Analisi criminologica comparata dell’alcolismo, in Svizzera e in Italia

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L’ incidenza statistica del fenomeno in Svizzera

Secondo le ultime Statistiche federali ufficiali relative all’anno-campione 2016, l’ 85,9 % degli /delle ultra-15enni svizzeri/e fa uso di bevande alcoliche nonostante il divieto giuridico formale di vendita ai minorenni. Oltre un quinto dei cittadini e dei residenti elvetici rischia di scivolare verso l’alcolismo cronico. Soltanto il 17,2 % delle donne ed il 10,8 % dei maschi, in Svizzera, pratica l’astinenza dai vini, dalle birre e dai liquori. Il 9,4 % dei maggiorenni beve alcol ogni giorno, soprattutto in Canton Ticino, ove i bevitori semi-problematici costituiscono il 17 % circa della popolazione, mentre i Cantoni francofoni e quelli germanofoni denotano percentuali che oscillano tra il 13 % ed il 7 %. Nel 50,9 % dei casi, l’assunzione maggiormente problematica di alcol si concentra nella notte tra il Sabato e la Domenica e, di nuovo, la Regione del Ticino si conferma come la zona più colpita dall’abuso di bevande etiliche. La forbice anagrafica dai 20 ai 24 anni d’ età è quella più gravemente piagata dall’ alcolismo cronico, mentre l’incidenza delle bevute problematiche tende a stabilizzarsi tra i 15 ed i 19 anni, pur se le cifre rimangono altamente allarmanti dai 25 ai 44 anni d’ età e dai 65 ai 74 anni d’ età. Meno significativa, tranne nel caso degli incidenti stradali, è la tendenza all’ubriacatura limitata alle grandi occasioni festive popolari o familiari. Tale congiunzione, peraltro perenne, tra alcol e festività tange i minori di anni 19, ma, ancor di più, gli individui con un’ età compresa tra i 20 ed i 24 anni. Senza dubbio, sotto il profilo statistico, i/le 15 enni rappresentano la categoria socio-anagrafica maggiormente danneggiata dalle devianze ad eziologia alcolistica.

Nel complesso e salvo rare eccezioni, le bevande alcoliche, nella Confederazione, non soltanto sono collettivamente accettate, ma financo incentivate da una vera e propria tradizione culturale enologica ed enogastronomica. L’ unica eccezione, comprensibile ed anzi doverosa, riguarda le donne in gravidanza ed in allattamento. Nel 2016, in tutti i Cantoni, soltanto il 7,1 % dei cittadini e dei residenti era astemio, pur con il caso particolare, criminologicamente irrilevante, di 1 o 2 bicchieri assunti in occasione di ritrovi festivi familiari o collettivi. Tale 7,1 % di astemi è composto da una maggioranza di donne, mentre i maschi censiti tendono, come antropologicamente prevedibile, ad un uso di alcol più disinibito. In valore assoluto, l’astinenza dagli alcolici è maggiormente presente nei Cantoni germanofoni, allorquando le zone francofone ed italofone fanno invece registrare abitudini più esposte al rischio di un serio principio di alcoldipendenza. E’ interessante rilevare, dal punto di vista anagrafico, che, rispetto all’ Ottocento ed al Novecento, negli Anni Duemila l’astemia predomina nelle tre fasce dai 45 ai 54 anni, dai 55 ai 64 e dai 65 ai 74. Viceversa, l’abuso di alcolici tange, enormemente e drammaticamente, i / le giovani dai 20 ai 24 anni e, in ogni caso, il consumo ritorna ad essere modico dopo i 44 anni. Sempre la categoria degli ultra-20enni ancorché infra-24.enni riserva pure la felice sorpresa di contenere il maggior numero di individui, tanto donne quanto maschi, che decidono di cessare completamente l’uso di bevande alcoliche a causa di urgenti necessità sanitarie, oppure a causa di gravidanze. Anche tra i 45 ed i 54 anni d’ età è frequente, soprattutto nel caso delle donne, il ritorno salutistico all’ astinenza totale dall’ alcol, dopo aver vissuto la dolorosa esperienza dell’alcolismo cronico o semi-cronico. Si consideri, oltretutto, che le donne svizzere tra i 25 ed i 34 anni praticano l’astemia specialmente quando progettano la loro prima gravidanza, la quale viene percepita, da parte delle ex bevitrici, come una positiva catarsi dalle pregresse abitudini tossico-voluttuarie. In ogni caso, ai fini della composizione delle Statistiche ufficiali, l’astinenza ritrovata non è da ritenersi compromessa da una moderata ed episodica bevuta in contesti ludico-ricreativi tradizionali ( matrimoni, feste religiose, ritrovi familiari, pranzi con parenti ). Il 69,5 % degli ex bevitori elvetici afferma di aver cessato di consumare alcol per motivi di salute, il 58,4 % sostiene che il gusto dei vini e delle birre era diventato sgradevole ed il 52,8 % dei neo-astemi lamenta la perdita di lucidità connessa agli alcolici.

