Con la sentenza depositata in data 25 febbraio 2016 il Tribunale di Foggia, nella persona della dott.ssa Mariangela Martina Carbonelli, ha deciso un giudizio in tema di accertamento negativo del credito applicando il principio della cd. ragione più liquida.
Questi i fatti: l’attrice ha convenuto in giudizio la Banca per sentirla condannare alla restituzione di somme indebitamente percepite, previo accertamento e declaratoria di nullità delle clausole contenenti la previsione della commissione di massimo scoperto, di capitalizzazione trimestrale degli interessi delle somme a debito e di illegittimità dell’applicazione di tassi di interesse ultralegali non preventivamente approvati in forma scritta e non variati nelle forme previste dal T.U.B.. La banca convenuta chiedeva il rigetto della domanda, eccependo la nullità dell’atto di citazione per mancata specifica indicazione delle somme indebitamente percepite, in via preliminare, la prescrizione e, nel merito, l’infondatezza dell’avversa domanda di ripetizione dell’indebito.
Ebbene, il Tribunale di Foggia ha ritenuto la domanda infondata e per decidere la causa ha ritenuto opportuno applicare il principio della c.d. ragione più liquida, in virtù del quale la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente già pronta, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. (cfr. Trib. Reggio Emilia, 29 novembre 2012, n. 2039; Trib. Bari, 25 giugno 2012, n. 2294).
Bisogna premettere che applicando il suddetto principio si decide prima una questione più a valle, se tale decisione è più agevole e sopratutto se risolve nello stesso senso la materia del contendere.
Il principio della ragione più liquida, quindi, sostituisce un profilo di evidenza a quello dell’ordine logico delle questioni giuridiche da trattare.
Inoltre, applicando il su detto principio non si sottrae al dovere decisorio e non omette pertanto alcuna pronuncia il giudice che accoglie o respinge la domanda di merito, anche se non esamini tutte e singole le questioni e gli argomenti di diritto proposte dalle parti.
Secondo il Tribunale il su menzionato principio è coerente “con il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo che impone al giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue”. In base a questa premessa, il giudice ha evidenziato come la domanda di parte attrice sia da rigettare nel merito perché rimasta priva di adeguato riscontro probatorio e che l’attore, premettendo l’indebito incasso da parte della Banca di somme non dovute, ha proposto istanza di accertamento negativo del credito della convenuta e pertanto, sullo stesso ricadeva l’onere di provare il proprio assunto (Cassazione civile, sez. III, 16 giugno 2005, n. 12963).
Sta di fatto che, nel caso de quo, l’attore non ha supportato da un punto di vista probatorio la propria azione, in quanto il titolare di un conto bancario che agisca per la ripetizione e/o anche solo per l’accertamento di asseriti indebiti (e/o la rettifica di determinate poste) ha l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi dell’azione promossa e anche l“inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta” (mancanza di causa debendi) ovvero del successivo venir meno di questa (cfr. Cass., 14 maggio 2012, n. 7501).
L’attore, inoltre, non può, limitarsi ad allegazioni generiche dal momento che un’azione limitata ad un’elencazione generale ed astratta di invalidità e rimessa alla scontata adesione del giudicante ad orientamenti giurisprudenziali, finirebbe “con il rendere l’azione proposta meramente esplorativa” (cfr. Trib. Roma, 26 febbraio 2013, n. 4233).
Quindi, solo se l’attore avesse assolto all’onere di allegazione e prova delle singole poste ritenute indebite e indicato esattamente le somme oggetto della domanda di ripetizione, il giudizio avrebbe potuto essere istruito con una consulenza tecnica d’ufficio.
Secondo il Tribunale le stesse considerazioni valgono anche per ciò che attiene alle contestazioni relative all’applicazione di interessi ultralegali e al superamento dei tassi soglia che il correntista ha l’onere di indicare in modo specifico, anche producendo i decreti e le rilevazioni aventi per oggetto i tassi soglia, in applicazione di un principio ormai pacifico e consolidato in giurisprudenza a partire dalla storica sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite in base alla quale la natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali rende ad essi inapplicabile il principio iura novit curia di cui all’art. 113 c.p.c. da coordinarsi, sul piano ermeneutico, con il disposto dell’art. 1 delle preleggi, che non comprende, appunto, i detti decreti tra le fonti del diritto, ragion per cui l’onere di allegazione gravante sulla parte che deduca l’applicazione di interessi usurari comprende anche la produzione dei decreti appena citati (Cass. S.U., 29 aprile 2009, n. 9941).
Secondo il Tribunale di Foggia spetta al correntista-attore allegare le ragioni di presunta illegittimità e dare la dimostrazione in concreto sia dell’esistenza della clausola che stabilisce interessi usurari sia del suo asserito contenuto illegittimo e che non è possibile supplire a tale onere attraverso la mera produzione di una perizia contabile di parte né attraverso la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio.
E ciò in quanto “in relazione alla finalità propria della consulenza tecnica d’ufficio, di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, suddetto mezzo di indagine non può essere disposto al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negato dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati” (cfr. Cass., 16 marzo 1996, n. 2205. In senso conforme, tra le altre, Cass., 30 novembre 2005, n. 26083; Cass., 6 aprile 2005, n. 7097; Cass. 10 dicembre 2002, n. 17555; Cass., 4 novembre 2002, n. 15399; Cass., 12 febbraio 2008, n. 3374).
Se, quindi, l’attore non fornisce tale prova e non individua i singoli addebiti ritenuti illegittimi, non è ammissibile l’espletamento di una CTU contabile.
Né, secondo il Tribunale, poteva soccorrere in aiuto di parte attrice l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., poiché, l’istanza di esibizione di documenti, a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.c., deve contenere la specifica indicazione dei documenti medesimi e la precisazione del contenuto degli stessi, in maniera tale da dimostrare la loro utilità a provare il fatto controverso: non è perciò consentito inoltrare un’istanza di esibizione tesa a scopi meramente esplorativi, o meglio a verificare se i documenti eventualmente supportino la tesi difensiva della parte attrice, anche perché la stessa, nel caso de quo, non si è avvalsa della facoltà prevista dal comma 4 dell’art. 119 del D.lgs. n. 385 del 1993.
Il Tribunale ha quindi rigettato le domande attrici.
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