Allocazione dell’onere probatorio nel giudizio di verifica dell’adeguatezza dell’investimento nella prestazione di servizi finanziari (Commento a Cass. civ., Sez. I, sentenza 5 febbraio 2019, n. 3335)

Redazione 07/08/19
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di Sara Corradi

Sommario

1. Il caso.

2. Obblighi informativi nell’ambito della conclusione del contratto relativo ai servizi di negoziazione, sottoscrizione e collocamento di ordini di valori mobiliari e giudizio di adeguatezza dell’investimento.

3. Allegazione della carenza di informazioni nel giudizio di adeguatezza e allocazione dell’onere probatorio.

1. Il caso.

Con sentenza emessa in data 24 luglio 2007 il Tribunale di Parma ha pronunciato la risoluzione del contratto relativo ai servizi di negoziazione e collocamento di ordini di valori mobiliari stipulato il 24 aprile 1996 fra i Signori A e B e la Banca X per mancato rispetto degli obblighi informativi di cui agli artt. 17 e 18 D. Lgs. n. 415 del 1996 e art. 21 del D. Lgs. 58 del 1998, il Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria (d’ora in avanti “t.u.f.”) da parte di quest’ultima e ha condannato la banca al risarcimento danni.

La Banca X ha proposto impugnazione innanzi alla Corte d’Appello di Bologna che ha accolto le ragioni dell’appellante asserendo che gli attori erano investitori esperti e decidevano in piena autonomia l’acquisto dei titoli per telefono; inoltre, se era vero che, all’atto della stipula del contratto-quadro, la banca non aveva acquisito formalmente informazioni sulla situazione finanziaria del cliente – in applicazione della L. n. 1 del 1991, art. 6, comma 1, lett. d), efficace ratione temporis -, ed era altrettanto vero che tali informazioni erano già state acquisite dalla Banca in ragione della pregressa operatività del Signor A, il quale pacificamente operava anche nei confronti della Signora B; da quanto esposto derivava che non poteva attribuirsi rilievo neppure al mancato adeguamento del contratto-quadro alle norme dei D.Lgs. n. 415 del 1996 e del t.u.f., e del Regolamento Consob n. 11522 del 1 luglio 1998 (d’ora in avanti “Regolamento 11522”) in relazione alla omessa assunzione delle predette informazioni; il Signor A era perfettamente a conoscenza dei rischi connessi agli investimenti in questione per la sua specifica esperienza.

I Signori A e B hanno proposto ricorso in Cassazione lamentando la violazione degli artt. 17 del D. Lgs. 415 del 1996 e 21 del t.u.f. in tema di diligenza, correttezza e di adeguata informazione dei clienti nonchè degli artt. 18 del D. Lgs. 415 del 1996 e dell’art. 23 del t.u.f. in tema di onere della prova.

2. Obblighi informativi nell’ambito della conclusione del contratto relativo ai servizi di negoziazione, sottoscrizione e collocamento di ordini di valori mobiliari e giudizio di adeguatezza dell’investimento.

La sentenza che in questa sede si commenta (Cass. civ., Sez. I, sentenza 5 febbraio 2019, n. 3335) ha ad oggetto un contratto relativo a servizi di negoziazione, sottoscrizione e collocamento di ordini di valori mobiliari.

Tale contratto prevede anzitutto la stipulazione di un accordo cosiddetto “quadro” – per cui è prescritta la forma scritta a pena di nullità secondo quanto previsto dall’art. 18 del D. Lgs. 415 del 1996 applicabile ratione temporis – poi seguito da una serie di ordini di negoziazione intercorrenti fra cliente ed intermediario[1].

Nell’ambito di tale contratto e, più in generale, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento – secondo quanto dispone l’art. 17 del D. Lgs. 415 del 1996[2] – gli intermediari sono tenuti al rispetto di una serie di doveri fra cui l’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse di clienti e per l’integrità dei mercati nonché l’obbligo di acquisire le informazioni necessarie dagli investitori e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; sui soggetti abilitati grava altresì l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta (art. 18, comma 6, D. Lgs. 415 del 1996)[3].

La disciplina concernente i servizi di investimento e, segnatamente, le regole di comportamento degli intermediari finanziari sono volte a garantire quanto più possibile la trasparenza dell’investimento tramite il bilanciamento delle asimmetrie informative cosicché l’investitore sia messo nelle condizioni di compiere scelte consapevoli[4].