L’ Ufficio federale di Statistica di Neuchatel ha distinto i bevitori di bevande alcoliche in sette categorie, a seconda della quantità e della periodicità cronologica delle bevute. Il 9,4 % degli Svizzeri fa un uso quotidiano di alcol ( la maggioranza è composta da bevitori maschi ). Più diffuso è il consumo 1 – 2 volte alla settimana, 1 – 3 volte al mese e meno di 1 volta al mese. Tra il 15 ed i 24 anni d’ età, il consumo iper-problematico si concentra nella fine della settimana e durante i ponti festivi, ma sempre e comunque al di fuori dei pasti. Ognimmodo, la Svizzera italofona, anche negli Anni Duemila, prosegue nel mantenere il primato dell’ abuso cronico, giovanile e non.

Come unanimemente raccomandato dagli Autori della Tossicologia Forense, in tema di alcolismo, è necessario distinguere tra:

  1. l’ astinenza totale ( si reputino irrilevanti, a tal riguardo, modeste bevute simboliche durante feste familiari, religiose o popolari )
  2. il consumo a basso rischio ( meno di 40 g / 1 giorno per i maschi e meno di 20 g / 1 giorno per le donne )
  3. il consumo a medio rischio ( tra 40 – 60 g / 1 giorno per i maschi e tra 20 – 40 g / 1 giorno per le donne )
  4. il consumo ad elevato rischio ( più di 60 g / giorno per i maschi e più di 40 g / 1 giorno per le donne ).

Purtroppo, le rilevazioni statistiche e medico-legali, quanto all’ alcol, sono assai complicate a causa di fattori socio-comportamentali di non semplice interpretazione. Ad esempio, gli ultra-13enni, anche nella Confederazione, sono soliti assumere alcol soprattutto od esclusivamente presso locali notturni nelle ore tra il Sabato e la Domenica. Oppure ancora, si consideri il caso particolare dei ponti festivi e delle vacanze scolastiche. Inoltre, non si dovrebbe obliare che le mode tossicomaniche giovanili non sono limitate ai tradizionali e meno dannosi vini da pasto, in tanto in quanto i / le adolescenti occidentali consumano preferibilmente birre, whisky, vodke, aperitivi, grappe ed altri preparati etilici, sovente mescolati all’ MDMA, alla cannabis, all’ LSD ed ai funghi allucinogeni.

Per quanto attiene al consumo cronico (più di 60 g / 1 giorno per i maschi e più di 40 g / 1 giorno per le donne ), in Svizzera, nel 2016, sono stati monitorati circa 111.000 alcolisti in stato di totale e pressoché irreversibile uncinamento, mentre, nel 2011, tale cifra toccava le 122.000 unità. Tra costoro, le donne superano dello 0, 5 % i bevitori maschi, il che va contestualizzato alla luce della maggiore fragilità psico-fisica delle alcolizzate di sesso femminile infra-50enni. Come precedentemente affermato e ribadito, dal 2011 al 2016, il primato del consumo cronico spetta al Canton Ticino, mentre i Cantoni francofoni e, più ancora, quelli germanofoni risultano ( rectius : risulterebbero ) meno colpiti, sebbene la situazione non sia idilliaca in nessuno dei 26 Cantoni. Del resto, molti dimenticano il fattore costituito dagli incidenti stradali per guida in stato di ebbrezza e, ogni modo, negli Anni Duemila, le tendenze e le costumanze poli-tossicomaniacali comportano la mescolanza contestuale delle bevande alcoliche con altre sostanze stupefacenti, psicotrope, psicoattive e psichedeliche. Il consumo cronico colpisce soprattutto, in territorio elvetico, le tre fasce anagrafiche dai 45 ai 54 anni, dai 55 ai 64 anni e dai 65 ai 74 anni, ciononostante, l’ alcolismo abituale / semi-cronico non risparmia, nel lungo periodo, i gruppi problematici dai 15 ai 19 anni d’ età, dai 20 ai 24 anni d’ età e dai 25 ai 34 anni d’ età. In buona sostanza, i sintomi di una futura assunzione cronica sono visibili negli assuntori infra-34enni, benché la patologia non sia ancora pienamente conclamata. P.e. si pensi all’ abuso femminile di bevande alcoliche in epoca post-menopausale. In ogni caso, la tripartizione regionale è stata messa in dubbio da alcuni Ricercatori, a parere dei quali, dal 2011 al 2016, il presunto 3 % di alcolisti irreversibili germanofoni nasconderebbe una cifra oscura assai maggiore. Probabilmente, negli Anni Duemila, sono stati commessi errori nella scelta del campione-base utilizzato nelle Statistiche ufficiali in lingua tedesca. Altri Dottrinari, del pari, hanno contestato pure le differenze tra bevitori maschi e bevitrici donne, ovverosia lo scarto dello 0,8 % tra uomini e donne non sarebbe proporzionato e/o fattualizzato. Basti pensare ai reati tipicamente maschili contro la persona, i quali non sono sintomo di assunzioni alcoliche maggiori, bensì di una diversa risposta del cervello agli impulsi aggressivi cagionati dalle bevande alcoliche. Eguali osservazioni si possono fare a proposito del vandalismo.

