Il reato di omicidio stradale: l’art.589-bis c.p. come introdotto dalla Legge n.41/2016

Pramila Sicuro 28/09/16
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Fino ad oggi l’omicidio provocato da un sinistro stradale non ha mai trovato una specifica e dettagliata disciplina nel nostro codice penale, ricadendo sempre nella fattispecie dell’omicidio colposo. Il 25 marzo 2016, con la Legge n.41, è entrata in vigore in Italia la legge che disciplina espressamente l’omicidio stradale.

 

Leggi qui il testo della Legge n. 41/2016.

 

Guardando agli ordinamenti giuridici di altri Stati, si intravede la diversità di trattamento della materia: Olanda e Regno Unito prevedono in modo espresso l’omicidio commesso alla guida di un veicolo; Germania, Belgio, Danimarca, Francia e Spagna fanno ricadere l’omicidio causato da sinistro stradale nell’omicidio colposo mentre negli Stati Uniti, in 47 Stati, è previsto l’omicidio colposo c.d. veicolare.

Il legislatore italiano, con tale scelta, si è voluto allontanare dal quadro normativo comunitario che rifiuta dalle fattispecie di reato la categoria del delitto di omicidio stradale.

Tra le modifiche e le innovazioni introdotte al codice penale dalla Legge n.41/2016 si annovera, come già anticipato, l’art.589-bis rubricato per l’appunto “omicidio stradale”. La ratio della norma è quella di punire la condotta di colui che cagioni un omicidio per tramite della circolazione stradale. Quest’ultima, da sempre, è stata considerata un’attività di tipo rischioso che, tuttavia, non può essere evitata in quanto socialmente utile.

La dottrina appare “scettica” di fronte alla scelta del legislatore ed ha, infatti, sottolineato la scarsa utilità dell’introduzione di un’autonoma fattispecie di reato in quanto sussiste un espresso divieto di bilanciamento delle circostanze all’art.589 c.p. Inoltre, non si è così certi che l’irrigidimento sanzionatorio, che sembra assumere un ruolo di deterrente, sia compatibile con la funzione rieducativa della pena dettata dall’art.27 co.3 Cost.

Prima di procedere all’esame della norma in parola, occorre ricordare che i delitti contro la persona sono collocati nel titolo XII del libro II, capo I del codice penale. Il principale reato contro la persona è l’omicidio in quanto lede il bene primario tra tutti i beni dell’uomo: la vita e l’incolumità individuale. Soltanto a seguire vengono gli altri beni sottoposti a tutela da parte del nostro ordinamento: la personalità individuale, la libertà morale e la libertà individuale sempre in riferimento all’uomo; l’onore, il decoro, la reputazione, l’inviolabilità del domicilio e del segreto in relazione, invece, alla persona giuridica.

Il Codice Rocco prevede tre tipologie di omicidio: l’omicidio doloso (art.575 c.p.), quello preterintenzionale (art.584 c.p.) e quello colposo (art.589 c.p.). Essi si differenziano tra loro dal punto di vista dell’elemento soggettivo ma sono accomunati dall’elemento oggettivo che si concretizza nel “cagionare la morte di un uomo”. Gli elementi costitutivi del reato in esame sono il soggetto attivo, quello passivo, l’elemento oggettivo ed il nesso causale. Il soggetto attivo può essere chiunque; il soggetto passivo coincide con l’oggetto materiale del reato ed è una persona umana; l’elemento oggettivo è dato sia da comportamenti commissivi che omissivi; il nesso causale, che lega condotta ad evento, deve concretamente sussistere ed è penalmente rilevante. Infine si ha consumazione nel momento in cui si verifica la morte del soggetto.

Con riferimento alla prima tipologia di omicidio, quello doloso, l’art.575 c.p. punisce “chiunque cagiona la morte di un uomo”. In tal caso l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico. In relazione alla seconda tipologia l’articolo di riferimento è il 584 c.p. che punisce, con la reclusione da 10 a 18 anni, chiunque, nel compiere atti di cui agli artt.581 e 582 c.p. (lesioni personali e percosse), cagioni la morte di un uomo. Il presupposto fondamentale, in questa ipotesi, è la realizzazione involontaria dell’evento. Infine l’art.589 c.p. prevede la terza tipologia di omicidio, quello colposo.

