Aggravanti artt. 589-590 c.p. e delitti contro l’incolumità pubblica

Scarica PDF Stampa

A fronte dell’evoluzione giurisprudenziale sul rapporto tra le circostanze aggravanti di cui agli artt. 589 co II e 590 co III c.p. e i delitti contro l’incolumità pubblica, il presente contributo si pone come obiettivo quello di inquadrare il su detto rapporto in relazione al principio di tassatività. Ci si riferisce, in modo particolare, all’equiparazione tra i casi di infortunio sul lavoro richiamati dalle circostanze aggravanti di cui sopra e i casi di malattia professionale che, invece, risultano esclusi. Ragion per cui, ci si interroga del rapporto tra l’interpretazione estensiva, ammessa in diritto penale e l’interpretazione analogica vietata se in malam partem e il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. che si pone come valore guida nella risoluzione dei casi concreti al fine di garantire esigenze di giustizia, senza minare la tutela della libertà personale ex artt. 13, 25 e 27 Cost.
Per approfondimenti consigliamo il volume: La Riforma Cartabia del sistema sanzionatorio penale

Indice

1. I delitti contro l’incolumità pubblica: ratio e funzione


In dottrina era un tempo in voga la teoria che inquadrava i delitti contro l’incolumità pubblica in senso strumentale alla tutela della vita e dell’integrità personale. Secondo questa teoria, tali delitti, non avrebbero autonomia, essendo prodromici, per l’appunto, alla tutela dell’incolumità individuale bene giuridico proprio dei delitti contro la persona a cui si riferiscono le circostanze aggravanti di cui agli artt. 589 e 590 c.p.. Conseguenza diretta di tale impostazione è quella di non poter configurare un concorso tra i delitti contro l’incolumità pubblica e i delitti contro la persona venendo i primi assorbiti dai secondi nel caso di verificazione della morte e/o delle lesioni personali. Tale teoria è stata ampiamente superata e ad oggi ricopre un ruolo minoritario. Infatti, a prevalere è il raffronto strutturale tra le due tipologie di delitti in relazione alla diversità dei beni giuridici tutelati, tale per cui si ritiene configurabile l’istituto del concorso di reati.
I delitti contro l’incolumità pubblica, tutelano la salute e l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone e si configurano come reati di pericolo in concreto, fatta eccezione per la fattispecie che punisce l’incendio ex art. 423 co I. In coerenza con il principio di offensività, infatti, la struttura di tali reati, pur costituendo un’anticipazione della tutela al momento della messa in pericolo, comunque consente all’interprete di vagliare nel caso concreto l’effettiva concretizzazione del pericolo a fronte della pericolosità, appunto, degli atti posti in essere in relazione alla tutela dell’incolumità pubblica. Si discute dell’ammissibilità del tentativo, escluso in caso di delitti colposi per incompatibilità strutturale, in relazione alla soglia di tutela che nei reati di pericolo sarebbe già anticipata. In verità, ad avviso di chi scrive, il tentativo è compatibile con la classe dei reati di pericolo concreto dal momento che si possono configurare atti diretti e idonei a causare il tipo senza raggiungere la conformazione dello stesso. Si pensi ad un piromane che venga sorpreso dalla guardia forestale a cospargere di benzina una serie continua di alberi prima di poter appiccare il fuoco, la quale condotta integra la fattispecie dell’incendio co. II.
Ciò che deve verificarsi per ritenere configurati tali delitti è la gravità (criterio quantitativo) e la diffusività (criterio qualitativo) del pericolo. Proprio tali requisiti consentono di scindere il nucleo centrale di tali delitti dal resto delle condotte che se pur pericolose non sono in grado di determinare il pericolo all’incolumità pubblica. A fronte di quanto affermato, per la configurazione dei delitti contro l’incolumità pubblica non è necessario che si verifichino la morte o la lesione di un certo numero di persone poiché, la valutazione si sposta al momento della condotta in relazione al grado di pericolosità richiesto ma, quest’ultime di fatto fungono come elemento probatorio della concretizzazione del pericolo all’incolumità pubblica. In altre parole, la morte o le lesioni di un certo numero di persone costituiscono la prova provata della gravità e della diffusività del pericolo proprio ai delitti contro l’incolumità pubblica anche se non necessari per la loro configurabilità