Malauguratamente molti Censimenti criminologici ipostatizzano il consumo cronico e sottovalutano l’ odierna moda giovanile ludico ricreativa delle gare a chi beve più bicchieri di alcol nel corso di poche ore. Negli USA e nel Regno Unito, la << consumazione episodica a rischio >> (binge drinking) era in voga già negli Anni Novanta del Novecento e tale gioco auto-lesivo e traumatofiliaco non ha risparmiato neppure i cc.dd. civili Paesi Nordici, ove tale devianza è divenuta pericolosamente diffusa sin dalla minore età. Sotto il profilo gius-penalistico, il binge drinking provoca, anche in Svizzera, risse, incidenti stradali, violenze fisiche, stupri di gruppo ed omicidi volontari aggravati dal dolo eventuale. Nella Criminologia europea, la predetta gara, solitamente, comincia da un minimo di 5 bicchieri almeno per i ragazzi e 4 bicchieri almeno per le ragazze. Sorprendentemente e contrariamente alle previsioni, il binge drinking è più diffuso nei Cantoni francofoni ed è praticato, per lo più, 1 volta al mese e, comunque, in prossimità di pubs e discoteche.

Come dimostrato dal nuovo fenomeno delle poli-tossicomanie associative, anche per le bevande alcoliche esiste sovente una combinazione più che dannosa tra il binge drinking ed il consumo cronico infra-settimanale, ovverosia più di 40 g. / 1 giorno per i bevitori maschi e più di 20 g. / 1 giorno per le bevitrici donne. Tale miscelazione auto-lesiva tange soprattutto i Cantoni francofoni, seguiti da quelli germanofoni, mentre il Canton Ticino, almeno in questo caso, non risulta sovra-esposto. La fascia anagrafica maggiormente colpita dalla summenzionata combinazione è quella tra i 20 ed i 24 anni d’ età, mentre gli ultra-35enni optano per le ubriacature programmate. Non meno inquietante è, in ogni caso, l’esposizione cronica unita al binge drinking dai 15 ai 19 anni (rectius: dai 13 ai 19 anni ) e dai 25 ai 34 anni. Le alcoliste donne coinvolte in tale duplice problematica sono circa la metà rispetto agli assuntori maschi, ma il trend è notevolmente peggiorato dal 2011 al 2016. In buona sostanza, la co-presenza contestuale del binge drinking e dell’alcolismo cronico afferisce anzitutto e soprattutto gli adolescenti ed è in crescita il numero delle infra-25enni femmine che abusano coniugando l’ubriacatura grave e la gara a chi beve di più.

Come prevedibile, l’alcolismo, anche quello non abituale e non infra-settimanale, colpisce meno i detentori di una laurea e quelli di un diploma superiore, mentre la mancanza di un titolo di studio elevato o medio è spesso associata agli abusi di bevande etiliche, pur se, a parere di chi scrive, rimangono cifre oscure attinenti da insospettabili professionisti dell’alta borghesia. Far dipendere l’ abuso di alcol dal titolo di studio ricorda, più o meno direttamente, gli approcci epistemologici completamente fuorvianti di Lombroso. Ogni modo, pare che le donne diplomate o laureate siano meno esposte all’ uso eccessivo di alcolici. Un altro fattore di profilassi è (rectius: sarebbe) costituito dal lavoro, ovverosia i precari ed i disoccupati sono / sarebbero meno esposti al rischio dell’ alcool dipendenza, ma, anche in tal caso, è necessario dissociarsi da pregiudizi classisti e deterministici, che erano applicati, verso la fine dell’ Ottocento, alla popolazione operaia italiana ed irlandese nel Regno Unito ai tempi della Rivoluzione industriale. Infatti, il rischio è di cadere nell’ eugenetica e nella discriminazione socio-razziale. Oltretutto, rimane poco esplorato, a livello criminologico, il caso delle bevitrici ultra-40enni svolgenti la professione della casalinga. Viceversa, a livello statistico, l’ alcol dipendenza risulta egualmente e paritariamente distribuita tanto nelle metropoli quanto nelle periferie rurali. Molto importante è pure distinguere tra l’abuso dal lunedì al giovedì e quello, tipicamente giovanile, dal venerdì alla domenica. Anche in questo caso, la fine della settimana è maggiormente esposta al rischio di condotte alcolistiche nei Cantoni francofoni ed i gruppi anagrafici più danneggiati vanno dai 15 ai 34 anni. In ogni caso, nella Svizzera contemporanea, sta marcatamente diminuendo l’alcolismo cronico in età senile, mentre la gioventù elvetica degli Anni Duemila si trova in condizioni inquietanti entro una prospettiva di lungo periodo.

