..

Quanto al risarcimento lo stesso dovrà esser pari per lo meno a quanto effettivamente sostenuto dal creditore procedente per l’esecuzione infruttuosa. Ma non si può escludere che lo stesso sia chiamato a corrispondere la differenza tra il realizzato – pari a zero – e la somma offerta dedotta la cauzione. Poiché in definitiva il creditore subisce un pregiudizio che non si risolve nel costo dell’esecuzione in sé ma anche nell’impossibilità di soddisfazione, quand’anche parziale, del proprio credito.

Non vi dovrebbero esser particolari problemi, in punto legittimazione, nell’ipotesi in cui vi sia un unico creditore procedente. Maggiori difficoltà potranno riscontrarsi, per lo meno dal punto di vista della legittimazione attiva, nell’ipotesi in cui vi siano dei creditori intervenuti.

[14] In questi termini Tribunale di Trapani, 23 ottobre 2015 in ilprocessocivile.it, 2016, 17 agosto.

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