Compiuto questo breve excursus sulla ratio della disposizione di neo introduzione nel codice e sulle tipologie base del delitto di omicidio, passiamo, ora, all’esame della norma in parola.

L’art.589-bis al suo comma 1 prevede che “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni.” Il primo comma, stando ad una attenta lettura, ripropone il co.2 dell’art.589 c.p. L’unica differenza tra la vecchia e la nuova formulazione consiste nella trasformazione da circostanza aggravante a reato autonomo. L’ambito applicativo della fattispecie, invece, appare immutato. Esso avrà ad oggetto la mancata osservanza di regole cautelari inerenti la normale circolazione stradale come, per esempio, l’osservanza di massima prudenza in prossimità di attraversamenti pedonali, l’obbligo di rispettare le distanze di sicurezza e le precedenze, nonché la massima cautela nell’effettuare manovre in retromarcia. Nell’ambito di applicazione della nuova disciplina normativa vanno considerati non soltanto i casi di specifica violazione di una norma del codice della strada, ma anche l’inosservanza di regole di normale prudenza, diligenza e perizia. Proprio sotto quest’ultimo profilo la Cassazione ha ritenuto responsabile il motociclista che non aveva ritenuto obbligatorio, per il passeggero trasportato, indossare il casco nel caso in cui, a seguito di sinistro stradale, quest’ultimo sia deceduto (Cass.Pen., Sez.IV, n.43449/2012).

Con riferimento alla struttura del reato in esame, esso sicuramente si può annoverare nella categoria dei reati di evento, colposo e comune. La fattispecie base di cui al comma 1 può essere commessa da chiunque cagioni colposamente la morte di una persona non rispettando le ordinarie regole in materia di circolazione stradale. Ne deriva che l’obbligo di tenere un comportamento prudente e diligente non è rivolto solamente a chi sia alla guida di autoveicoli ma, indistintamente, a tutti gli utenti della strada. A tal proposito la Cassazione nel 2014 ha ritenuto responsabile un capocantiere che non aveva segnalato in alcun modo, con apposita segnaletica temporanea, la presenza di un dosso non visibile che provocò un incidente con conseguente perdita della vita ad un motociclista. Di seguito si riporta l’inciso della Suprema Corte: “In tema di responsabilità per omicidio colposo da sinistro stradale, la circostanza aggravante della violazione della normativa sulla circolazione stradale è ravvisabile non solo quando la violazione della normativa di riferimento sia commessa da utenti della strada alla guida di veicoli ma anche nel caso di violazione di qualsiasi noma che prevede a carico di un soggetto, pur non impegnato in concreto nella fase della circolazione, un obbligo di garanzia finalizzato alla tutela della sicurezza degli utenti della strada” (Cass.Pen., Sez.IV, n.44811/2014).

Il comma 2 dell’art.589-bis così recita: “Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in  stato  di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione  di  sostanze  stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c),  e  187  del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285,  cagioni  per  colpa  la morte di una persona, é punito con la reclusione da otto a dodici anni.” Esso prevede l’aggravante a effetto speciale sostitutiva di quella prevista dall’art.589, co.3 c.p. che è stata abrogata. Secondo la previsione del legislatore si tratta di una circostanza valida soltanto per i conducenti di un veicolo a motore. Invece, per i conducenti di veicolo non a motore, come la bicicletta, i quali cagionino colposamente la morte di una persona guidando sotto l’effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti vi sarà responsabilità penale ai sensi del comma 1, e non del comma 2, dell’art.589-bis. Ciò è confermato anche dalla giurisprudenza che sostiene l’applicabilità del divieto di cui all’art.186, co.1 del Codice della Strada anche ai velocipedi in quanto anche questi ultimi sono in grado di creare un pericolo per l’incolumità degli utenti della strada.

Il comma 3 della norma in commento estende la pena prevista dal comma 2, e cioè reclusione da 8 a 12 anni, ai c.d. conducenti professionali che si pongano alla guida con un tasso alcolemico tra 0,8 g/l e 1,5 g/l cagionando con colpa la morte di una persona. Nella categoria dei conducenti professionali si fanno rientrare coloro che si occupano del trasporto di persone (taxisti, autisti del noleggio auto, conducenti dei servizi pubblici di linea), di quello di cose (corrieri), i mezzi che trainino rimorchi, gli autosnodati e gli autoarticolati e tutti gli autoveicoli che trasportino più di otto persone. Al di là dei soggetti menzionati, il conducente che si metta alla guida con un tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l ma non superiore a 1,5 g/l e cagioni con colpa la morte di una persona verrà punito con la reclusione da 5 a 10 anni ai sensi dell’art.186, co.2, lett.b) CdS.