L’ incidenza statistica del fenomeno in Italia

Anche in Italia, è ampiamente diffusa la piaga dell’ alcoldipendenza e del gioco traumatofiliaco del binge drinking. Le bevande alcoliche, nella società italiana, costituiscono una vera e propria droga giovanile, perfettamente legale, socialmente incontestata, poco costosa e reperibile senza troppe difficoltà in tutto il territorio nazionale, anche durante le ore notturne. Dalle rilevazioni statistiche curate periodicamente dal Ministero della Salute, risulta che, dal biennio 2012- 2013 sino ad oggi, gli ultra-11enni italiani che praticano il binge drinking, in occasioni festive, sono almeno il 6,3 % della popolazione minorile, il 10,4 % dei quali maschi ed il 2,5 % femmine. Tale drammatica situazione precipita ulteriormente nella fascia anagrafica dai 18 ai 24 anni, ove il 15,1 % dei giovani maggiorenni pratica la gara a chi beve di più. Anzi, si stima che, nel 2013, il 21,9 % dei ragazzi italiani mescola l’ alcol, in maniera poli-tossicomaniacale, con cocaina, efedrina, ecstasy e cannabis. Negli Anni Duemila, il 41,2 % degli infra-24enni si ubriaca spesso e, in ogni caso, il pericolo maggiore è costituito dalle bevute di vino e birra fuori dai pasti e, dunque, per finalità tossicovoluttuarie anziché enogastronomiche. Inoltre, gli adolescenti italiani contemporanei bevono contestualmente vino, whisky, gin, tequila e cocktail. Dal 2013 al 2017, l’Istituto Superiore di Sanità ha censito che, nella notte tra il Sabato e la Domenica, le discoteche e gli altri locali notturni agevolano l’ abuso di bevande alcoliche per il 64,8 % dei minorenni maschi e per il 34 % delle minorenni femmine. Nelle sale da ballo, un infra-18enne maschio medio beve almeno 4 bicchieri di alcolici ed una infra-18enne femmina media fa uso di almeno 3 bicchieri. Paradossalmente, dai 19 ai 24 anni d’ età, cala il numero delle ubriacature nelle discoteche, senza poi contare che il 53,3 % degli 11.enni ha provato almeno una volta le birre, i liquori e gli amari. Sempre in Italia, l’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’ Alcol ha censito che almeno due quinti dei /delle tredicenni hanno già avuto un’ esperienza di abuso di bevande etiliche. Raramente gli ultra-14enni consumano alcolici da soli ed il primo assaggio avviene quasi sempre in un malizioso contesto di complicità amicale clandestina, ma non mancano gli ultra-13enni che reputano <<normale >> imitare gli adulti della propria famiglia bevendo birra durante i pasti.

Prevedibilmente e meta-temporalmente, anche nel caso dei giovani o giovanissimi di nazionalità italiana, l’approccio criminogeno all’ alcol è coadiuvato o, viceversa, evitato a seconda del gruppo amicale di appartenenza, come se si trattasse di un rito iniziatico, praticato tanto nelle vie anonime delle città quanto nella quiete apparente delle periferie rurali. Un secondo fattore di aiuto allo sviluppo delle devianze alcolistiche è costituito pure dalla facilità di acquistare bevande etiliche grazie ad amici maggiorenni oppure con la compiacenza illegale di baristi o negozianti. Il 49,5 % dei ragazzi italiani dichiara di ubriacarsi << innazitutto per divertirsi >>, il 38 % circa <<per sentirsi grande e per vincere la tristezza >> e l’ 8 % circa << per evadere e per superare la noia >>. Tuttavia, non mancano gli / le adolescenti che si auto-giustificano dichiarando che i loro genitori bevono anch’ essi l’alcool e che, nel loro contesto familiare, i vini e le birre sono perfettamente accettati ed abbondantemente consumati. Anche a livello socio-televisivo, l’Italia normalizza l’ uso eccessivo di bevande etiliche nel nome di una presunta cultura enologica nazionale che esalta ed amplifica la filiera economica vitivinicola. Grazie alla L. 189/2012, l’Ordinamento giuridico italiano ha proibito, almeno in linea teorica, la vendita di alcolici ai / alle minorenni, ciononostante tale divieto è eluso frequentemente, soprattutto nei locali notturni e nelle rivendite periferiche meno sottoposte al controllo della PG. Anche la Società Italiana di Alcologia ha rimarcato che, in Italia, l’86 % degli infra-18enni riesce a procurarsi alcolici soprattutto a causa dei prezzi eccessivamente bassi dei vini, delle birre, dei liquori e delle vodke. Oltretutto, la pubblicità televisiva è oscenamente e dannosamente seducente e crea bisogni psicologici non gestibili da parte di individui caratterialmente ed anagraficamente protesi all’ esperimentazione compulsiva del proibito.