2. Morti o lesioni occorse in conseguenza della verificazione di eventi disastrosi e l’applicazione delle aggravanti di cui agli artt. 589 co. II e 590 co. III


Tra i delitti contro l’incolumità pubblica rientrano i delitti di disastro, nominato (tra cui il disastro ferroviario, frana, valanga) e innominato ex art. 434 c.p..(fattispecie spesso utilizzata per punire casi di inquinamento e disastro ambientale non disciplinati espressamente prima dell’introduzione della legge n. 69 del 2015 sugli ecodelitti).
Si è detto poc’anzi che caratteristica propria dei delitti contro l’incolumità pubblica e dunque dei delitti di disastro è la non necessarietà della verificazione dell’evento cui la norma mira a prevenire in maniera anticipata punendo il pericolo della sua verificazione. La fattispecie dell’art. 434 c.p. ad esempio, al primo comma punisce un fatto diretto a provocare il crollo di una costruzione, una parte di essa o altri disastri se ne deriva pericolo per la pubblica incolumità mentre, al secondo comma si prevede che la verificazione del crollo della costruzione (anche in parte) o del disastro aggravi il reato. Allo stesso modo, come già anticipato non vi è alcuna dipendenza strutturale tra tali fattispecie e la morte o la lesione personale posti come eventi, che aggravano il trattamento sanzionatorio, nel caso in cui siano derivate dalla causazione di un disastro. Ne consegue l’applicazione delle fattispecie in concorso tra loro. Tale è l’approdo della giurisprudenza maggioritaria che, spesso, si è trovata a dover interfacciarsi con tale tipo di problematiche applicative soprattutto in ambito imprenditoriale/industriale. Proprio le morti sul lavoro, infatti, costituiscono tristi episodi di cronaca che hanno generato allo stesso tempo allarme sociale e l’intervento espansivo della giurisprudenza nell’ottica di assicurare giustizia nel caso concreto. In tal senso, ci si riferisce all’applicazione delle aggravanti di cui agli artt. 589 co. II e 590 co. III nei casi dei delitti di disastro. La possibilità di configurare tali aggravanti, sul piano delle conseguenze penali sostanziali e procedurali comporta, tra le altre, il raddoppio dei termini di prescrizione (ampliamento dell’arco temporale entro cui è possibile punire), la configurabilità dell’illecito amministrativo ex art. 25 septies del d. lgs 231 del 2001 e dunque la possibilità di punire l’ente, la possibilità che enti o associazioni rappresentative dei lavoratori possano costituirsi in giudizio come parte civile. Quanto appena affermato ci consente di svolgere una riflessione sull’esigenza di dover intervenire con una risposta sanzionatoria più severa a fronte della gravità sostanziale di molte condotte tenute nei luoghi di lavoro, soprattutto nelle attività imprenditoriali ad alto rischio. Le morti sul lavoro, c.d. morti bianche, sicuramente hanno provocato, come si è accennato poc’anzi, una reazione di allarme sociale per il grado di ingiustizia percepito socialmente e derivante dalla non accettazione di tali accadimenti a fronte dell’evoluzione tecnologica e dell’implementazione della sicurezza. Nell’ottica di garantire la sicurezza sul lavoro è stato emanato il d. lgs 81 del 2008 che racchiude organicamente la disciplina ad essa dedicata, con particolare attenzione per le norme anti-infortunistiche e che tutelano la salute da una parte e le norme che disciplinano il governo dei rischi dall’altra. Sul punto è interessante analizzare l’evoluzione dell’interpretazione giurisprudenziale sulla configurabilità delle aggravanti di cui agli artt. 589 co. II e 590 co. III anche in caso di malattia professionale nonostante le medesime facciano riferimento esclusivamente alla tipologia dell’infortunio sul lavoro. Non vi è dubbio che la ratio sottesa a tale approdo giurisprudenziale sia rintracciabile nella necessità di garantire la giustizia nel caso concreto in relazione al rispetto del principio di ragionevolezza enucleato all’art. 3 Cost. anche al fine di sopperire ad una lacuna normativa. Infatti, interpretando letteralmente le disposizioni di cui agli artt. 589 co. II e 590 co. III si finisce con il tutelare un lavoratore o comunque una persona che si trovi in un luogo che possa definirsi di lavoro (Cass, pen. 2019) che subisca la frattura di un dito e non una che ad esempio, a causa dell’inalazione di polveri sottili contragga nel tempo una patologia polmonare con effetti permanenti più gravi. Si pensi ai noti casi di mesotelioma pleurico ( su tutti il caso ThyssenKrupp e il caso Ilva) e alle c.d. macchie blu. Invero, l’equiparazione della malattia professionale all’infortunio sul lavoro non è esente da critiche. Ci si riferisce alla violazione del principio di tassatività e al conseguente divieto di analogia in malam partem. Tale critica però, può essere superata sul piano valoriale attraverso la valorizzazione del diritto alla salute, che postula il diritto all’integrità psico-fisica a loro volta tutelati dal bene giuridico sicurezza  che le fattispecie aggravanti sono finalizzate a tutelare. In sostanza, sul punto la giurisprudenza è costante nel ritenere in tali casi, a fronte del bilanciamento tra opposti diritti e valori, la tutela della sicurezza prevalente rispetto alla tutela della libertà personale. Un simile ragionamento però può dirsi corretto, a parer di chi scrive, solo se alla base dello stesso non vi sia una violazione dei principi cardini del diritto penale. Ne consegue che per risolvere tale impasse si potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale delle due fattispecie sopra richiamate nella parte in cui non prevedono l’estensione della loro applicazione anche nei casi di malattia professionale oppure trovare un dato normativo che legittimi il ragionamento sulla base del ricorso all’interpretazione estensiva, la quale non viola il principio di tassatività.