La Suprema Corte, nella sentenza che qui si commenta, ripercorre brevemente i principi consolidati in ordine alla natura, al contenuto e all’onere della prova relativi agli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, richiamando un orientamento costante della Cassazione secondo cui “gli obblighi informativi devono essere assolti in modo specifico per qualsiasi tipologia di investimento finanziario…e devono essere alla base di ogni scelta d’investimento”[5].

Con riguardo alle operazioni che vengono classificate dall’intermediario come non adeguate nel sistema normativo vigente ratione temporis[6] – continua la Suprema Corte – “oltre all’obbligatorietà dell’ordine scritto deve esserci anche la preventiva informazione specifica sull’investimento da eseguire, scattando […] l’onere della banca di darne la prova puntuale a fronte dell’allegazione da parte dell’investitore della sua mancanza”.

La Corte prosegue statuendo che costituisce obbligo endocontrattuale dell’intermediario l’acquisizione di informazioni sul cliente che siano idonee a consentire di delineare un profilo soggettivo dello stesso che ne evidenzi le potenzialità economiche e patrimoniali e la conseguente propensione all’investimento e al rischio. In ogni caso, l’accertamento della propensione al rischio del cliente non elimina l’obbligo informativo ma lo conforma in modo biunivoco con la finalità di realizzare un investimento consapevole da parte dell’investitore.

[1] Per un approfondimento in tema di contratto quadro e successivi ordini di negoziazione si veda Houben, Gestione di portafogli di investimento e dovere di diversificazione: violazioni degli obblighi comportamentali e onere probatorio, in Banca, borsa e titoli di credito, 2010, II, 165 ss.

[2] Applicabile ratione temporis, oggi troverebbe applicazione l’art. 21 t.u.f. e il relativo regolamento attuativo, il Regolamento Consob n. 20307 del 15 febbraio 2018.

[3] Oggi sostituito dall’art. 23, comma 6, t.u.f.

[4] Per una ricognizione generale della finalità ultima degli oneri informativi si veda Purpura, Strumenti finanziari e dovere di informazione degli intermediari: un “moderno” approccio giurisprudenziale a confronto con la normativa post Mifid, in Banca, borsa e titoli di credito, 2010, I, 609 ss.

[5] Si vedano le considerazioni della Corte relativamente al primo motivo di impugnazione.

[6] Si allude alla disciplina introdotta dal Regolamento 11522 che, all’art. 29 regolava il trattamento delle operazioni non adeguate. Nel caso di operazione non adeguata per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione alle caratteristiche dell’investitore gravava sugli intermediari autorizzati un generale dovere di astensione; nel momento in cui l’intermediario riceveva da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, era tenuto ad informarlo di tale circostanza e delle ragioni per cui non era opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intendesse comunque dare corso all’operazione l’intermediario poteva eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto, ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui venisse fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.

3. Allegazione della carenza di informazioni nel giudizio di adeguatezza e allocazione dell’onere probatorio.

Nella sentenza che qui si commenta (Cass. civ., Sez. I, sentenza 5 febbraio 2019, n. 3335) gli attori hanno lamentato il mancato assolvimento da parte dell’intermediario dell’obbligo di fornire informazioni idonee a compiere scelte di investimento consapevoli.

Come già fatto cenno nel paragrafo precedente nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta è posto a carico dell’intermediario[7].

Risolto dalle Sezioni Unite il contrasto concernente il rimedio applicabile in caso di violazione del contratto di investimento nel senso dall’applicabilità della regola di responsabilità[8], l’investitore che lamenta la violazione di una regola di comportamento da parte dell’intermediario sarà tenuto a provare: la condotta inadempiente del prestatore del servizio di investimento, il danno da lui subito e il nesso causale fra condotta dell’intermediario e danno[9].

Nella specifica ipotesi di operazione inadeguata al profilo di rischio dell’investitore occorre compiere un’ulteriore precisazione.

Nel caso di investimento non adeguato al profilo di rischio dell’investitore e in assenza di espresso consenso scritto rilasciato dal cliente che, nonostante l’informativa ricevuta intenda comunque proseguire nell’investimento[10], l’intermediario avrebbe il dovere di astenersi; nel caso di inottemperanza a tale dovere l’investitore non sarà in questi casi esonerato dalla prova dell’inadempimento ma in sede processuale potrà limitarsi ad una mera allegazione[11].