Secondo l’ ISTAT, nel 2011, in Italia, l’ abuso di bevande etiliche ha cagionato oltre 1.300 incidenti stradali mortali in danno di conducenti e/o passeggeri con un’ età compresa tra i 20 ed i 39 anni. In molti casi, lo stato di ebbrezza era congiunto all’ assunzione poli-tossicomanica di stupefacenti. A causa dell’alcolismo, più o meno episodico, si contano 3,8 morti ogni 100 incidenti la Domenica tra le 22 e le 6 del mattino, 3,6 il venerdì e 3,5 il sabato notte negli stessi orari. Il picco (6 morti ogni 100 incidenti ) si verifica alle 5 di mattino. Inoltre, a prescindere dalla fascia anagrafica, gli abusi alcolistici provocano, in Italia, oltre 40.000 morti ogni anno per cirrosi epatica, omicidi volontari, infortuni domestici o lavorativi, tumori e suicidi. Sotto il profilo statistico, nel 2004, in Italia, le bevande alcoliche hanno costituito il 5,3 % delle cause di mortalità ed il 7,1 % delle cause di malattia. Gran parte dei tumori contemporanei reca un’eziologia tossico-alcolistica.

La criminologia italofona in tema di alcolismo

Nella Prassi criminologica italofona, l’ alcoldipendente è reputato tale, anche alla luce del DSM-IV, se, per un periodo superiore ad un mese, si sente irrefrenabilmente spinto a bere molti alcolici, è ossessionato dal consumo di bevande etiliche e, durante la giornata, trasforma l’ alcol in una sorta di buona consolazione necessaria e mentalmente totalizzante. Il tipico alcolista italiano, mese dopo mese, riduce le proprie ore lavorative, non intrattiene più rapporti sociali esterni, percepisce il lavoro come un’oppressione inutile ed avverte nervosamente una dolorosa astinenza qualora non possa avere a disposizione alcolici da bere per placare ansia ed inquietudine. A parere di molti Operatori socio-sanitari, l’ alcoldipendente è un malato curabile ancorché non guaribile, ovverosia egli / ella, qualora disintossicato, non dovrà più assumere nemmeno un bicchiere di vino, birra o liquore, in tanto in quanto, anche nel lungo periodo, sussisterà sempre e comunque il rischio della recidiva. L’ etilista cronico, sotto il profilo sociale, si isola sempre maggiormente, interrompendo le relazioni etero-dirette verso la famiglia, verso i conoscenti e verso i colleghi di lavoro. Il bevitore patologico, come ogni tossicodipendente, reca l’ossessione di procurarsi bevande alcoliche per superare forti stati depressivi e, in breve tempo, reati come il furto o la rapina vengono percepiti come normali e pressoché legittimi pur di saziare le proprie esigenze psico-fisiche ad eziologia alcolistica. L’ ubriacatura diventa il centro del tempo e della vita e nemmeno i familiari, nella mente dell’ alcolista, debbono interferire nell’ intero del rapporto simbiotico e compulsivo tra il vino e la persona cronicamente uncinata. L’ alcolismo è una tossicomania psicofisica analoga alla dipendenza da stupefacenti “ duri “ come l’ eroina e la cocaina, le quali, in ogni caso, non di rado sono poli-tossico-maniacalmente mescolate alle bevande spiritose, con la sottile eppur reale nascita di un vero e proprio odio nei confronti dei contatti esterni, tanto familiari quanto lavorativi. La misantropia è la compagna inseparabile dell’alcolista, che sviluppa una forte anti-socialità di matrice border-line. Colui / Colei che abusa dell’ alcol va incontro ad una rimozione dei freni inibitori e una quasi totale mancanza di auto-controllo, con la conseguente crescita di pensieri e di condotte aggressive e, spesso, fisicamente violente. Anzi, l’alcolista acuto, anche se non associa all’ alcol altre sostanze psicotrope, perde impulsi basilari come il senso del pericolo, la corretta reattività, la capacità di coordinare i movimenti e la percezione ordinaria del tempo e dello spazio circostante. Sovente, l’ uncinato dalle bevande alcoliche, soprattutto nel caso delle bevitrici femmine, non pratica una violenza fisica etero-lesiva o materiale, ma, sotto il profilo psicologico, il soggetto perde fiducia nei confronti di qualsivoglia consociato e giunge a coltivare un profondo odio nei confronti di ogni individuo, compresi, anzitutto, i familiari ed i compagni o datori di lavoro. Molti addetti al settore dell’ Alcologia parlano anche del nesso tra alcol e violenza subita, più che agita, ovverosia il bevitore / la bevitrice cronico/a tendono ad avvicinarsi a luoghi ed a stili di vita criminogeni, degradati e degradanti, nei quali è facile trasformarsi in parte lesa, come dimostra la prostituzione forzata e lo stupro di gruppo durante le ore notturne nei pressi di pubs e discoteche.