La pena di cui al comma 3 si applica, altresì, alle ipotesi disciplinate dai commi 4 e 5 secondo i quali al “conducente di un veicolo a motore che,  procedendo  in  un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio  di  quella consentita e comunque non inferiore  a  70  km/h,  ovvero  su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h  rispetto  a quella massima consentita,cagioni per colpa la morte di una persona; al conducente di un  veicolo  a  motore  che,  attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso  ovvero  circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona; al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in  corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso  di  un  altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento  pedonale  o  di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona”. Tuttavia, qualora la morte sia conseguenza della violazione di una delle su menzionate previsioni cautelari da parte del conducente di un veicolo non motorizzato, troverà sempre applicazione la disposizione base di cui al comma 1.

Il comma 6 prevede una circostanza aggravante ad effetto comune ai sensi della quale “Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena é aumentata se il fatto é commesso da persona non munita di patente di guida  o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria”.  

Occorre ricordare che le aggravanti citate non sono sottoposte al giudizio di bilanciamento di cui all’art.69 c.p. per effetto dell’introduzione del nuovo art.590-quater c.p.. Quest’ultimo articolo, titolato “Computo delle circostanze”, statuisce che Quando ricorrono le circostanze aggravanti di cui agli articoli 589, secondo comma, 589-ter, 590, terzo comma, 590-bis e 590-ter, le concorrenti circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti.

Il legislatore al settimo comma dell’art.589-bis c.p. ha inserito una circostanza attenuante ad effetto comune: Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole, la pena é diminuita fino alla metà.

Infine, l’ultimo comma disciplina l’ipotesi di omicidio stradale plurimo, prevedendo che “qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto.” Il comma 8, nel trattare il concorso formale di reati, sembra ricordare l’ultimo comma dell’art.589 c.p. che così recita “Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici”. Ai fini dell’individuazione della violazione più grave sono di fondamentale aiuto le indicazioni fornite dalle Sezioni Unite della Suprema Corte in una pronuncia del 2013. Secondo la citata pronuncia, la violazione più grave va individuata in astratto tenendo conto della pena edittale prevista per il reato considerato dal giudice in relazione alle singole circostanze in cui la fattispecie si è realizzata ed in rapporto ad un ipotetico giudizio di comparazione tra le circostanze stesse (Cass.Pen., SS.UU., n.25939/2013).

Dopo aver esaminato la nuova formulazione dell’art.589-bis c.p. di nuova introduzione, occorre soffermarsi brevemente anche sull’analisi del successivo art.589-ter c.p., sempre introdotto dalla Legge n.41/2016, che disciplina l’ipotesi più specifica del delitto di fuga del conducente in caso di omicidio stradale.

Il nuovo art.589-ter c.p. dispone che “Nel caso di cui all’art.589-bis, se il conducente si dà alla fuga, la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni”.

Occorre partire dal nomen iuris dell’art.589-ter c.p. Inizialmente esso era rubricato “circostanza aggravante”, mentre adesso è titolato “fuga del conducente in caso di omicidio stradale”. Nonostante il mutamento del nomen, l’articolo di che trattasi non va inteso come fattispecie autonoma di reato, bensì come un ulteriore circostanza aggravante rispetto all’art.589-bis c.p. A conferma di ciò l’esistenza dell’art.590-quater c.p., anch’esso di nuova introduzione, rubricato “computo delle circostanze aggravanti”. Infatti, dalla lettura del 590-quater c.p. si evince che mai sarà possibile effettuare un giudizio di equivalenza o di prevalenza  nel bilanciamento tra circostanze.