Sul punto, infatti, la Suprema Corte sulla base di un consolidato orientamento afferma che “l’allegazione della carenza di informazioni incidenti sul grado di rischiosità del prodotto o dell’investimento da parte dell’investitore determina per l’intermediario l’onere di provare di aver assolto all’obbligo informativo di cui si denuncia la mancanza o comunque di aver prospettato concretamente il grado di rischio effettivo dell’investimento all’investitore anche mediante prove orali” sottolineando altresì come “il profilo soggettivo del cliente e la sua propensione al rischio non possono determinare la legittimità dell’elusione dell’assolvimento dell’obbligo informativo”.

Nel caso concreto i giudici di legittimità hanno escluso l’inadempimento dell’intermediario ritenendo raggiunta la prova che gli investimenti oggetto di causa erano stati dettati dalla conoscenza effettiva da parte degli investitori delle variabili che ne esprimevano la rischiosità.

Tale consapevolezza – secondo la Corte – deriva da una serie di elementi probatori fra cui: a) il fatto che gli investitori avessero già acquistato obbligazioni argentine nel settembre 1997 per rilevanti somme per poi rivenderli a distanza di pochi mesi nonché nel febbraio del 2008 con successiva vendita a febbraio 2009; b) il fatto che nei fissati bollati trasmessi ai ricorrenti dopo l’esecuzione degli ordini telefonici era indicato che si trattava di operazioni rischiose[12]; c) l’esistenza di frequenti operazioni speculative di acquisto-vendita effettuate anche nell’arco di pochi giorni per rilevanti somme di denaro unitamente alle testimonianze acquisite secondo le quali il Signor A fu avvisato del rischio relativo al mantenimento in portafogli di bonds argentini oltre alla testimonianza che lo stesso ricorrente nel momento in cui iniziarono i ribassi delle relative quotazioni era intenzionato ad incrementare l’investimento in tali titoli nonostante il parere discordante del funzionario bancario.

[7] Sottolinea Houben, Op. cit., 165 ss. come «tale norma se da un lato conferma i principi generali appena esposti [in tema di onere della prova, n.d.r.] dall’altra ne prende le distanze, prestandosi ad abusi: l’estensione indiscriminata dell’inversione dell’onere probatorio infatti risulta eccessiva, incentivando azioni pretestuose dei risparmiatori ogniqualvolta l’investimento si sia rivelato svantaggioso».

[8] Nella nota stagione del “risparmio tradito” tanto la giurisprudenza quanto la dottrina si sono divise circa l’individuazione del rimedio applicabile; da un lato vi era infatti chi propendeva per il rimedio invalidatorio chi invece per quello risarcitorio. E’ stata Cass. Civ., Sez. Un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725 a risolvere il contrasto propendendo per l’applicabilità del rimedio risarcitorio; per una generale idea sul dibattito dottrinale si vedano Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni Unite: chiose, considerazioni ed un elogio dei giudici, in Giurisprudenza Italiana., 2008, 347 ss.; Galgano, Il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle Sezioni Unite della Cassazione, in Contratto e Impresa, 2008, I, 1 ss.; Gobbo, Le sanzioni applicabili alla violazione delle regole di condotta in tema di investimenti mobiliari: la prima pronuncia nomofilattica su nullità e responsabilità contrattuale, in Giurisprudenza Commerciale, 2008, II, 356 ss; Bove, Le violazioni delle regole di condotta degli intermediari finanziari al vaglio delle Sezioni Unite, in Banca, borsa e titoli di credito, 2009, II, 143 ss.

[9] Ex multis si veda Cass. Civ., sez. I, 17 febbraio 2009, n. 3773.

[10] Sul punto si veda altresì Par. 2.

[11] Dovendo comunque dare prova del danno e del nesso di causalità anche per presunzioni. Si veda sul punto approfonditamente sempre Cass. Civ., sez. I, 17 febbraio 2009, n. 3773.

[12] Precisa la sentenza nella sua parte motiva che «Sul punto, è significativo che il giudice d’appello abbia evidenziato che, se era vero che tali “fissati bollati” erano stati consegnati dopo l’esecuzione dell’ordine, era altrettanto vero che il Signor A aveva continuato ad effettuare acquisti di obbligazioni argentine, conservandoli in portafoglio, anche dopo aver appreso, attraverso l’avvertimento contenuto nel primo “fissato bollato”, del rischio connesso alle stesse operazioni».

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