I parenti prossimi non riescono, nella maggior parte dei casi, a far sottoporre a cure psico-fisiche il congiunto dipendente dall’ alcol, in tanto in quanto l’ alcolista non auto-percepisce la propria malattia e reagisce in maniera aggressiva nei confronti di coloro che gli fanno notare l’ esistenza dei problemi personali e familiari patiti. Senza l’ ausilio di personale medico e paramedico, non esiste la possibilità di ridurre in maniera autonoma ed autogestita l’ abuso di alcolici, pur se l’ uncinato nega, in modo rabbioso, di soffrire di una tossicodipendenza. In Italia, il 75 % della popolazione beve vino o birra durante i pasti, anche in età giovanile. L’ 87 % dei bevitori è maschio ed il 63 % è di sesso femminile. Gli alcolizzati acuti, in Italia, sono 2 Milioni, cui vanno aggiunti 9 Milioni di consumatori a rischio, 4 Milioni dei quali appartenenti alla fascia anagrafica dai 18 ai 24 anni. Esistono pure 1 Milione di bevitori problematici dagli 11 ai 24 anni d’ età, di cui circa 817.000 infra-17enni e 400.000 uncinati assai gravemente. Le malattie, l’ assenteismo lavorativo e le spese farmacologiche cagionate dalle bevande etiliche recano, in Italia, a costi superiori ai 53 Miliardi di euro all’anno ed incidono sul 3,5 % del PIL nazionale. Basti pensare alle spese pubbliche del Servizio Sanitario Nazionale per epatopatie alcoliche, cirrosi epatica, insufficienza renale, pancreatiti croniche, epilessia, polineuropatia, malattie cardiache, disturbi alimentari, disturbi mentali, ansia e disturbi depressivi maggiori. In crescita è pure la Sindrome di Wernicke-Korsakoff, che rappresenta la seconda causa nazionale di demenza irreversibile.

Profili criminologici

All’ inizio dell’Ottocento, l’alcolismo cronico popolare iniziò a costituire una grave piaga sociale e le Chiese evangelico-protestanti fondarono apposite organizzazioni proibizioniste denominate << Società per la temperanza >>. Di rilevanza storico-paradigmatica, nel Nord degli USA, fu la Onlus femminile Woman’s Christian Temperance Union (WCTU ), fondata nel 1874 e finalizzata alla repressione ed al divieto totale delle bevande alcoliche. I Pastori luterani legati alla WCTU denunziavano l’immoralità dei bar e delle taverne durante le omelie domenicali, mentre le donne del gruppo ostacolavano l’ingresso nei locali con preghiere, manifestazioni e gesti simbolici di penitenza in pubblico. Pochi anni dopo, nel 1890, la Chiesa Metodista statunitense diede vita alla Antisaloon League, che sosteneva indifferentemente tanto i Democratici quanto i Repubblicani, pur di raggiungere il fine morale supremo del divieto di vendere preparati etilici. Negli Anni Novanta dell’Ottocento, la proibizione dei vini era divenuta ormai inarrestabile, nonostante essa non venisse appoggiata né dalla Medicina di base né dalla popolazione americana dell’Ovest, ove dominava un’abbondante produzione di birra e di whisky. Gradualmente, nel primo decennio del Novecento, svariati Stati americani e canadesi promulgarono Normative contro l’alcol, finché, nel 1919, il Presidente Wilson impedì, con un apposito emendamento al Bill of Rights, la distillazione, il commercio, l’importazione e l’ uso personale di bevande alcoliche con un tenore etilico superiore ai 5 gradi. Per una ventina d’ anni, la repressione dei vini, delle birre e degli altri alcolici sortì effetti devastanti, in tanto in quanto crebbe il mercato nero ed il contrabbando, agevolato pure da frequenti atti di corruttela agiti presso le Dogane ed i Presidi di PG. Provvidenzialmente, nel 1933, la nuova Lega Antiproibizionista ottenne da Roosevelt l’abrogazione dell’emendamento costituzionale contro gli alcolici, la cui eventuale proibizione venne lasciata ai singoli Diritti interni della Federazione.