Potrebbero interessarti anche:

3. La strage di Viareggio e il mancato riferimento alla malattia professionale


La c.d. strage di Viareggio riguarda il deragliamento di un treno merci la cui fuoriuscita di gas provocò un incendio di estrema gravità che causò la morte di 32 persone, lesioni gravissime e gravi a molte altre, nonché la distruzione totale e il grave danneggiamento di molte abitazioni nei pressi della stazione di Viareggio. Per tali eventi furono tratti a giudizio per rispondere dei reati di disastro ferroviario colposo, incendio colposo, omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche e lesioni colpose, gli amministratori e i dirigenti di alcune società del gruppo Ferrovie dello Stato e di alcune società che avrebbero dovuto assicurare la corretta manutenzione del carro. Inoltre venne contestato l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies del d.lgs. 231/2001 a sette imprese coinvolte nel disastro, in relazione ai reati di lesioni personali colpose e omicidio colposo aggravato, ascritti agli imputati facenti parte della compagine delle rispettive società[1].
Giunto in Cassazione il procedimento culminò con l’accertamento del reato di omicidio colposo plurimo, tuttavia dichiarato prescritto a causa del mancato riconoscimento della circostanza aggravante della violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, nonché l’esclusione della legittimazione attiva di tutte le parti civili costituite e la non applicabilità dell’art. 25 septies del D. Lgs 231/2001, mentre veniva confermata la condanna di molti imputati per disastro ferroviario colposo inflitta dalla Corte d’ Appello di Firenze. Il punto centrale della pronuncia riguarda proprio l’esclusione dell’aggravante di cui sopra in ragione della mancata conformazione del doppio grado della colpa. In sostanza, la Cassazione, attraverso l’analisi della colpa la quale si fonda su un doppio giudizio, che riguarda la verificazione che la condotta posta in essere violi una norma c.d. cautelare e che dunque il rischio realizzatosi era proprio quello che la norma intendeva prevenire e la verificazione dell’elemento soggettivo, inteso come capacità del soggetto agente di osservare tale regola. In altre parole, prima si procede all’analisi della natura della norma violata rispetto alla condotta posta in essere e poi si valuta se l’evento prodotto poteva essere evitato attraverso il rispetto della norma cautelare invocata (efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito). Lo snodo della vicenda giudiziaria lo si rinviene proprio nella non conformazione di tali elementi. Infatti, l’evento dell’incendio che ha provocato la morte e le lesioni gravi di molte persone non è riconducibile ad una condotta posta in essere in violazione di norme anti-infortunistiche e dunque alle norme cautelari che prevengono il tipo di evento che effettivamente si è verificato (che se violate avrebbero giustificato l’applicazione dell’aggravante relativa) poiché il deragliamento del treno è stato causato dal cedimento dell’assile del primo carro del convoglio e dunque dalla violazione di una norma che attiene alla circolazione ferroviaria. Sicuramente la sentenza ha il merito di aver circoscritto l’applicazione delle aggravanti che puniscono la violazione delle norme anti-infortunistiche in riferimento al luogo, di lavoro, e ai soggetti, lavoratori e terzi che possano essere a questi assimilati: “ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante di cui all’articolo 589, comma 2 (e art. 590, comma 3, c.p.), la locuzione “se il fatto è commesso (…) con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” va interpretata come riferita ad eventi nei quali risulta concretizzato il rischio lavorativo, per essere quelli causati dalla violazione di doveri cautelari correlati e tale tipo di rischio; e per rischio lavorativo deve intendersi quello derivante dallo svolgimento di attività lavorativa e che ordinariamente ha ad oggetto la sicurezza e la salute dei lavoratori ma può concernere anche la sicurezza e la salute di terzi, ove questi vengano a trovarsi nella medesima situazione di esposizione del lavoratore[2]”, ma non vi è alcun riferimento, anche quando affronta la differenza tra interpretazione estensiva e il ricorso all’analogia in malam partem, all’equiparazione della malattia professionale all’infortunio sul lavoro.