La circostanza aggravante di nuova introduzione va posta a confronto con il vecchio art.189 CdS che disciplina l’omissione di soccorso. Quattro appaiono essere le differenze tra le due norme: il preesistente art.189 CdS non ha ad oggetto un reato commissivo ma un reato omissivo; la pena prevista è da 6 mesi a 3 anni; non viene utilizzata la parola “fuga” ma si fa riferimento al non ottemperare l’obbligo di fermarsi in caso di sinistro ed infine l’elemento soggettivo è il dolo. Tali elementi sono sufficienti per comprendere la finalità della nuova norma e cioè quella di non lasciare impunita la condotta di colui che, dopo aver cagionato la morte di una persona a causa di un incidente stradale, fugga senza prestare soccorso o senza chiamare i soccorsi. Altre differenze rilevabili sono la disparità sanzionatoria, da 6 mesi a 3 anni per il 189 CdS e da 2 anni a 7, come pena base, per l’art.589-bis con l’aumento di pena da un terzo a due terzi di cui al 589-ter c.p. in caso di fuga e l’elemento psicologico richiesto, dolo generico o eventuale per il 189 CdS e colpa per il 589-bis c.p.

In relazione all’elemento psicologico, in particolare, la giurisprudenza ha specificato l’irrilevanza, ai fini della responsabilità per reato di cui all’art.189 CdS, dello stato emotivo del conducente a seguito del sinistro stradale. Pertanto sussiste l’obbligo di fermarsi anche nelle ipotesi in cui colui che ha causato l’incidente sia emotivamente scosso o turbato.

Come dimostrano le esperienze europee in principio delineate, i modelli per punire l’omicidio stradale possono essere vari: l’Italia ha optato per un sistema piuttosto repressivo, che commina pene severe e richiede come elemento soggettivo quello della colpa, determinata, come recita l’art.43 c.p., da “negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”  anche minime dettati, nella fattispecie ad esame, dal Codice della Strada.

Appare certamente ragionevole prevedere pene gravi per chi guida in stato d’ebbrezza, per chi guida ad una velocità molto più alta di quella consentita, per chi si mette al volante senza aver conseguito la patente di guida, ma è altrettanto ragionevole punire con una pena dai due ai sette anni di reclusione chi, per colpa, non si ferma ad semaforo rosso? Questa sembrerebbe la domanda che si pongono coloro che, ad una disamina superficiale dell’art.589-bis c.p., non si accorgono che ad ogni singolo comma della neo-disposizione si ripete che è punito colui che “cagioni per colpa la morte di una persona”. Ne deriva che la reclusione, che sia da due a sette anni (art.589-bis, co.1 c.p.), che sia da otto a dodici anni (art.589-bis, co.2 c.p.) o che sia da cinque a dieci anni (art.589-bis, co.3 c.p.); che essa sia per aver mantenuto una velocità superiore a quella consentita nel centro urbano (art.589-bis, co.5, n.1 c.p.) o che sia per aver attraversato un incrocio con il semaforo rosso, essa avrà sempre e comunque cagionato la morte di un uomo.

Tra le critiche al DDL, opposte anche da coloro che erano favorevoli a un inasprimento delle sanzioni, vi è la sproporzione delle pene e soprattutto l’equiparazione degli incidenti causati dalla guida in stato di ebbrezza o sotto effetto di droghe a quelli derivanti dalle specifiche violazioni del codice della strada.

L’impianto iniziale del DDL considerava soltanto la pirateria della strada e la guida in stato di ebbrezza causate dal consumo di sostanze alcoliche o di sostanze stupefacenti o psicotrope. Col tempo, tuttavia, il testo di legge si è arricchito prevedendo come pena il carcere anche per aver circolato contromano, aver effettuato sorpassi azzardati o manovre di inversione pericolose. Secondo i più “ostili” alla legge di riforma sono state, in tal modo, assimilate condotte che possono essere poste in essere per semplice distrazione a quelle di chi si mette alla guida in consapevole stato di alterazione psico-fisica. Fatto sta che la conseguenza più diretta di comportamenti imputabili a distrazione nella guida o ad atteggiamenti consapevoli è sempre la morte di una persona.

Concludendo, la ratio dell’introduzione dell’art.589-bis c.p. è l’espressa tutela della vita umana. La vita è, dunque, il bene supremo nonchè soggetto ad espressa difesa, sia a livello nazionale, nella Carta Costituzionale al suo art.2, co.1 in quanto inserita tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dalla Repubblica, ma anche al livello europeo dall’art.2 della CEDU che così recita “il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”.

A questo punto, non resta che vedere come, in concreto, verrà applicata la nuova disciplina dagli operatori del diritto.

Pramila Sicuro

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