Sempre nell’ Ottocento, nella ex Confederazione di Svezia e Norvegia, la PA statale acquisì il monopolio del commercio di vini e birre ed i bar vennero rilevati da aziende pubbliche senza fini di lucro, ma tale << Sistema di Göteborg >> naufragò ben presto. Analogo insuccesso riguardò pure il << Sistema di Bratt >> nel Regno Unito, ove, sino al 1954, si razionò la vendita degli alcolici assegnando un apposito libretto ai cittadini maschi, suddivisi in celibi, coniugati, incensurati, pregiudicati ed ex carcerati. Si trattava di un vero e proprio regime di polizia intollerabile e , ognimmodo, completamente avulso dalla realtà concreta. Il fallimento del modello inglese inerì pure il Regno del Belgio. E’ interessante notare che, in Russia, tanto l’ultimo Zar Nicola II, quanto Lenin cercarono, seppur in contesti diversi, di limitare anch’ essi l’ abuso della vodka, ma i divieti e/o le limitazioni furono inutili, in un ambiente collettivo nel quale la popolazione era, ed è, fortemente propensa all’ abbondante uso di alcol.

Dopo la II Guerra Mondiale, il sindacalismo progressista rielaborò il Proibizionismo nell’ ottica ideologica del miglioramento della qualità della vita della classe operaia nei nuovi Paesi industrializzati di Germania, Francia, Regno Unito e Svezia. Nell’ Ordinamento giuridico svedese, negli Anni Cinquanta del Novecento, gli incarichi politici e sindacali venivano affidati esclusivamente a rappresentanti astemi del Partito Socialdemocratico. Alcuni scarsi risultati vennero ottenuti anche dall’ SPD nella Germania Ovest. Viceversa, il Partito Socialista francese non giunse mai ad appoggiare all’ unanimità le teorie antiproibizonistiche. Anzi, per molto tempo, anche in Francia, l’ Alcologia medica è stata troppo sottovalutata.

Gli Anni Cinquanta del Novecento introdussero, per la prima volta, un approccio scientifico, anziché etico-confessionale, che analizzava i risvolti delle bevande alcoliche sotto il profilo della psicologia, della sociologia, dell’antropologia e della tossicologia. Da peccatore spiritualmente tarato, il bevitore cronico si trasformò in un malato da curare. Molto pertinentemente, JELLINEK (1960 ) si premurò di contestualizzare ed umanizzare la figura dell’ alcoldipendente, che patisce effetti patologici, ma anche cause esterne, circostanze esogene e, soprattutto, condizionamenti familiari ed ambientali. Analogamente, il francofono FOUQUET (1956 ) reputava che l’ alcolizzato deve essere, di volta in volta, inserito in << classificazioni >> criminologiche multiformi e variegate, a seconda di ogni specifica e singola personalità. Giustamente, FOUQUET (ibidem) sottolineava che << il malato alcolista non è come il malato colpito da infezione, che può essere guarito da un antibiotico, ma dev’ essere esaminato nel quadro complessivo della sua personalità fisica, mentale e sociale. Alcuni consumano alcolici in eccesso perché condizionati dal loro ambiente, altri bevono soltanto in alcune occasioni sociali, altri ancora sono effettivamente schiavi dell’etanolo e pronti ad ingerire qualsiasi liquido che ne contenga >>.

La Medicina post-bellica del Novecento ha, inoltre, recato alla scoperta di danni fisiologici sino ad allora mai connessi all’ abuso di bevande alcoliche. Basti pensare alle atrofie cerebrali, alle lesioni del nervo ottico e del pancreas, ai danni in gravidanza sul nascituro, alle malattie cardiovascolari ed ai tumori delle vie respiratorie e digestive superiori. Innumerevoli sono pure le lesioni al cervello prima sconosciute o sottovalutate. Assai significativo è stato lo Studio medico- criminologico di BLANE (1968 ) sui ferrovieri alcolisti francesi negli Anni Sessanta del Novecento. Ovverosia, le rezioni psico-fisiche all’ etanolo sono molto variabili da soggetto a soggetto e da metabolismo a metabolismo. E’ impossibile predeterminare cause ed effetti, così come le devianze criminali violente sono o, viceversa, non sono imputabili all’ alcol a seconda di fattori imprevedibili, personali e tutt’ altro che matematicamente certi.