4. Conclusione


Il fatto che la Cassazione con la sentenza sul caso di Viareggio non abbia affrontato il “problema” dell’equiparazione tra malattia professionale e infortunio sul lavoro, da un lato può essere spiegato a causa della irrilevanza della questione ai fini della decisione e dall’altra per l’orientamento consolidatosi sull’interpretazione estensiva tosto che all’analogia. In effetti, nel D. Lgs 81\2008 emerge il fine della tutela della salute e della sicurezza in pari ordinazione. Ad esempio sia l’art. 2 alla lett. n che l’art. 18 lett. q fanno espresso riferimento alla salute. Ne consegue che se il bene giuridico fondamentale è la sicurezza intesa soprattutto come tutela della salute, allora la fonte che legittima l’equiparazione tra malattia professionale e infortunio sul lavoro è la stessa Costituzione all’art. 32 in quanto tutela il diritto fondamentale della salute, in combinato alla ratio della Grundnorm in tema di cautele a tutela dei lavoratori, il D. L.gs 81\2008 dalle quali si ricava il perimetro di significato che connota le fattispecie di cui agli artt. 589 co. II e 590 co. III, convergendo per l’applicazione dell’interpretazione estensiva, ammessa e non per l’analogia che sarebbe vietata in quanto nel caso di specie opererebbe in malam partem.

Volume consigliato

FORMATO CARTACEO

La Riforma Cartabia del sistema sanzionatorio penale

Aggiornato alla L. 30/12/2022 n. 199, di conv. con modif. D.L. 31/10/2022 n. 162, l’opera fornisce un inquadramento del D.Lgs. 150/2022, nel tentativo di affrontare e offrire le soluzioni pratiche dei numerosi problemi che un provvedimento di tale portata presenta. Oggetto specifico dell’elaborazione sono le norme che comportano la riforma del sistema sanzionatorio penale, mentre la novella processuale è affidata al corredo di circolari tematiche emesse dal Ministero della Giustizia, riportate in appendice. Per agevolare la lettura, il volume è suddiviso per aree tematiche di intervento, in ciascuna delle quali sono riportati i criteri di delega e le disposizioni oggetto del decreto, unitamente alle corrispondenti disposizioni attuative. Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LLB presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari e corsi di formazione; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.

Fabio Piccioni | Maggioli Editore 2023

Francesca Fuscaldo

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento