Alle origini del linguaggio giuridico

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Un’immagine ci teneva prigionieri. E non potevamo venirne fuori, perché giaceva nel nostro linguaggio, e questo sembrava ripetercelo inesorabilmente”(Wittgenstein).

Sebbene l’esperienza ci fornisce attraverso la percezione la materia o l’evento naturale su cui si basa la fisiologia dei vari processi mentali, Locke ci ricorda che è il pensiero che aggiungendosi alla materia crea le idee e quindi l’innegabile fatto della nostra consapevolezza, in un inestricabile nodo tra consapevolezza , percezione /pensiero e idee.

Su questa via Priestley già alla fine del Settecento richiama la possibilità del superamento della dualità cartesiana tra mente e cervello con l’individuare le proprietà mentali nell’emergenza dalla struttura organica, per cui il linguaggio ci permette usi infiniti sebbene originati da mezzi finiti (Von Humboldt).

Nella sua ipotesi linguistica Yakobson prevede due assi su cui noi tutti lavoriamo, uno della selezione e l’altro della combinazione, in altri termini scegliamo dal nostro repertorio alcune parole e non altre che combiniamo secondo determinate regole, si ottengono quindi le figure retoriche usate, da cui Chomsky ne deduce che il linguaggio è un patrimonio preesistente il quale necessita di addestramento, vi è alla base una grammatica generativa come appare confermato dalle ricerche coordinate dal linguista Andrea Moro che confermerebbe l’esistenza di una Grammatica Universale che Broca identifica in una localizzata area del cervello denominata dal suo scopritore “area di Broca”.

A sua volta Thorpe individua tre proprietà condivise dal linguaggio umano e animale:

  • Intenzionalità, ossia la volontà di fare comprendere qualcosa a qualcuno;

  • Sintattica, l’esistenza di una articolazione interna strutturata e coerente;

  • Proposizionale, la trasmissione di informazioni;

quello che distingue tra loro le due tipologie di linguaggio è, secondo Chomsky, il principio di organizzazione totalmente differente, la competenza linguistica risulta pertanto essere un sistema astratto che viene a sottendere le regole di forma e significato del comportamento in una fase precedente alla “scienza comportamentale” propria della psicologia.

In Chomsky vi è la convinzione dell’esistenza di una pre-condizione kantiana all’esperienza linguistica su cui l’esperienza esterna viene semplicemente a stimolare l’applicazione di alcuni principi interpretativi innati, concetti provenienti dalla capacità di comprendere, questo non viene a negare le differenze derivanti dalle diverse abilità di nascita e condizioni di acquisizione, dove Peirce nel rivalutare l’aspetto istintuale dell’uomo nella definizione di teorie corrette evidenzia la necessità dell’individuazione delle regole esistenti nella limitazione delle possibili teorie (teoria dell’innatismo), si ha comunque il superamento dello strutturalismo linguistico con il solo suo limitarsi alla descrizione del funzionamento.

Dretske evidenzia la “funzione biologica” di uno stato mentale quale risposta alla pressione ambientale secondo una tipica concezione della biologia evoluzionistica, si viene a creare quindi non una sola realtà fissa ma una realtà dinamica costituita da un susseguirsi di realtà aderenti all’evolversi del nostro linguaggio e quindi della nostra vita; questo ci conduce all’affermazione (Davidson) per cui la nostra conoscenza della realtà è anche frutto della natura delle nostre relazioni interpersonali, vi è una triangolazione tra due o più agenti e il mondo esterno in cui ognuno interagisce simultaneamente sia con il mondo che con l’altro agente, si crea una condizione pre-linguistica e pre-cognitiva necessaria sia al pensiero che al linguaggio, la mancanza di tale triangolo rende inspiegabile sia l’oggettività del pensiero che il suo contenuto empirico sul mondo esterno, come già osservato da Wittgenstein, per cui il dialogo crea lo spazio che diventa necessariamente sociale sia per il linguaggio che per il pensiero e in questo si forma il concetto di verità o falso.

Saussere ci ricorda che il significato non può essere isolato dalla struttura generale linguistica si che i processi della significazione acquistano un ruolo centrale e costitutivo della teoria linguistica, il linguaggio ha quindi una analizzabilità propria quale sistema autonomo e indipendente, in questo non vi è alcuna arbitrarietà ma emergono regole proprie della mente che manifestano tratti comuni alle varie lingue; le leggi linguistiche possono avere origine da singole innovazioni isolate che solo successivamente vengono generalizzate con ripercussioni su tutto il sistema (diacronico), ma solo in minima parte si possono ipotizzare leggi pancroniche aventi direttamente un valore universale come nel caso dell’alterazione necessaria dei segni nel tempo, per cui un sistema di segni una volta costituito vive autonomamente e non può sottrarsi alla legge fatale dell’alterazione.

Se il significante è articolato in unità minime, è il significato che risulta estremamente estensibile,viene a mancare quindi nel significato la garanzia di una determinata regolarità dei mutamenti dovuta all’azione del sistema linguistico articolato in simmetriche unità minime (Saussure), si pone il problema del passaggio dal senso individuale a quello collettivo che viene risolto da Tarde attraverso l’imitazione la quale crea la genesi dei fatti collettivi, mentre per Durkhein la generalizzazione avviene con l’imposizione, la sintesi saussariana focalizza invece l’attenzione sui collegamenti linguistici tra individui che stabiliscono una sorte di media la quale approssimativamente collegherà gli stessi concetti agli stessi segni.

Superando il problema del riferimento Putnam afferma essere segni e oggetti interni ai nostri schemi concettuali, non rinviando la rappresentazione ad ulteriori oggetti preesistenti, la verità rientra pertanto nei criteri di cui disponiamo per accettarla, tuttavia non può negarsi il contributo “a priori” che viene fornito dal mondo a partire da un “contenuto”, questa circostanza è valorizzata da Duine con la necessità che anche le verità analitiche debbano fondarsi in un qualche rapporto con l’esperienza, circostanza per cui i significati degli enunciati vengono acquisiti in quanto parte di un sistema linguistico senza che tuttavia, osserva Putnam possa teorizzarsi l’esistenza di un saldo rapporto stabile tra espressioni linguistiche e mondo.

La capacità linguistica è caratterizzata in termini di abilità, ossia nel possesso di una serie di schemi associati al lessico mentale ciascuna delle cui entrate è alla base di precise capacità referenziali, tre sono gli schemi individuati:

  • Riconoscimento: capacità di denominare un oggetto;

  • Applicazione: capacità di individuare l’oggetto denotato da una parola;

  • Modellizzazione: capacità di selezionare il pertinente modello percettivo associato ad una parola al fine di inserirlo in un modello di discorso.

Tutti questi schemi hanno una stretta relazione con la percezione, costituendo l’interfaccia tra questa e il linguaggio e tra il linguaggio e il sistema motorio, per cui la percezione è la base dei processi di elaborazione del riferimento, solo la possibilità di elaborare i dati resi disponibili dalla percezione permette di proiettare il “mondo” nel proprio processo creativo e di “costruire” il mondo stesso superando il rischio di un eccesso di relativismo dai molti mondi (Putnam), d’altronde ogni termine ha una doppia valenza, uno tecnico proprio dell’ambito della disciplina considerata, l’altro culturale fornito del valore che la comunità gli fornisce.

Se nell’uomo vi sono già insite regole di forma e significato proprie del comportamento, come sostenuto da Chomsky, che fanno presupporre l’esistenza di una Grammatica Universale, occorrerebbe distinguere tra queste “idee” innate e la loro coniugazione secondo le pressione ambientale (Dretske) che avviene seguendo forme diverse computabili linguistiche, in questo interviene il processo selettivo evoluzionistico nella concorrenza che si forma tra e nei gruppi linguistici in un alternarsi di cooperazione e conflitto.

Il sistema logico binario su cui è impostata la normativa, fare o non fare perde coerenza con il sovrapporsi cronologico delle normative, lo sfilacciarsi aumenta la discrezionalità derivante dalla logica fuzzy, mentre il ritirarsi della procedurabilità del sistema rigido binario risulta di fatto sebbene negato dal sistema formale, occorre quindi distinguere tra le “idee” giuridiche innate in quanto fisiologiche dell’uomo e la loro coniugazione linguistica che è ambientale e quindi sociale ne deriva la possibilità di una trasposizione dell’etica nel sistema linguistico.

Habemas partendo dalla considerazione che nel linguaggio è insito il fine dell’intesa ne deduce che i presupposti delle argomentazioni coincidono con le condizioni della comunicazione orientata all’intesa, in questo le condizioni normative e costrittive dell’argomentazione non dovrebbero lasciare spazio all’interazione soggettiva, la costrizione sembra quindi di per se stessa negare la libertà di scelta propria dell’aspetto morale anche se il discorso è per l’autore l’unica dimensione su cui potere fondare il dovere.

Tuttavia è stata osservata la problematicità di una mera riduzione delle relazioni personali alla pura relazione linguistica con questo riducendo la dimensione sociale ad una sua lettura attraverso le sole strutture linguistiche, per cui il vincolo etico si riduce al vincolo derivante dal piano logico-linguistico, è al contrario la volontà di intendersi a provocare l’uso normativo e non l’atto linguistico di per sé, questo tuttavia non esclude che la forma linguistica prefigga in se stessa una quale valenza storico-etica del gruppo favorendo mediante la propria complessità eventuali ambiguità che da ricchezza espressiva originaria diventano riflesso di ambiguità etiche.

E’ pur vero che la socialità si costruisce nella comunicazione, così come la volontà e l’autonomia personale, secondo la dialettica hegeliana, ma l’induzione dell’ascoltatore all’affidamento necessita di obblighi di fondazione (atti linguistici constatativi), di giustificazione (regolativi), di prova (rappresentativi) che si risolvono in una pretesa di validità garantita mediante l’esibizione di ragioni e comportamenti convincenti, la coscienza proviene pertanto per Habermas dai rapporti di interazione secondo un divenire di logica evolutiva in cui la morale si risolve nella risoluzione di conflitti di azione secondo una ristretta etica comunicativa.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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