La Criminologia contemporanea, a differenza di quella di stampo lombrosiano, unisce le patologie somatiche a quelle comportamentali, per giungere a capire integralmente il motivo che ha spinto il paziente analizzato alle devianze di matrice alcolistica. Dunque, come in tutte le tossicodipendenze, anche nel caso dell’alcolismo cronico, la sostanza nasconde, alla radice, un disagio familiare, affettivo, ambientale, scolastico o lavorativo. E’ stato pertinentemente osservato da COTTINO ( 1985) che << tutte le forme di psicoterapia possono ottenere successi ed insuccessi, in quanto i rapporti tra medico, malato ed ambiente hanno una grande importanza. Gli alcolisti sono spesso ansiosi, instabili, talvolta aggressivi, e hanno spesso sensi di colpa che, uniti alla consapevolezza della loro impotenza di fronte all’ assuefazione all’alcol li spingono all’autolesionismo >>. Ma, a parere di molti Operatori, è essenziale coinvolgere, nel percorso di riabilitazione, anche l’intero nucleo familiare del tossicomane. L’ alcoldipendente è un soggetto estremamente fragile e frequentemente esposto alla recidiva. Pertanto, la vicinanza del terapeuta non potrà mai sostituire l’altrettanto basilare e paziente solidarietà della famiglia, quasi sempre chiamata anch’essa a patire decenni di sofferenza e di isolamento. Nel Novecento, l’ospedalizzazione del bevitore problematico era diffusa, ma, almeno nel lungo periodo, le cure intra-murarie si rivelano non idonee e non sufficienti, in tanto in quanto i legami con la parentela sono assai più preziosi degli approcci di una Medicina fredda e de-contestualizzante. L’ alcolismo acuto è, anzitutto, una patologia socio-familiare e non soltanto aridamente tossicologica. A parere di GODWIN (1981), << i medici hanno comunque imparato che, di fronte al fenomeno complesso rappresentato dalla dipendenza dall’alcol, essi non hanno il monopolio del sapere e inoltre devono ancor oggi acquistare numerose conoscenze [ … ] la medicina ha ancora molta strada da percorrere per chiarire i misteri dell’ alcolismo [ … ] la medicina [ contemporanea ] dell’ alcolismo è lontana dal semplicismo che prevaleva cent’ anni fa >>.

L’ alcoldipendenza costituisce una devianza multiforme, a seconda delle singole specificità etniche, religiose e territoriali. P.e., in Canada e negli USA, il disagio sociale spesso non influisce sul consumo di alcol, ovverosia molti individui, economicamente e residenzialmente ben integrati, si avvicinano ossessivamente alle bevande etiliche a causa di avvenimenti personali dolorosi, come l’emigrazione, la morte di un congiunto o la diffamazione frustrante subita nel luogo di lavoro. Anche l’apparentemente civile Svezia ospita tutt’ oggi decine di migliaia di bevitori e bevitrici problematici, nonostante il disagio comportamentale non sia per nulla connesso al reddito od alla mancanza di interventi preventivi di tipo assistenzialistico. Esiste un’angoscia sociale che spinge verso l’alcol nonostante il buon funzionamento esteriore dello Welfare. Eguali osservazioni valgono pure per gli studenti irlandesi nelle Università statunitensi del Novecento. Anche in questo caso, il tenore di vita discreto non ha impedito la diffusione eccessiva delle bevande alcoliche, giacché l’emarginazione sociale non può essere compensata dalla disponibilità e dalla fruibilità del benessere economico. Oppure ancora, si ponga mente al fallimento totale della lotta alla vodka nell’ Unione Sovietica degli Anni Ottanta del Novecento. Infatti, nonostante gli sforzi della PA, nel 1983, l’ URSS contava 1 Milione di morti cagionati dall’ alcol, 17 Milioni di bevitori problematici, quasi 12 Milioni di individui uncinati in cura e 700.000 guidatori in stato di ebbrezza resisi responsabili di gravi incidenti stradali. Anche nella Russia dei Soviet, l’inasprimento delle sanzioni, penali e/o amministrative, aveva ulteriormente aggravato la situazione, soprattutto a causa di una plurisecolare cultura slavo-caucasica che accettava e normalizzava l’uso ampio e pacifico delle bevande etiliche.

Purtroppo, come in tutte le tossicodipendenze, anche nell’ ambito dell’alcolismo, le mode tossivoluttuarie sono in perenne mutamento, soprattutto nei gruppi devianti in età giovanile. P.e., negli Anni Duemila, l’Italia e la Scandinavia conoscono il dramma delle ubriacature nella notte tra il Sabato e la Domenica, mentre in Francia l’ alcol è abusato anche durante i giorni feriali. Talvolta, inoltre, si moltiplicano gli interventi sterili e retorici di non meglio precisati opinionisti che offrono solenni pareri onnipotenti pieni di televisiva saccenza. Rimane pure la grande incognita delle zone slavo-balcaniche, nelle quali le nuove civiltà post-sovietiche non riescono a liberarsi dalle vecchie costumanze tradizionali che incentivano e giustificano l’abuso di alcolici. Senza dubbio, uno dei mali maggiori è costituito dalla cinematografia e dal piccolo schermo, ove non mancano gli eroi quotidiani aggrappati alla lattina di birra che promette paradisi artificiali, successo e disinibizione sessuomane senza freni.

Bibliografia

BLANE, The personality of the alcoholic: guises of dependency, New York, 1968

COTTINO, La questione sociale dell’ alcool da Lombroso a Ferri, AA.VV., L’ Alcool nella

società, Torino, 1985

FOUQUET, Une thérapeutique de l’ alcoolisme: essai de psychothérapie éducative, Presses

Universitaires Francaises, Paris, 1956

GODWIN, Family studies of alcoholism, Journal of studies of alcohol, n. 42, 1981

JELLINEK, The disease concept of alcoholism, New Haven, Conn., 1960

 

 

Dott. Andrea Baiguera Altieri

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